sabato 5 gennaio 2013

Card. Koch: Benedetto XVI, già quando era cardinale, ha giudicato che la maggior parte dei problemi nello sviluppo post-conciliare della liturgia è collegata al fatto che l’approccio del Concilio a questo mistero fondamentale non sia stato tenuto sufficientemente in considerazione

Il Concilio Vaticano II, e la sua "corretta interpretazione", è e resta "il punto di riferimento essenziale" per la missione della Chiesa oggi. È quanto ha ribadito il cardinale presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, Kurt Koch. In un’intervista rilasciata nei giorni scorsi ad Armin Schwibach dell’agenzia cattolica austriaca Kath.net, il porporato ha affrontato il tema della riforma liturgica. In particolare, ha chiarito il senso di quella che ormai da diverse parti viene denominata come la "riforma della riforma". Una definizione, precisa, che «non può avere altro scopo che quello di risvegliare l'autentico patrimonio del concilio e di renderlo fruttuoso nella situazione della Chiesa oggi". In questo senso, viene inoltre sottolineato, "la questione della riforma liturgica è strettamente connessa con la questione della corretta interpretazione del Concilio". Il porporato nelle prime battute dell’intervista si sofferma sul significato dell’Anno della fede voluto da Benedetto XVI, tracciando un importante parallelismo con quello voluto a suo tempo da Paolo VI, "vedo più somiglianze che differenze", rilevando come per entrambi i Pontefici il Concilio Vaticano II sia il "punto di riferimento essenziale". Così, se per Papa Montini l’Anno della fede fu una "conseguenza del Concilio" e l’opportunità per richiamare l’urgenza della "confessione della vera fede cattolica" di fronte ai "gravi problemi" del tempo, per Papa Ratzinger l’Anno della fede è collegato al cinquantesimo anniversario dell’apertura del Vaticano II, "al fine di realizzare le principali preoccupazioni di questo Concilio". E, quanto ai compiti ecumenici affidatigli dal Santo Padre, il card. Koch sottolinea come l’Anno della fede significhi il richiamo a una "nuova consapevolezza che l’unità tra i cristiani può essere trovata solo se si riflette insieme sui fondamenti della fede". Anche perché, i "deserti del mondo di oggi" di cui parla il Papa e la scarsa incidenza della fede cristiana nella società attuale "influenzano tutte le Chiese cristiane e le comunità ecclesiali". Quanto poi alla riforma liturgica della Chiesa Cattolica, tema seguito con attenzione anche dalle altre Chiese e comunità ecclesiali, il porporato non ha mancato di rilevare l’"uso inflazionato" proprio del termine riforma. E, per sgombrare il campo da ogni strumentalizzazione, si è domandato quale sia il suo giusto significato. Ci si trova, ha detto, di fronte a un’"alternativa fondamentale". Infatti, se per riforma s’intende "una rottura con la storia passata", questa "non è più una riforma". Al contrario, intesa nel suo "significato letterale", la riforma liturgica trae il suo significato "da quella forma fondamentale del servizio del culto cristiano che è prescritta dalla tradizione della Chiesa". Di fatto, però, "la riforma della liturgia dopo il Concilio è stata spesso considerata e realizzata con un’ermeneutica della discontinuità e della rottura", considerando soprattutto il fatto che essa è "centrata sul mistero pasquale della morte e risurrezione di Cristo". Tuttavia, "Papa Benedetto XVI, già quando era cardinale, ha giudicato che la maggior parte dei problemi nello sviluppo post-conciliare della liturgia è collegata al fatto che l’approccio del Concilio a questo mistero fondamentale non sia stato tenuto sufficientemente in considerazione".

L'Osservatore Romano