lunedì 1 ottobre 2012

Segretario del card. Martini: con Benedetto XVI un incontro tra due uomini che soffrivano molto. Gli sguardi e le poche parole tese a consolarsi reciprocamente, soprattutto il cardinale al Papa

''E' stato un incontro in cui gli sguardi e le poche parole erano tese a consolarsi reciprocamente, soprattutto il cardinale al Papa''. Così il segretario del card. Carlo Maria Martini (foto), don Damiano Modena, ricorda in un'intervista alla Radio Vaticana l'incontro privato di quattro mesi fa a Milano tra Benedetto XVI e il card. Martini. In quella circostanza il cardinale volle andare a trovare il Papa per dimostrare la sua solidarietà in un frangente difficile per lo stesso Pontefice e per la Chiesa. ''Io credo - dice Modena - sia stato un incontro tra due uomini che soffrivano molto. Uno di loro non sapeva che sarebbe morto a distanza di due mesi e l'altro probabilmente non immaginava che una volta diventato Papa avrebbe dovuto sopportare tante croci''. ''Trovammo il Papa molto stanco e sofferente - aggiunge - e il cardinale ce la mise tutta, secondo le sue possibilita', nel dirgli che gli era vicino, che era un momento di prova, che non doveva preoccuparsi''. A proposito di quanto scritto sugli ultimi momenti di vita di Martini, don Damiano osserva che ''la gran parte sono falsità''. ''E' morto naturalmente, assistito e accompagnato in tutto - spiega -. E' chiaro che fino a un certo punto si può intervenire, da un certo punto in poi bisogna solo accompagnare il malato. Quando si capisce che non c'è più nulla da fare... non c'è piu' nulla da fare! Lo abbiamo accompagnato con l'affetto, con la preghiera, leggendo passi della Bibbia, cantando anche, attorno al suo letto, tenendogli la mano''. Don Modena spiega anche che ''il cardinale ha permesso a me e ai suoi collaboratori infermieri di entrare in questa parte intimissima della sua vita che è la sua sofferenza, la sua malattia''. ''Ci ha permesso - aggiunge - di entrare nella parte più preziosa della sua vita e di aiutarlo a viverla meglio, di accompagnarlo in queste stanze della solitudine, del dolore fisico, della delusione, della mancanza di possibilità di comunicare. Ecco, credo che fosse questa, soprattutto, la sua più profonda sofferenza''. ''Fondamentalmente il dolore fisico - come lui stesso ha detto più volte - non era molto grande. Spesso ripeteva: 'E' una malattia che mi impedisce, più che crearmi dolore'. L'impossibilità di comunicare lo aggrediva al cuore del suo essere relazione, lui che è sempre stato un uomo di grande comunicazione'', conclude il segretario di Martini.
 
Ansa
 

Anno della fede. La preghiera dei cattolici di Siria e Iraq: una fede rinnovata unita al coraggio di restare e di testimoniarla in mezzo alle tante difficoltà

Una fede rinnovata unita al coraggio “di restare e di testimoniare la fede in mezzo a tante difficoltà”: è la preghiera delle comunità cattoliche di Siria e Iraq, paesi accomunati da una grave situazione interna e attraversati da violente tensioni, per l’Anno della fede che Benedetto XVI aprirà l’11 ottobre. In un’intervista all'agenzia SIR mons. Shlemon Warduni, vicario ausiliare caldeo di Baghdad e il patriarca greco-cattolico melkita di Damasco, Gregorio III Laham, raccontano le attese e le speranze dei loro fedeli per l’Anno della fede. “La situazione nel Paese è tale che non possiamo fare tutto ciò che ci prefiggiamo ma da questo Anno della Fede speriamo di ricevere il coraggio per andare avanti e non lasciare la nostra terra” dichiara mons. Warduni che pochi giorni fa ha presenziato ad un incontro di preparazione di oltre 400 giovani a Baghdad. Alle gravi situazioni dei loro Paesi corrispondono però anche grandi attese: “ci attendiamo una fede rinnovata e coraggiosa per essere testimoni di Cristo in un contesto, - sottolinea Gregorios III Laham - musulmano. Il dialogo è un elemento essenziale per la vita delle nostre chiese, dal dialogo discende anche la testimonianza di vita nel Vangelo. L’Anno della fede ci servirà per rafforzare la comunione e la testimonianza tra le nostre Chiese per essere più credibili al mondo musulmano, non solo mediorientale”.

SIR

IRAQ E SIRIA - Il coraggio di credere: l'Anno della fede e il 50° del Concilio in due Paesi segnati dalla violenza

Card. Levada: il Concilio Vaticano II, come tutti gli altri della tradizione apostolica, trova la sua interpretazione autorevole non nel giudizio di singoli o gruppi, bensì nel Magistero della Chiesa

Mentre i teologi esplorano la storia del Concilio, per meglio determinare il significato dei suoi documenti, il Magistero della Chiesa, che ha il giudizio finale sulla corretta interpretazione del Concilio, è stato attivamente impegnato nella sua applicazione, nel corso degli ultimi 50 anni. Il Vaticano II è stato essenzialmente un Concilio ecumenico e pastorale di cui non è possibile distinguere tra la “lettera” e lo “spirito” e al quale si può solo applicare un’ermeneutica della “riforma” secondo quanto ha dichiarato Benedetto XVI nel discorso alla Curia romana del 2005. Questo in sintesi il pensiero espresso dal card. William Levada (nella foto con Benedetto XVI), prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della Fede (ribattezzata così da Paolo VI alla vigilia della conclusione del Concilio), nel corso della sua prolusione al Convegno della settimana scorsa presso la Catholic University of America di Washington dal titolo "Riforma e rinnovamento. Il Vaticano II 50 anni dopo". Tra i relatori il gesuita John W. O’Malley della Georgetown University, autore di uno dei volumi più apprezzati sulla storia del Concilio. E’ vero che non è stato convocato per formulare nuovi dogmi, né per correggere errori dottrinali, com’era stato nei Concili precedenti, ma non dobbiamo dimenticarne il contesto storico: al termine di due guerre mondiali e del colonialismo, in piena guerra fredda. La Chiesa, fino ad allora “eurocentrica”, ha radunato vescovi da ogni continente e si è occupata delle istanze che provenivano da ogni parte del mondo, in particolare delle tante persone colpite da povertà e malattie. “In questo contesto la Chiesa doveva necessariamente affrontare le questioni di fede dal punto di vista della condizione del mondo”. “Da questo però, non si può dedurre che i suoi insegnamenti non siano tali. L’annuncio del Vangelo della vita e della salvezza è il compito primario del vescovo, un compito pastorale e dottrinale. Così anche l’insegnamento del Magistero ordinario universale (il collegio dei vescovi con a capo il Papa) non deve essere considerato un insegnamento di serie B, un optional”. L’affermazione del Concilio come eminentemente pastorale è stata usata, spiegava Levada, da mons. Lefebvre per sollevare dubbi sul fatto che si possano legittimamente rifiutare i suoi insegnamenti e le sue applicazioni, ma non è così. “Anche il Vaticano II, come tutti gli altri della tradizione apostolica, trova la sua interpretazione autorevole non nel giudizio di singoli o gruppi, bensì nel Magistero della Chiesa. Per cui, come già affermato da Giovanni Paolo II, gli insegnamenti del Vaticano II, anche se non proclamati infallibilmente, devono essere considerati come normativi anche oggi. Invece che discutere se pastorale o dottrinale, dovremmo definire il Vaticano II un Concilio “pastorale e dottrinale'”. Perché le “novità” ci sono state: una fra tutte è il Sinodo dei vescovi, caldeggiato dal Concilio e introdotto da Papa Paolo VI, “un buon esempio di una riforma concreta nella struttura della Chiesa che ha ripreso l'antica pratica della sinodalità e dato risalto al più alto livello nella Chiesa”. Non tutte le riforme però sono da accettare. Un esempio: in Olanda per arginare la scarsità di preti hanno proposto non solo l’ordinazione di donne e uomini sposati, ma anche di celebrare l’eucaristia senza prete (contro il CCC n. 1411). Una riforma buona è invece per il card. Levada l’"Anglicanorum cetibus", in risposta alle richieste degli anglicani che chiedevano di diventare cattolici, pur mantenendo alcune delle loro tradizioni (il matrimonio dei ministri ordinati, i riti funebri, le preghiere in lingua inglese e alcune strutture di partecipazione dei laici).

Maria Teresa Pontara Pederiva, Vatican Insider

Anno della fede. Le lettere pastorali di tre vescovi diocesani della Cina continentale pubblicate nella festa di San Matteo Apostolo

Sono diversi i vescovi diocesani della Cina continentale che hanno pubblicato una loro Lettera pastorale per l’Anno della fede. Tre di loro, di cui è pervenuta notizia all’agenzia Fides, lo hanno fatto nella festa di San Matteo apostolo, il 21 settembre, per “rispondere all’appello di Papa Benedetto XVI per l’Anno della fede”. Mons. Gan Jun Ren, vescovo della diocesi di Guang Zhou, nella sua Lettera conferma l’impegno della Chiesa “a guidare i fedeli nell’Anno della fede cercando la verità, per essere tutti testimonianza valida del Cristo Risorto”. “La fede è come la staffetta che noi abbiamo preso dai nostri antenati nella fede, e abbiamo il dovere di trasmetterla, precisa e veloce... Quindi tutti i fratelli e le sorelle devono seguire l’insegnamento del Papa nella vita per ingrandire al massimo lo spirito della Porta della Fede”. In questo cammino il vescovo invoca l’intercessione della Madonna, Stella dell’Evangelizzazione. “Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20, 28) è il titolo della Lettera di mons. Silvester Lee, vescovo della diocesi di Tai Yuan, e del suo Coadiutore, mons. Paulus Meng, in cui illustrano lo scopo dell’Anno della fede; la manifestazione della fede; la Rivelazione e la trasmissione della Rivelazione; il ruolo della Chiesa nella Rivelazione; la fede nella vita dei fedeli; l’impatto del mondo odierno sulla fede; l’appello della Chiesa nell’Anno della fede. Inoltre presentano il programma della diocesi per vivere l’Anno della fede: la solenne apertura, in concomitanza con la Chiesa universale, il 13 ottobre, nella Cattedrale, “per riconfermare la nostra fede”; seminari sui temi della fede; l’approfondimento in parrocchia dell’insegnamento del Papa e del magistero; l’adorazione pubblica per condurre i fedeli ad incontrare Gesù incarnato nell’Eucaristia; campeggi estivi e altre iniziative indirizzate ai giovani e ai ragazzi sul tema “fede e vocazione”; la formazione degli operatori pastorali. Nella Lettera i due pastori invitano i fedeli alla riscoperta della fede e a scegliere un’altra volta nella loro vita di seguire Gesù. “Non temere, soltanto abbi fede!” è il tema scelto dal vescovo di Xuan Hua, che sottolinea nella sua Lettera l’importanza dell’Eucaristia e del Rosario per vivere bene l’Anno della Ffde. Scrive: “Nonostante cause esterne impediscano al Pastore della diocesi di stare con il suo gregge, il suo cuore paterno è sempre con voi, prega per voi e offre il Sacrificio per voi. Quindi condivo anche la grazia dell’Anno della fede con voi, esortandovi a vivere bene l’Anno della fede”. Il vescovo ha anche indicato la Vergine Maria come perfetto esempio di vita di fede per i suoi fedeli.

Fides

Gianluigi Nuzzi: se sarò accusato di ricettazione, mi consegnerò alla magistratura italiana. Vedo Paolo Gabriele come una persona coraggiosa e in buona fede verso il Papa

''Se sarò accusato di ricettazione, mi consegnerò alla magistratura italiana'': è quanto dichiarato questa mattina, nel corso de "La telefonata di Maurizio Belpietro" su Canale 5, da Gianluigi Nuzzi, autore del libro "Sua Santità" che raccoglie le carte rubate dall'ex maggiordomo del Papa Paolo Gabriele (nella foto con Benedetto XVI), in questi giorni a processo in Vaticano. ''Mi sembra veramente paradossale - ha però aggiunto Nuzzi -: se un giornalista riceve fotocopie di documenti ha il dovere di pubblicarli, se no facciamo come Mino Pecorelli che le notizie le usava per fare i ricatti''. ''Paolo Gabriele non sia lasciato solo - è l'appello di Nuzzi - Abbiamo una persona che certo ha violato la fiducia del Papa diffondendo alcuni documenti; ma sarebbe anche il caso di chiedersi perchè un cattolico religiosissimo come lui ha compiuto questo gesto. Quello che vedeva davanti ai suoi occhi erano le trame e le accuse di corruzione mosse da importanti monsignori e una serie di dossier su problemi che scuotono il Vaticano: ha pensato che far emergere queste storie drammatiche fosse un modo per aiutare il Santo Padre. Molti vedono Paolo Gabriele come un capro espiatorio, io - conclude il giornalista -

Asca

www.orticalab.it/Nuzzi-chi

Benedetto XVI è rientrato in Vaticano dopo tre mesi di residenza a Castel Gandolfo. Inizia un mese denso di avvenimenti



Alle 11.58 circa è atterrato in Vaticano l'elicottero che portava Benedetto XVI dalle Ville Pontificie di Castel Gandolfo dove è rimasto 90 giorni, dal 3 luglio scorso, per il tradizionale periodo estivo di vacanza-lavoro. Accompagnato dall’arcivescovo James Michael Harvey, prefetto della Casa Pontificia, e dai monsignori Georg Gänswein, segretario particolare, e Alfred Xuereb, della segreteria particolare, il Pontefice è partito in elicottero intorno alle 11.30 dalla cittadina laziale, dove è stato salutato dal vescovo di Albano, mons. Marcello Semeraro, e dal direttore delle Ville Pontificie, Saverio Petrillo. All’eliporto vaticano erano ad attenderlo il cardinale decano Angelo Sodano, il vescovo Giuseppe Sciacca, segretario generale del Governatorato, e il rogazionista Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura della Casa Pontificia. Successivamente, al cortile di San Damaso il Pontefice è stato accolto dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone e dall’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato. Attendono il Papa numerosi e importanti impegni pastorali, tra cui la visita a Loreto, l'apertura della XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi dedicata all'evangelizzazione e l'inizio dell'Anno della fede in occasione del 50° dell'apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II.

Il Sismografo, L'Osservatore Romano

Sullo sfondo del furto di documenti vaticani la lotta tra la vecchia e la nuova guardia dei collaboratori del Papa. Mons. Clemens: dopo tante fantasie adesso si torna alla normalità delle cose vere

La strana gioia di essere "espunto" dalle carte processuali. "Dopo tante fantasie adesso si torna alla normalità delle cose vere", commenta seraficamente mons. Josef Clemens (nella foto con l'allora card. Ratzinger) coi fedelissimi. Il tribunale che processa il "corvo" ha fatto giustizia delle ombre "infondate" che incombevano su di lui spingendo fuori dall’aula la pesante ipotesi di un suo coinvolgimento in fratricide lotte di potere dentro l’appartamento papale. Nell’austero Palazzo del Sant’Uffizio abita il prelato su cui maggiormente si sono indirizzate voci e sospetti nello scandalo Vatileaks: il vescovo Josef Clemens, storico segretario di Joseph Ratzinger e oggi "numero due" del Pontificio Consiglio dei Laici. "Ora devo approfondire e leggere le carte, ma di certo è una buona notizia di cui essere lieti", ha osservato a caldo mons. Clemens con chi gli ha manifestato la propria vicinanza a pochi istanti dalla conclusione dell’udienza. La sua posizione era riservatamente al vaglio delle indagini dalla fine di maggio, pur con estrema prudenza e con tutte le cautele dovute ad un presule influente e stimato in Curia. Adesso l’ex braccio destro di Papa Ratzinger, dopo mesi di tensione, può tirare un sospiro di sollievo. Anche se le indagini proseguono, è certo che per ora lui in aula non dovrà mettere piede. Nella prima udienza per il furto di documenti segreti, infatti, il tribunale ha clamorosamente escluso dagli atti del processo l’articolo di Die Welt che ipotizzava un coinvolgimento di Clemens, oltreché del card. Paolo Sardi e dell’ex governante Ingrid Stampa, alla quale nel frattempo è stata ritirata la chiave dell’ascensore privato che porta direttamente in Appartamento ma non la supervisione sulle bozze del nuovo libro di Joseph Ratzinger. La decisione di tenerli fuori dal procedimento è stata presa dal presidente del collegio giudicante Giuseppe Dalla Torre su richiesta dell’avvocato di Gabriele. L’articolo era firmato dal vaticanista tedesco Paul Badde, ritenuto vicino a don Georg Gaenswein, che è stato invece chiamato a deporre. Lo scenario di un conflitto con Gaenswein all’origine della fuga di documenti era per Clemens motivo di angoscia. "Le cose non stanno affatto così", assicura Clemens ai suoi interlocutori poco dopo la decisione del tribunale a lui favorevole. A suo giudizio alimentare questi scenari infondati da spy story non è serio e fa il male della Chiesa e di un «grande Papa". Assicura di essere sempre stato tranquillo nella coscienza, ma ora vuole leggere tutto e capire come possa essere stato fatto il suo nome in circostanze che lo vedono «totalmente estraneo». Insomma, ora è per lui motivo di "rasserenamento e soddisfazione" che i giudici abbiano ritenuto non pertinente con il procedimento giudiziario in corso quella versione giornalistica dei fatti. Con Wojtyla l’Appartamento era campo della battaglia infinita tra il segretario don Stanislao Dziwisz e Wanda Poltawska, amica del cuore del Pontefice. Con Benedetto XVI gli scontri che fanno da sfondo allo scandalo Vatileaks sono apparsi tra la vecchia e la nuova guardia dei più stretti collaboratori papali: da un lato Clemens e Igrid Stampa, dall’altro l’attuale segretario Georg Gaenswein che sarà sentito come testimone nel processo al maggiordomo infedele Paolo Gabriele. Nel cambio di Pontificato, apparentemente, si è passati dalle "faide" polacche a quelle tedesche. Il maggiordomo resta l’unico imputato in un processo su cui il mondo ha gli occhi puntati. Ciò non basta, però, a fugare nell’opinione pubblica l’inquietante impressione di un Pontefice che, nella sua azione di «purificazione» della Chiesa, abbia trovato proprio nella cerchia dei "familiari" le principali occasioni di sofferenza e di ostacolo. Anche tra i suoi connazionali.

Giacomo Galeazzi, Vatican Insider

Benedetto XVI e la musica: non solo una grande competenza ma anche una notevole finezza interpretativa, segno di una particolare sensibilità

E' a tutti nota la passione di Papa Benedetto XVI per la musica. Il pianoforte lo accompagna nelle ore di relax e nel tempo libero. Ed egli stesso non ha mancato di fare accenni autobiografici che testimoniano e confermano questo suo interesse fin dalla giovinezza quando, insieme al fratello Georg, che in seguito lo avrebbe diretto per trent'anni, ha potuto partecipare all'attività del coro di chiesa più antico del mondo, quello dei “Passeri del Duomo di Ratisbona” (i "Regensburger Domspatzen"). Sempre indulgendo ai ricordi, egli può riandare a un lontano 1941 allorché, ancora con il fratello, poté assistere ad alcuni concerti del Festival di Salisburgo e ascoltare, nella Basilica abbaziale di San Pietro, una indimenticabile esecuzione della Messa in do minore di Mozart (17 gennaio 2009). Un autore questo che lo fa andare con la memoria a tempi più remoti quando, da ragazzo, nella sua chiesa parrocchiale, ascoltando una sua Messa, poteva fare un'esperienza sublime della musica che gli faceva sentire che "un raggio della bellezza del Cielo lo aveva raggiunt" (7 settembre 2010). Il discorso sulla musica di Papa Benedetto è sempre attraversato da una lettura spirituale di essa per cui, attraverso i suoni dell'orchestra, il canto del coro o anche l'esecuzione di un solista, noi possiamo arrivare ad avere uno sguardo più puro sulla nostra realtà interiore per scrutare in essa, nel riflesso della trama musicale, le passioni che la agitano e la scuotono oppure le gioie e le speranze che la animano e la destano (18 novembre 2006). Accanto a questo sguardo introspettivo, che armonizza il nostro intimo, la musica suscita risonanze che rimandano continuamente al di là di se stessa, "al Creatore di ogni armonia" (4 settembre 2007). Proprio “giocando” su questa differenza, su questo scarto (non a caso in tedesco “suonare” è “spielen”, in inglese è “play” e in francese è “jouer”), essa ha il potere di "aprire le menti e i cuori alla dimensione dello spirito e condurre le persone ad alzare lo sguardo verso l’Alto, ad aprirsi al Bene e al Bello assoluti, che hanno la sorgente ultima in Dio" (29 aprile 2010). Attraverso la musica, forse in una maniera privilegiata rispetto ad altre arti, si può arrivare, mediante l'esperienza del vero, del buono e del bello che essa sollecita, a un contatto più diretto con Dio. In questo senso la musica può condurci alla preghiera: "Non è un caso – dice il Papa – che spesso la musica accompagni la nostra preghiera. Essa fa risuonare i nostri sensi e il nostro animo quando, nella preghiera, incontriamo Dio" (11 agosto 2012). Tuttavia come alla preghiera non può mai corrispondere un sentimento narcisistico e appagante, ma dal rinnovato e ritrovato contatto con Dio dobbiamo attingere nuove energie spirituali per incidere positivamente sulla realtà, così anche la musica può diventare preghiera se "possiamo insieme costruire un mondo nel quale risuoni la melodia consolante di una trascendente sinfonia d’amore" (18 novembre 2006). La musica ci rivela che c'è una parte indistrutta del mondo, capace di resistere alla “hýbris” e alla superbia di Babele, dove la bontà e la bellezza della creazione non sono rovinate e ci ricorda che non siamo continuamente richiamati a mantenere e ripristinare, in una parola, "a lavorare per il bene e per il bello" (2 agosto 2009). Non è questo l'unico messaggio della musica. Esso è certamente il più alto, per l'armonia e la sintonia che scopre con la Trascendenza, alla quale ci impone di adeguarci, aderendo alla bontà, alla bellezza e alla verità, per non rendere le nostre esistenze “stonate” e prive di significato. Tuttavia Papa Benedetto si serve anche di altre immagini per spiegare, attraverso la musica, quelli che sono i nostri compiti. Egli immagina infatti la storia "come una meravigliosa sinfonia che Dio ha composto e la cui esecuzione Egli stesso, da saggio maestro d’orchestra, dirige" (18 novembre 2006). E' vero, in certi momenti non è sempre facile leggerla e il suo disegno ci sembra discutibile oppure incomprensibile: la realtà del male e la sua azione nella storia degli uomini, lasciano talvolta pensare che "la Sua bontà non arriva giù fino a noi" (1° giugno 2012). Nondimeno, continua il Santo Padre, sviluppando la similitudine dell'orchestra, non tocca a noi salire sul podio del direttore per dirigere e tanto meno possiamo cambiare la melodia che non ci piace, piuttosto "siamo chiamati, ciascuno di noi al suo posto e con le proprie capacità, a collaborare con il grande Maestro nell’eseguire il suo stupendo capolavoro. Nel corso dell'esecuzione ci sarà poi anche dato di comprendere man mano il grandioso disegno della partitura divina" (18 novembre 2006). Da questa osservazione, di natura prettamente teologica, ne discendono altre, di carattere più pratico, che possono fornire importanti istruzioni sulle regole vita della Chiesa in generale. Infatti l'esperienza del suonare insieme dell'orchestra, il rito stesso dell'accordatura e la pazienza delle prove, che impegnano i musicisti a "non suonare 'da soli', ma di far sì che i diversi 'colori orchestrali', pur mantenendo le proprie caratteristiche, si fondano insieme" (29 aprile 2010), ci forniscono un'immagine appropriata per le relazioni che si costruiscono in ambito ecclesiale ed invitano a rinunciare a ogni forma di protagonismo al fine di diventare "'strumenti' per comunicare agli uomini il pensiero del grande 'Compositore', la cui opera è l'armonia dell'universo" (18 novembre 2006). Negli interventi che il Santo Padre dedica alla musica un posto importante è quello accordato alla musica sacra. Anche in tal caso Benedetto XVI vuole sgombrare il campo da alcuni equivoci che hanno fatto considerare il patrimonio della musica sacra o la tradizione del canto gregoriano come l'espressione "di una concezione rispondente ad un passato da superare e da trascurare, perché limitativo della libertà e della creatività del singolo e delle comunità" (13 maggio 2011). Come risposta a queste posizioni il papa ribadisce la centralità di una Liturgia in cui il vero soggetto è la Chiesa: "Non è il singolo o il gruppo che celebra la Liturgia, ma essa è primariamente azione di Dio attraverso la Chiesa, che ha la sua storia, la sua ricca tradizione e la sua creatività". Occorre perciò, afferma il Santo Padre, tener presente il patrimonio storico-liturgico per mantenere "un corretto e costante rapporto tra 'sana 'traditio' e legittima 'progressio''" (6 maggio 2011) nel quale, come reso esplicito dalla "Sacrosanctum Concilium" (n.23), questi due aspetti si integrano dal momento che "la tradizione è una realtà viva e include perciò in se stessa il principio dello sviluppo e del progresso" (6 maggio 2011). Dal discorso che Benedetto XVI tesse sulla musica, anche attraverso i giudizi che di volta in volta formula sui diversi compositori (Vivaldi, Händel, Bach, Mozart, Beethoven, Rossini, Schubert, Mendelssohn, Liszt, Verdi, Bruckner), emergono non solo una grande competenza ma anche una notevole finezza interpretativa, segno di una particolare sensibilità per questa universale forma di espressione artistica e per gli ideali di verità, bontà e bellezza che la musica comunica e modula. Perciò è ancora il Papa a sottolineare il suo debito di gratitudine verso quest'arte e verso tutti coloro che ad essa, fin da bambino, lo hanno accostato: "Nel guardare indietro alla mia vita, – egli ha modo di dire con parole davvero toccanti – ringrazio Iddio per avermi posto accanto la musica quasi come una compagna di viaggio, che sempre mi ha offerto conforto e gioia. Ringrazio anche le persone che, fin dai primi anni della mia infanzia, mi hanno avvicinato a questa fonte di ispirazione e di serenità" (16 aprile 2007). E l'augurio che egli esprime, a conclusione di un concerto, fa capire molto bene l'alto valore e il posto davvero centrale che egli assegna alla musica non solo nella sua vita ma in quella di tutti: "Ecco il mio auspicio: che la grandezza e la bellezza della musica possano donare anche a voi, cari amici, nuova e continua ispirazione per costruire un mondo di amore, di solidarietà e di pace".

Lucio Coco, Korazym.org

Interrogatori senza avvocati, perquisizioni in territorio italiano: dal processo emergono diverse incongruenze nell'indagine della Gendarmeria vaticana sul furto di documenti

E' risultato evidente fin dalla prima udienza che il ruolo degli uomini della sicurezza vaticana nel processo all'ex maggiordomo del Papa Paolo Gabriele sul caso della fuga di documenti riservati dal Vaticano, sia stato decisivo. D'altro canto i testimoni chiamati in causa sulla posizione dei due imputati sono per la maggior parte agenti e guardie svizzere. Su ben 13 testi infatti indicati nel corso della prima udienza da accusa e difesa per i due imputati (l'altro è Claudio Sciarpelletti, tecnico informatico della Segreteria di Stato), 7 erano uomini della Gendarmeria vaticana e uno il vice comandante delle guardie svizzere William Kloter. Con una particolarità però: quest'ultimo, insieme al capo della Gendarmeria Domenico Giani (nella foto con Benedetto XVI) e all'agente Gianluca Guzzi Broccoletti, non testimonieranno, almeno per ora, in quanto erano stati convocati per l'accusa di favoreggiamento di Sciarpelletti, la cui posizione è stata stralciata e la data del processo da definirsi. Quando questo procedimento verrà celebrato si chiariranno aspetti che aiuteranno a illuminare l'intera vicenda. E tuttavia emergono fin da subito particolari interessanti che rischiano di far tremare non poco i vari corpi della sicurezza vaticana. Il più significativo è il seguente. Fra le eccezioni sollevate dalla difesa di Paolo Gabriele sostenuta dall'avvocato Cristiana Arru, una riguarda la perquisizione compiuta nell'appartamento di Gabriele a Castel Gandolfo, "la seconda sede del vescovo di Roma" come l'ha chiamata due giorni fa il Papa. Si è appreso che l'appartamento di Gabriele si troverebbe in territorio italiano e, secondo la difesa, la perquisizione sarebbe stata messa in atto senza autorizzazione. Il pubblico ministero vaticano, l'avvocato Nicola Picardi, ha replicato che il capo della Gendarmeria Domenico Giani, aveva chiesto il via libera a mons. Angelo Becciu, Sostituto per la Segreteria di Stato. Perché proprio a lui? Becciu ha in carico le relazioni con lo Stato italiano, dunque un'eventuale perquisizione doveva avvenire in accordo con le autorità del nostro Paese. Sulla questione il tribunale ha scelto una strada 'pilatesca': non ha né accolto né respinto l'eccezione, e ha rimandato tutta la faccenda al dibattimento. Il fatto non è secondario: se infatti si stabilisse che l'indagine a casa di Gabriele ha dei difetti formali, una parte delle 82 casse di materiale sequestrato a Gabriele potrebbe essere esclusa dal procedimento, ma va ricordato che, sempre secondo la difesa, gli stessi documenti non sono stati inventariati in modo chiaro. A ciò si collega un altro fatto. Oltre all'appartamento nella cittadina di Castel Gandolfo e a quello all'interno delle mura vaticane, la stessa famiglia di Gabriele ne ha un terzo in Borgo Angelico, adiacente al Vaticano ma in territorio italiano. Questa casa è stata mai perquisita dalla sicurezza vaticana? Fonti della Segreteria di Stato ce lo smentiscono, e lo stesso fa padre Federico Lombardi in una dichiarazione a Il Secolo XIX: "Fuori del Vaticano (quindi in Italia, fuori della giurisdizione vaticana) abitano i suoceri, non Gabriele, e non è stata fatta alcuna perquisizione e non vi era motivo di farla". Resta la curiosità del fatto che un appartamento dove potevano trovarsi altre carte rilevanti non sarebbe stato preso in esame dagli inquirenti. Ancora sono stati espulsi dagli atti processuali due interrogatori a Gabriele condotti dallo stesso Giani, all'inizio di quest'inchiesta, perché fatti in assenza degli avvocati difensori. Altro documento che non verrà preso in considerazione è quello del colloquio di nuovo fra il capo della Gendarmeria e il segretario del Papa mons. Gaenswein. La motivazione è che i due avevano parlato della possibilità che l'assegno di 100mila euro sottratto dall'ex maggiordomo potesse essere da questi incassato. Il che, pare, sarebbe poco inerente all'indagine. Sullo sfondo rimangono poi i riferimenti contenuti nel libro di Gianluigi Nuzzi, "Sua Santità", sulle attività imprenditoriale extra-vaticane di alcuni dei gendarmi specializzati in sistemi di alta sicurezza. Si fa il nome di Gianluca Gauzzi Broccoletti, di Stefano Fantozzi, e di Enzo Sammarco, le società citate nel volume sono quelle della Egss Advising e della Consulting Security. Si tratta di sicurezza informatica altamente qualificata, attività da moderni 007. Sul piano giudiziario ovviamente non c'è nulla di specifico, tuttavia resta un nodo formale non da poco: si tratta di agenti che agirebbero in due Stati, probabilmente con doppia cittadinanza, svolgendo attività di intelligence a cavallo fra Italia e Vaticano.
 
Francesco Peloso, Il mondo di Annibale