sabato 13 ottobre 2012

Il 13 ottobre 1962 il discorso di Giovanni XXIII ai giornalisti che seguono il Concilio Vaticano II: siete al servizio della verità, e nella misura in cui le siete fedeli rispondete a ciò che gli uomini si aspettano da voi

“Voi siete al servizio della verità, e nella misura in cui le siete fedeli rispondete a ciò che gli uomini si aspettano da voi”: sono le parole che Giovanni XXIII rivolse, esattamente 50 anni fa, 13 ottobre 1962, ad un gruppo di giornalisti provenienti da tutto il mondo per seguire i lavori del Concilio Vaticano II. Un discorso in lingua spagnola e ancora attuale che qui riproponiamo in alcuni suoi passaggi importanti. In quell’occasione il Vaticano istituì un ufficio stampa, una segreteria e una commissione conciliare per occuparsi della stampa, della radio e dello spettacolo. “La deformazione della verità da parte degli organi di informazione può avere conseguenze incalcolabili - afferma Giovanni XXIII -. È certamente grande la tentazione di cedere alle preferenze di una determinata clientela ed essere più attenti alla rapidità piuttosto che all’esattezza, più interessati al ‘sensazionale’ piuttosto che ad una vera obiettività. Così, nella presentazione di un evento, si dà un rilievo esagerato ad un dettaglio puramente esteriore e si sfuma la realtà profonda, nell’analisi di una situazione, di una opinione, di una convinzione. Questo è una maniera per oscurare la verità. Se tutto ciò è grave in tutti i campi, tanto più quando si tratta di ciò che è più intimo e sacro al mondo: l’ambito religioso e le relazioni dell’anima con Dio”. Il Concilio Vaticano II, prosegue più avanti Papa Roncalli, “è un grande evento religioso, e noi desideriamo con tutto il cuore che voi possiate contribuire a presentarlo nella giusta evidenza. Da un informatore che voglia rendere onore alla sua nobile professione ci aspettiamo cautela, riservatezza, preoccupazione di comprensione ed esattezza. A tutti chiediamo uno sforzo per comprendere e far comprendere la natura, prima di tutto religiosa e spirituale, di queste solenni sessioni conciliari. Dallo scrupoloso esercizio della vostra missione di informatori sul Concilio ci aspettiamo effetti positivi per l’orientamento della opinione pubblica mondiale sulla Chiesa cattolica in generale, le sue istituzioni e i suoi insegnamenti”. Questo perché, osserva Giovanni XXIII, “possono esistere qua e là - in particolare dove non c’è spazio per una informazione leale e obiettiva - pregiudizi, a volte tenaci” basati sulla “sfiducia, il sospetto, l’incomprensione, le cui conseguenze sono deplorevoli per il progresso dell’armonia tra gli uomini e i popoli”. Pregiudizi che attribuiscono alla Chiesa “dottrine che non professa; che le rimproverano atteggiamenti adottati in circostanze storiche determinate e che indebitamente portano a generalizzare, senza tener conto del loro carattere accidentale e contingente”. Il Concilio è dunque “una bella occasione per un vero contatto con la vita della Chiesa, per informarsi presso gli organismi responsabili, che riflettano con chiarezza il pensiero dell’episcopato della Chiesa universale qui riunito”. Giovanni XXIII constata che “il solo annuncio del Concilio ha risvegliato nel mondo intero un interesse considerevole” e “ieri stesso, grazie alla vostra presenza e al vostro lavoro, il mondo intero, per la prima volta nella storia, si è potuto avvicinare direttamente al Concilio tramite la radio e la televisione, come pure tramite i reportage della stampa. Desideriamo ardentemente che la vostra informazione mantenga tra il pubblico interesse e simpatia nei confronti del Concilio, perché contribuisca a rivedere, se è il caso, opinioni sbagliate o incomplete”. In questo modo “potrete fare capire - continua il Papa - che qui non ci sono macchinazioni politiche. Potrete comprendere e proclamare i veri motivi che ispirano l’azione della Chiesa nel mondo e testimoniare che non c’è nulla da nascondere, che la Chiesa segue un cammino retto, senza curve, che non desidera nulla se non la verità per la felicità degli uomini e la fruttuosa comprensione tra i popoli di tutti i continenti. Così, grazie a voi, molti atteggiamenti prevenuti potranno esseri dissipati”.

SIR

Anno della fede. A Praga la prima Beatificazione: Federico Bachstein e i suoi 13 compagni dell’Ordine dei Frati Minori, uccisi nel 1611 in odio alla fede

La prima Beatificazione dell’Anno della fede, avvenuta questa mattina nella Cattedrale di San Vito a Praga, ha riguardato Federico Bachstein e i suoi 13 compagni, tutti dell’Ordine dei Frati Minori, martirizzati il 15 febbraio 1611, uccisi 'in odium fidei' nel convento che abitavano nella capitale ceca da una folla inferocita, animata da uno sconsiderato odio contro la Chiesa Cattolica. In rappresentanza del Papa c’era il card. Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Siamo nella Boemia del 1611, dove proliferavano varie sette protestanti ostili ai cattolici e alla dinastia cattolica degli Asburgo, come spiega alla Radio Vaticana il card. Angelo Amato: “Era proprio l’odio contro la Chiesa cattolica, per cui i cattolici, religiosi e laici, vivevano in continuo pericolo di vita. Nessuno, infatti, poteva accusare i Francescani del Convento di Santa Maria delle Grazie, di nazionalismo o di cospirazione politica, essendo la maggior parte stranieri ed estranei a beghe sociopolitiche. Ad ogni modo, dalle fonti del tempo risulta la loro piena consapevolezza del pericolo cui andavano incontro, come testimoni della fede”. Padre Federico Bachstein, boemo di Baumgarten, era il maestro dei novizi; padre Giovanni Martìnez, spagnolo, sacrestano; padre Simone, francese, raccoglieva l’elemosina; padre Bartolomeo Dalmasoni, italiano, curava i restauri della chiesa; Fra Girolamo degli Arese, italiano, diacono; fra’ Gaspare Daverio, italiano, suddiacono; Fra Giacomo e Fra Clemente, entrambi tedeschi ed entrambi chierici minoristi con voti temporanei; Fra Cristoforo, olandese, fratello laico e cuoco del convento; Fra Giovanni, tedesco, laico; e Fra Emanuele, boemo, anch’esso laico; Fra Giovanni Bodeo, italiano e aiutante sacrestano; Frate Antonio, boemo, novizio. Tutti furono spogliati prima del martirio; molti di loro morirono nel tentativo di difendere l’Eucaristia o la cappella della Madonna, dove poi vennero sepolti, sotto l’altare di San Pietro d’Alcantara. Ma questa Beatificazione può incrinare i rapporti ecumenici? Ancora il card. Amato: “Non credo, anzi li può rafforzare. La solenne Beatificazione di questi eroici religiosi cerca di esortare tutti noi a vincere il male con il bene, memori della Parola del Signore, che sconvolge ogni logica umana: ‘Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano’. I Beati Martiri non odiavano, ma pregavano, lavoravano e operavano il bene. Erano umili testimoni della carità di Cristo, del suo calvario, del suo perdono. La loro Beatificazione, dunque, ispira sentimenti di pace, fraternità e gioia. Raccogliamo il loro seme di bene e facciamolo diventare albero maestoso, che porta fiori e frutti di umanità riconciliata e fraterna”.

Radio Vaticana

Il governo del Ciad espelle mons. Michele Russo, vescovo di Doba, per aver denunciato l’iniqua gestione dei proventi del petrolio. La sorpresa dei Padri sinodali e le parole dei vescovi del Paese africano

Con un decreto firmato ieri il governo del Ciad ha espulso dal Paese mons. Michele Russo, vescovo di Doba. Il governo ciadiano ha dato una settimana di tempo al presule, a partire da domani 14 ottobre, per andare via. Secondo le accuse, mons. Russo aveva denunciato il governo per “l’iniqua gestione dei proventi del petrolio”. Con sorpresa è stata accolta la notizia dell’espulsione di di mons. Russo da parte dei Padre sinodali riuniti a Roma. Mons. Russo è conosciuto da molti vescovi africani presenti al Sinodo per il suo impegno a favore dei popoli dell’Africa dove ha trascorso 32 anni della sua vita missionaria e 23 di vescovo di una delle diocesi più povere del Ciad. Mons. Joachim Kouraleyo Tarounga, vescovo di Moundou, rappresentante al Sinodo per il Ciad ha detto all'agenzia Misna: “Non si capisce questa espulsione, sia nei termini che nelle modalità. Sono anni che noi vescovi del Ciad denunciamo le stesse cose a tutti i livelli”. L’impressione, secondo alcuni vescovi africani, è che dietro l’espulsione di un vescovo straniero possano esserci interessi da parte del governo per mandare un segnale alla Conferenza episcopale che negli ultimi tempi si era mostrata molto critica nei confronti del presidente Idriss Déby al potere da 22 anni. “E’ un momento molto difficile per i vescovi del Ciad che invitano la popolazione di Doba a rimanere tranquilla e a mantenere la calma mentre si portano avanti i negoziati per trovare una soluzione alla decisione del governo di espellere mons. Michele Russo”: è questo uno stralcio del comunicato diffuso dalla Conferenza Episcopale ciadiana e riferito alla Misna da fonti missionarie a N’Djamena. Secondo le stesse fonti, si è appena concluso in maniera interlocutoria un incontro tra mons. Russo, l’arcivescovo di N’Djamena Matthias N’Gartéri Mayadi e il ministro dell’Amministrazione territoriale. “Il ministro - dicono le fonti - ha sostenuto che mons. Russo con un’omelia pronunciata lo scorso 30 settembre ha invitato gli abitanti di Doba a sollevarsi contro il governo. L’arcivescovo ha però difeso il presule leggendo davanti al ministro il testo dell’omelia e sottolineando che in alcun punto si faceva riferimento a sedizioni o tantomeno si chiedeva alla popolazione di scendere in piazza. Quel che si chiedeva era semplicemente una più equa ripartizione della ricchezza nazionale derivante dallo sfruttamento delle risorse naturali”. Mons. Russo dovrebbe partire già oggi per l’Italia. Nel frattempo continueranno, secondo le fonti della Misna, le trattative per consentire al presule di ritornare nella diocesi di Doba.

Il Sismografo, Misna

Anno della fede. Card. Piacenza: dando priorità alla fede ed alle conseguenze esistenziali dell’incontro intimo, personale e comunitario con il Risorto, possa essere sostenuta la perenne riscoperta di ciò che siamo come sacerdoti ed il conseguente valore degli atti che compiamo

"La Congregazione per il Clero intende offrire mensilmente, per l’Anno della fede, alcuni spunti di riflessione per la formazione permanente, con l’auspicio che, dando priorità alla fede ed alle conseguenze esistenziali dell’incontro intimo, personale e comunitario con il Risorto, possa essere sostenuta la perenne riscoperta di ciò che siamo come sacerdoti ed il conseguente valore degli atti che compiamo". Lo scrive, a quanto riferisce l’agenzia Zenit, il card. Mauro Piacenza, prefetto della Congregazione per il Clero, nella lettera indirizzata ai sacerdoti in occasione dell’apertura dell’Anno della fede. "Nell’orizzonte della fede - si legge ancora - si collocano infatti tutte le azioni sacramentali del Sacerdote, il quale, nella Chiesa e a nome di Cristo Signore, attua la salvezza offerta a tutti gli uomini".

L'Osservatore Romano

"Una sfida d'amore, di verità e di pace"

Mons. Santoro: sull'Ilva di Taranto non offriamo soluzioni, ma la vicinanza, consapevoli della missione di farci pellegrini accanto a chi soffre, favorendo il dialogo e la concertazione per il bene comune

Il dramma dell’Ilva di Taranto è stato richiamato questa mattina nel corso dei lavori del Sinodo da mons. Filippo Santoro (nella foto con Benedetto XVI), arcivescovo di Taranto. “La nuova evangelizzazione ha sete di incontrare i cristiani ormai lontani e di dialogare con la cultura attuale del mondo. Ma il mondo molte volte non ha nessuna voglia di dialogare con noi e se lo fa è solo in battaglie da lui fissate secondo lo spirito del tempo”, ha sottolineato il presule. Ma, ha aggiunto, “anche agli inizi dell’evangelizzazione nessuno aveva interesse a dialogare con i cristiani, con quella piccola schiera di uomini strani che credevano che un uomo crocifisso fosse risorto. Ma era proprio a questo mondo che essi si rivolgevano mostrando a chi li ignorava o li perseguitava l’esperienza di una vita cambiata e la proposta di salvezza”. In realtà, “a quel mondo non si rispondeva con un discorso, ma con il miracolo di una umanità trasformata”. Mons. Santoro ha raccontato la sua storia: “Dopo 27 anni di missione e di servizio alla Chiesa in Brasile sono tornato in Italia, in una diocesi di antica evangelizzazione, in un contesto di diffusa e sentita religiosità popolare dove la fedeltà è fortemente provocata dalla secolarizzazione”. E proprio a Taranto l’arcivescovo si è dovuto confrontare con una situazione molto difficile: “Per gli effetti inquinanti della più grande fabbrica siderurgica d’Europa – ha spiegato -, dodicimila persone (ventimila con l’indotto) rischiano di perdere il posto di lavoro, mentre molte altre persone già sono state vittime di tumori e di altre gravi malattie a causa della contaminazione ambientale”. La Chiesa, ha precisato mons. Santoro, “non è stata a guardare, ma ha preso subito partito per la difesa della vita attaccata dalla diossina e da altre sostanze tossiche, ma ha anche difeso il lavoro che permette lo sviluppo della vita. Non avendo a disposizione una ricetta per la soluzione di questo grave problema, abbiamo offerto una presenza solidale e un sostegno concreto a quanti sono toccati dagli effetti disastrosi di questa triste alternativa in questo periodo di recessione economica mondiale”. Il presule ha chiarito: “Non offriamo soluzioni, ma la vicinanza, consapevoli della missione di farci pellegrini accanto a chi soffre, favorendo il dialogo e la concertazione per il bene comune”. Per questo, ha proseguito l’arcivescovo di Taranto, “ho visitato gli operai dell’altoforno 5 che scioperavano a 60 metri d’altezza ed ho incontrato gli ammalati di tumori, ho visitato la lega contro la leucemia, la sclerosi multipla, l’associazione nazionale tumori e altre associazioni, tra cui i bambini contro l’inquinamento”. Ma, ha concluso il presule, “il conflitto rimane aperto e vediamo la profonda crisi umana e sociale di questo modello di sviluppo economico. Gesù ha abbracciato il bisogno, si è messo dal lato dei poveri, dei peccatori, degli esclusi. Li ha amati ed in questo ha rivelato il volto del Padre”.

SIR

Intervento di mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto

Mons. Twal: la nuova evangelizzazione per essere moderna ed efficace deve ripartire da Gerusalemme, dalla prima comunità cristiana ancorata sulla persona di Cristo, avendo una causa per la quale era disposta ad affrontare ogni sacrificio e il dono della vita stessa

Per essere moderna ed efficace, la nuova evangelizzazione deve ripartire da Gerusalemme, dalla Terra Santa, memoria collettiva vivente della storia di Gesù: si è parlato anche di questo nei lavori odierni del Sinodo, durante la nona Congregazione generale per la continuazione degli interventi in aula dei Padri sinodali. A sottolineare l’importanza dei pellegrinaggi in Terra Santa come occasione per rafforzare la fede è stato mons. Fouad Twal, patriarca di Gerusalemme dei Latini e presidente della Conferenza dei vescovi latini nelle Regioni arabiche. “Il pellegrinaggio ai Luoghi Santi, e alle ‘pietre vive’ è un mezzo eccellente per ravvivare la nostra fede e quella del pellegrino, conoscendo meglio il quadro culturale, storico e geografico dove sono nati i misteri in cui crediamo, occasione di incontro personale e incarnato con la persona di Gesù”, ha affermato mons. Twal. “I cristiani di Terra Santa – ha aggiunto - sono i discendenti diretti della primissima comunità cristiana”, è “la memoria collettiva vivente della storia di Gesù”. Per il patriarca, la visita ai luoghi santi, “dovutamente preparata e guidata dalla lettura della Parola di Dio”, e l’incontro con la comunità “possono fortificare i credenti di poca fede e far rinascere la fede in chi era morta”. Soprattutto “in questo tempo in cui i Luoghi Santi vengono talvolta offesi e aggrediti, la presenza dei pellegrini è una vera testimonianza di fede e di comunione con la nostra Chiesa del Calvario. Abbiamo bisogno di voi, delle vostre preghiere e della vostra solidarietà! Là dove gli apostoli hanno gridato a Gesù ‘accresci lo nostra fede’, venite anche voi, carissimi confratelli vescovi con i vostri sacerdoti, seminaristi e comunità, a chiedere al Signore la fede e la pace che ci manca”, è stato l’appello di mons. Twal. “Ritengo urgente la necessità che la nostra fede sia uno stile di vita che avvicina agli altri – ha aggiunto il patriarca latino di Gerusalemme -. Dobbiamo cambiare una certa mentalità negativa, che vede nella fede un’appartenenza a una fazione sociologica che spinge alla militanza e alla violenza. La vera fede aiuta a sentirci più figli di Dio e dunque più fratelli verso gli altri, anche a costo della croce e del sangue”. Perciò, “la nuova evangelizzazione per essere moderna ed efficace deve ripartire da Gerusalemme: ripartire dalla prima comunità cristiana ancorata sulla persona di Cristo, avendo una causa per la quale era disposta ad affrontare ogni sacrificio e il dono della vita stessa”. “Le nostre comunità – ha concluso mons. Twal - sono minoritarie in mezzo a credenti diversi. Le circostanze le hanno spinte a chiudersi, preoccupate di difendersi, sensibili ai propri diritti, attente ai loro luoghi e al loro rito. Comunità introverse e paurose. Per molti la fede è un fatto ereditario e sociale, quando invece dovrebbe essere più personale e impegnativa. Non si tratta di sopravvivere ma di sfondare e comunicare”.

SIR

Intervento di mons. Fouad TWAL, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, Presidente della Conferenza dei vescovi Lltini nelle Regioni Arabiche

Nona Congregazione generale. Gli interventi: la promozione della Dottrina sociale della Chiesa, la pietà popolare, l'evengelizzazione dei media e il rapporto tra fede e ragione

Questa mattina, alle 9.05, alla presenza del Santo Padre, con il canto dell’Ora Terza, ha avuto inizio la nona Congregazione generale per la continuazione degli interventi in Aula dei Padri Sinodali sul tema "La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana". Presidente Delegato di turno il card. Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshasa. Durante la Congregazione Generale è intervenuto il delegato fraterno Geoffrey Tunnicliffe, segretario generale dell'Alleanza Evangelica Mondiale. A questa Congregazione Generale, che si è conclusa alle 12.30 con la preghiera dell'Angelus Domini, erano presenti 241 Padri.
L’Assemblea dei vescovi ha ribadito l’importanza della dottrina sociale della Chiesa, elemento essenziale di evangelizzazione, perché l’annuncio di Cristo è il principale fattore dello sviluppo, della giustizia e della pace. Non si tratta, hanno detto i presuli, di trasformare la Chiesa in un’istituzione di servizi sociali, bensì di promuovere una cultura della solidarietà e della fraternità. Rilanciare la dignità umana, ha affermato il Sinodo, promuovere valori democratici, significa essere nella sequela di Gesù. Tra gli altri temi affrontati in Aula, quello della pietà popolare: purificata e guidata nel modo giusto, essa è espressione di fede sincera e testimonia perennemente la sete di Dio racchiusa nel cuore dell’uomo, contribuendo così alla nuova evangelizzazione. Perché il cuore dell’uomo è fatto per l’infinito ed alle sue attese può rispondere solo l’incontro con chi ha cambiato realmente la propria vita grazie a Cristo. Quindi, il Sinodo è tornato ad esaminare la sfida di evangelizzare il mondo mediatico contemporaneo: la società attuale, hanno detto i vescovi, non è più mass-mediatica, bensì bio-mediatica, poiché i mezzi di comunicazione di massa hanno talmente invaso la vita dell’uomo da cambiarne lo sviluppo antropologico. Di qui, l’invito affinché la Chiesa sappia comunicare vicinanza, relazione, amicizia alle persone nella loro singolarità, destinatarie dell’amore di Dio. Infine, il grande tema del rapporto tra fede e ragione: se non si comprende la loro complementarietà, hanno detto i Padri sinodali, i cristiani finiranno sempre per sentirsi inferiori nei confronti della modernità o in ritardo rispetto della storia. Essi, invece, devono essere coscienti della dimensione culturale della fede e dare ragione della propria speranza. Nella seconda parte della Congregazione sono stati comunicati i nomi dei membri della Commissione per l’informazione, il cui presidente è l’arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali e vice presidente è l’arcivescovo di Prešov per i cattolici di rito bizantino Ján Babjak.

Radio Vaticana

NONA CONGREGAZIONE GENERALE