sabato 15 settembre 2012

A Bkerké la GMG del Medio Oriente. I giovani del Libano che hanno aspettato per ore Benedetto XVI, tra speranza e inquietudine per il futuro

Hanno sventolato le centinaia di bandiere bianche e gialle del Vaticano che l'organizzazione ha dato loro all'ingresso; hanno ballato per ore sotto il sole, alla musica libanese sparata a tutto volume dagli altoparlanti; hanno battuto le mani e salutato con entusiasmo le centinaia di telecamere arrivate da tutto il mondo. Ma se sono venuti sulla collina di Bkerké è soltanto per un motivo: per vedere il Papa. “È una grande gioia che il Papa sia qua, è stato molto coraggioso a venire in Libano proprio in questo momento”, dice Jeanne, studentessa all'università gesuita di Beirut, la Saint Joseph. Per lei, la cosa più importante è che Benedetto XVI non abbia rinunciato al suo viaggio ad alto rischio in Medio Oriente, malgrado la vicinanza della polveriera siriana e le proteste anti-occidentali che infiammano la regione in questi giorni. “Il fatto che sia venuto dà grande coraggio ai cristiani del Medio Oriente che ne hanno molto bisogno. Il Papa li rende fieri e fa loro sentire che non sono soli, che la Chiesa dell'Occidente sta loro vicino”. Per vedere meglio il Pontefice quando arriverà, si è arrampicata alla struttura in ferro che sostiene uno dei palchi. E non è la sola. A decine, mentre gli uomini dell'organizzazione guardano dall'altra parte, provano a scavalcare le barriere e entrare nella zona riservata alla stampa, per essere in posizione migliore e cogliere uno scorcio di papa Ratzinger. Molti di loro indossano una maglietta da calcio con il nome “Benoit” e il numero 16. Moltissimi altri, la maglietta realizzata per l'arrivo del pontefice dal Cammino Neocatecumenale. Per Masar Louis, sarà il secondo 'incontro' con Benedetto XVI. Nel 2010 ha viaggiato da Erbil, nel Kuridistan iracheno, fino a Madrid per la Giornata Mondiale della Gioventù: “Ma quel giorno era lontanissimo, oggi spero di vederlo da più vicino”. Questa volta, a lui e ai suoi 230 compagni, è bastata una notte in pullman. “In Kurdistan – racconta – la vita ora non è difficile per noi. Ma nel resto dell'Iraq sì”, perché i rapimenti dei cristiani continuano. Se gli si chiede della Siria, non nasconde il suo pessimismo: “Ci sono gruppi estremisti che arrivano nel Paese. Sarà molto dura per i cristiani”. Una storia che gli ricorda in maniera preoccupante quella del suo Paese: “Saddam Hussein era un dittatore e molto cattivo ma almeno non uccideva i cristiani”. Per Bashar Assad, evidentemente, vale lo stesso discorso. Chissà se i giovani arrivati dalla Siria la pensano allo stesso modo. Ma, diversamente dai loro fratelli iracheni, non sventolano con fierezza le bandiere del loro Paese; in mezzo alle circa 20mila persone che affollano la spianata del Patriarcato maronita, è impossibile rintracciarli. Ma su tutti loro, anche quelli del Libano dove un tempo erano maggioranza e ora non più, pesa lo spettro di un futuro incerto in una regione che a volta sembra loro destinata a diventare sempre più ostile. “Questi giovani”, dice il patriarca maronia Bechara Rai, sono “assetati di speranza” ma mentre attorno a loro tutto cambia sempre più in fretta, sono presi dalla “inquietudine”: “Sopportano crisi politiche, sociali, economiche e culturali che intaccano la loro fede e conducono alcuni alla perdita... del loro radicamento nelle loro terre e Chiese”. Il Papa arriva proprio mentre il sole inizia a tramontare nel mare dietro il palazzo del Patriarcato. I giovani di Benedetto XVI, raddoppiano i canti mentre la calura si allenta. Gli portano doni, gli raccontano doni, intonano antiche litanie e inni modernissimi. Alla fine, una ventina di loro innalza una croce e raccontano le loro storie. “Vogliamo restare legati all'Oriente, radicati nella nostra terra – dicono dal palco –, non per fanatismo ma per conservare l'unicità di questa parte di mondo”.

Alessandro Speciale, Vatican Insider

I saluti al Papa e le testimonianze dei giovani: la Chiesa in Medio Oriente non si pieghi sotto il fardello dell'odio, della paura e della sofferenza

La preoccupazione delle nuove generazioni per il futuro del Libano e del Medio Oriente è stata espressa al Papa dal patriarca di Antiochia dei maroniti, Béchara Boutros Raï, nel saluto rivoltogli all’inizio dell’incontro con i giovani. Il patriarca ha anche manifestato il bisogno per questi ultimi "da un lato di un incontro personale con Cristo" e dall’altro "della ricerca di mezzi atti a confermare i valori di libertà, di uguaglianza dei diritti e dei doveri e di dignità umana, nei loro diversi Paesi". Quindi ha descritto la situazione in cui si trovano attualmente i giovani, i quali "stanno subendo crisi politiche, sociali, economiche e culturali, che minano la loro fede e portano alcuni di essi alla perdita del vero senso dell’identità cristiana e del radicamento nella propria terra e nella propria Chiesa. I loro timori aumentano dinanzi alla crescita del fondamentalismo religioso, che non crede al diritto alla diversità né alla libertà di coscienza o di culto, e che ricorre alla violenza come unico mezzo per raggiungere i suoi obiettivi". Ecco perché i giovani hanno bisogno di riscoprire valori quali "la convivialità, la riconciliazione e la fiducia reciproca. Di fatto - ha concluso - una cultura di pace si può edificare solo su simili valori". Alle sue parole hanno fatto eco quelle del presidente del consiglio per l’Apostolato dei laici in Libano, l’arcivescovo Georges Bou-Jaoudé, il quale ha definito i giovani presenti "consapevoli della responsabilità che hanno, di essere testimoni pronti alla difesa contro chiunque chiedesse ragione della speranza che è in loro". Infatti, sanno di "essere chiamati a ricostruire insieme il proprio Paese su solide basi, dopo i lunghi decenni di guerra che il Libano ha vissuto. È lo stesso sentimento che provano i giovani dei Paesi arabi vicini - ha aggiunto - dopo gli sconvolgimenti vissuti dai loro diversi Paesi durante quella che è stata definita la primavera araba, sperando che sia veramente una primavera". Quindi ha fatto riferimento alla nuova evangelizzazione e all’Anno della fede, che aiuteranno i giovani "a riflettere e a vivere meglio il loro impegno cristiano", e ai problemi e ai timori per l’avvenire, in quanto le nuove generazioni "vedono il loro Paese svuotarsi progressivamente della presenza cristiana. Sono delusi di non poter partecipare alla ricostruzione dei loro Paesi, scossi da pressioni integraliste di ogni sorta e - ha concluso - provati dal male di riconciliarsi con la modernità". Successivamente ha salutato il Papa l’arcivescovo greco-melkita Elie Haddad, che ha messo in luce come le nuove generazioni "nel quadro di una secolarizzazione dei valori, sono sempre più attaccate alla Chiesa, madre e maestra. Dopo vent’anni di guerra atroce in Libano, e in un clima rivoluzionario in Medio Oriente, le nuove generazioni attendono una nuova Pentecoste». Purtroppo - ha detto - c’è da registrare la grande sfida dell’immigrazione e della confusione esistenziale "che si estende tra politica e religione". Prova ne è "l’eclisse dei regimi". Da parte sua la Chiesa, ha detto, si propone come "luogo sicuro per diventare santi, nonostante le ingiustizie di cui è oggetto". Il presule ha infine spiegato che tra i presenti c’erano molti giovani religiosi e religiose e di altre comunità cristiane e musulmane. Sono seguite poi le testimonianze di due giovani. "Oggi più che mai - hanno detto - abbiamo bisogno della presenza attiva della Chiesa in questo Medio Oriente che si sta piegando sotto il fardello dell’odio, della paura, della disperazione e della sofferenza". Per questo, la presenza del Papa in Libano "nonostante le circostanze in cui viviamo è una sfida alla logica della guerra e della disperazione". Un riferimento alla situazione attuale della regione, nella quale la gioventù sprofonda "in un mare di difficoltà, di apprensione e di paure; molti giovani della nostra generazione vivono un profondo smarrimento, sperimentano lo scoramento e affrontano la corruzione. Le difficoltà che si presentano alla famiglia cristiana - siano esse legate allo stato della sicurezza, alle crisi politiche ed economiche o alla disoccupazione - sono immense e comprendono tra l’altro la perdita del senso sacramentale del matrimonio, l’ateismo contemporaneo, la discriminazione religiosa e razziale, le piaghe sociali costituite dalla tossicodipendenza e dall’alcolismo". Da qui il senso di sfiducia che spinge molti ragazzi a emigrare. Ma nel cuore delle nuove generazioni abita anche l’aspirazione alla pace e la speranza in un futuro senza guerre. "Sogniamo - ha detto uno dei portavoce dei giovani - un futuro in cui avremo un ruolo attivo, in cui lavoreremo insieme ai nostri fratelli, giovani di diverse religioni, per costruire la civiltà dell’amore, per edificare patrie in cui siano rispettati i diritti e le libertà dell’uomo, in cui sia tutelata la sua dignità". Per questo va ricercata la cultura della pace e condannata la violenza, per "essere ponti viventi di dialogo e di cooperazione", visto anche che «molti sperimentano l’amicizia, la comunione e il buon vicinato con i ragazzi e le ragazze appartenenti ad altre religioni. Sono esperienze uniche che ci distinguono in Medio Oriente". Purtroppo, però, c’è la paura dei fondamentalismi, che seducono alcuni e intralciano il dialogo. Per questo i due giovani hanno concluso auspicando "una Chiesa che accolga i suoi giovani, che li ascolti e che tenga conto delle sfide che devono affrontare, che stia al loro fianco in modo attivo e concreto, che li porti a scoprire il Cristo vivente nella sua Parola".

L'Osservatore Romano

Il Papa: giovani, siete la speranza e il futuro del Libano. Avete un posto nel mio cuore. La Chiesa ha bisogno del vostro entusiasmo e creatività!

Questo pomeriggio il Santo Padre Benedetto XVI ha lasciato la Nunziatura Apostolica di Harissa e si è trasferito in auto al Patriarcato Maronita di Bkerké dove ha incontrato oltre 30mila giovani del Libano e del Medio Oriente ed alcune migliaia di giovani religiosi e seminaristi. L’incontro si è svolto in forma di Celebrazione della Parola ed è stato introdotto dal saluto del Patriarca di Antiochia dei Maroniti, Sua Beatitudine Béchara Boutros Raï. Dopo l’intervento dell’arcivescovo di Tripoli del Libano dei Maroniti, mons. Georges Bou-Jaoudé, presidente del Consiglio per l’apostolato dei laici del Libano e la presentazione del vice-presidente del medesimo Consiglio, mons. Elie Haddad, arcivescovo di Saïda dei Greco-Melkiti, alcuni giovani hanno portato la loro testimonianza.
“Voi vivete oggi in questa parte del mondo che ha visto la nascita di Gesù e lo sviluppo del cristianesimo. È un grande onore! Ed è un appello alla fedeltà, all'amore per la vostra terra e soprattutto ad essere testimoni e messaggeri della gioia di Cristo, come hanno mostrato tanti Santi e Beati di questo Paese”, ha esordito il Papa nel suo discorso. "Il loro messaggio - ha proseguito - illumina la Chiesa universale. E può continuare ad illuminare le vostre vite. Fra gli Apostoli e i Santi, molti hanno vissuto periodi agitati e la loro fede è stata la sorgente del loro coraggio e della loro testimonianza. Attingete dal loro esempio e dalla loro intercessione l'ispirazione e il sostegno di cui avete bisogno!". Il Papa è anche consapevole delle “difficoltà” dei giovani “nella vita quotidiana, a causa della mancanza di stabilità e di sicurezza, della difficoltà di trovare un lavoro o ancora del sentimento di solitudine e di emarginazione”. “Anche la disoccupazione e la precarietà – ha sostenuto - non devono spingervi ad assaggiare il ‘miele amaro’ dell'emigrazione, con lo sradicamento e la separazione in cambio di un futuro incerto. Per voi si tratta di essere protagonisti del futuro del vostro Paese, e di occupare il vostro ruolo nella società e nella Chiesa”. "Voi avete un posto privilegiato nel mio cuore e nella Chiesa intera perché la Chiesa è sempre giovane! La Chiesa ha fiducia in voi. Conta su di voi. Siate giovani nella Chiesa! Siate giovani con la Chiesa! La Chiesa ha bisogno del vostro entusiasmo e della vostra creatività! La giovinezza è il momento in cui si aspira a grandi ideali e il periodo in cui si studia per prepararsi ad un mestiere ed ad un futuro. Ciò è importante e richiede tempo. Cercate ciò che è bello, e abbiate il gusto di fare ciò che è bene!”, ha aggiunto il Santo Padre, che ha invitato i ragazzi ad avere “la delicatezza e la rettitudine dei cuori puri!” e a non aver “paura”. E con le parole di Giovanni Paolo II ha esortato: “Aprite le porte dei vostri spiriti e dei vostri cuori a Cristo!”. In Lui, “troverete la forza e il coraggio per avanzare sulle strade della vostra vita, superando le difficoltà e la sofferenza. In Lui, troverete la sorgente della gioia”. “Le frustrazioni presenti – ha sottolineato - Benedetto XVI - non devono condurvi a rifugiarvi in mondi paralleli come quelli, tra gli altri, delle droghe di ogni tipo, o quello della tristezza della pornografia”. Quanto alle reti sociali, “esse sono interessanti ma possono facilmente trascinarvi alla dipendenza e alla confusione tra il reale e il virtuale. Cercate e vivete relazioni ricche di amicizia vera e nobile. Abbiate iniziative che diano senso e radici alla vostra esistenza, contrastando la superficialità e il facile consumismo!”. Il Papa ha messo in guardia anche da “un'altra tentazione, quella del denaro, questo idolo tirannico che acceca al punto da soffocare la persona e il suo cuore”. Poi l’invito a cercare “dei buoni maestri, delle guide spirituali che sappiano indicarvi la strada della maturità, lasciando ciò che è illusorio, ciò che è apparenza e menzogna”. “Siate i portatori dell'amore di Cristo”, ha continuato il Pontefice, "volgendovi senza riserve verso Dio, suo Padre, che è la misura di ciò che è giusto, vero e buono. Meditate la Parola di Dio! Scoprite l'interesse e l'attualità del Vangelo. Pregate!". In Cristo “tutti gli uomini sono nostri fratelli – ha spiegato il Santo Padre -. La fraternità universale che Egli ha inaugurato sulla Croce riveste di una luce splendente ed esigente la rivoluzione dell'amore”. L’amore reciproco “è il testamento di Gesù ed il segno del cristiano. Questa è la vera rivoluzione dell'amore!”. In realtà, “Cristo vi invita a fare come Lui, ad accogliere l'altro senza riserve, anche se appartiene ad una cultura, religione, nazione differente. Fargli posto, rispettarlo, essere buoni verso di lui, rende sempre più ricchi di umanità e forti della pace del Signore”. Ricordando l’impegno di molti giovani nelle attività promosse dalle parrocchie, dalle scuole, dai movimenti, dalle associazioni, ha affermato: “È bello impegnarsi con e per gli altri. Vivere insieme momenti di amicizia e di gioia permette di resistere ai germi di divisione, sempre da combattere! La fraternità è un anticipo del Cielo!”. Benedetto ha rivolto un appello ai giovani: “Siate i messaggeri del Vangelo della vita e dei valori della vita. Resistete coraggiosamente a tutto ciò che la nega: l'aborto, la violenza, il rifiuto e il disprezzo dell'altro, l'ingiustizia, la guerra”. Così facendo “diffonderete la pace intorno a voi”. “Non è forse la pace il bene prezioso che tutta l'umanità ricerca? Non è forse un mondo di pace che vogliamo nel più profondo per noi e per gli altri?”, ha domandato il Papa. Gesù “ha vinto il male non mediante un altro male, ma prendendolo su di Sé ed annientandolo sulla croce mediante l'amore vissuto fino alla fine. Scoprire in verità il perdono e la misericordia di Dio, permette sempre di ripartire verso una vita nuova. Non è facile perdonare. Ma il perdono di Dio dà la forza della conversione, e la gioia di perdonare a propria volta. Il perdono e la riconciliazione sono vie di pace, ed aprono un futuro”. "Molti tra voi si chiedono certamente in modo più o meno consapevole: Che cosa Dio si aspetta da me? Qual è il suo progetto per me?", ha detto quindi il Papa: "Trovate il tempo per riflettere su di esse e chiedere luce. Rispondete all’invito, offrendovi ogni giorno a Colui che vi chiama ad essere suoi amici. Cercate di seguire con cuore e generosità Cristo che, per amore, ci ha riscattati e ha dato la vita per ciascuno di noi. Conoscerete una gioia ed una pienezza insospettate! Rispondere alla vocazione di Cristo su di sé: qui sta il segreto della vera pace". L'Esortazione Apostolica "Ecclesia in Medio Oriente" "è destinata anche a voi, cari giovani, come a tutto il popolo di Dio. Leggetela con attenzione e meditatela per metterla in pratica", anche voi "potete essere una lettera viva di Cristo. Questa lettera non sarà scritta su carta e con una penna. Sarà la testimonianza della vostra vita e della vostra fede. Così, con coraggio ed entusiasmo, farete comprendere intorno a voi che Dio vuole la felicità di tutti senza distinzioni, e che i cristiani sono i suoi servitori e testimoni fedeli". “Giovani libanesi – ha evidenziato il Pontefice -, voi siete la speranza e il futuro del vostro Paese. Voi siete il Libano, terra di accoglienza, di convivenza, con questa capacità inaudita di adattamento. E in questo momento, non possiamo dimenticare i milioni di persone che compongono la diaspora libanese e che mantengono solidi legami con il loro Paese di origine. Giovani del Libano, siate accoglienti e aperti, come Cristo vi chiede e come il vostro Paese vi insegna”. Il Santo Padre, salutando i giovani musulmani presenti all’incontro, ha dichiarato: “Vi ringrazio per la vostra presenza che è così importante. Voi siete con i giovani cristiani il futuro di questo meraviglioso Paese e dell’insieme del Medio Oriente. Cercate di costruirlo insieme”. E “quando sarete adulti continuate a vivere la concordia nell’unità con i cristiani, poiché la bellezza del Libano si trova in questa bella simbiosi. Bisogna che l’intero Medio Oriente, guardando voi, comprenda che i musulmani e i cristiani, l’islam e il cristianesimo, possono vivere insieme senza odio, nel rispetto del credo di ciascuno, per costruire insieme una società libera e umana”. Benedetto XVI si è rivolto, quindi, ai giovani venuti dalla Siria: “Voglio dirvi quanto ammiro il vostro coraggio. Dite a casa vostra, ai familiari e agli amici che il Papa non vi dimentica. Dite attorno a voi che il Papa è triste a causa delle vostre sofferenze e dei vostri lutti. Egli non dimentica la Siria nelle sue preghiere e nelle sue preoccupazioni. Il Papa non dimentica i mediorientali. È tempo che musulmani e cristiani si uniscano per mettere fine alla violenza e alle guerre”.
Al termine dell’incontro, il Papa si è raccolto in preghiera nella cappella del Patriarcato assieme al Patriarca maronita Bechara Raï.


Radio Vaticana, SIR

VIAGGIO APOSTOLICO IN LIBANO (VII) - il testo integrale del discorso del Papa

Il Papa: alla scuola del monaco Hagop possiamo imparare il senso della missione, il coraggio della verità e il valore della fraternità nell’unità

Al termine dell'incontro nel Salone "25 maggio" del Palazzo presidenziale di Baabda, Benedetto XVI è rientrato in auto alla nunziatura apostolica di Harissa, da dove si è trasferito al patriarcato armeno-cattolico di Bzommar per il pranzo con i patriarchi e i vescovi del Libano, i membri del consiglio speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei vescovi e il seguito papale. Accolto al suo arrivo dal patriarca di Cilicia degli Armeni, Sua Beatitudine Nersès Bédros XIX Tarmouni, il Papa ha benedetto la statua del monaco armeno Hagop, estensore del primo libro stampato in lingua armena, pubblicato nel 1512. Benedetto XVI ha rivolto parole di gratitudine al patriarca Nerses Bedros, rievocando la figura del fondatore di questa Chiesa, il monaco Hagop, soprannominato Méghabarde, il pescatore, “esempio di preghiera, di distacco dai beni materiali e di fedeltà a Cristo”. Hagop 500 anni fa, ha ricordato il Papa, promosse “la pubblicazione del Libro del Venerdì stabilendo un ponte tra l’Oriente e l’Occidente cristiani”. “Alla sua scuola, – ha sottolineato il Santo Padre – noi possiamo apprendere il significato della missione, il coraggio della verità ed il valore della fraternità”. Benedetto XVI ha quindi impartito una speciale benedizione alla comunità armena “duramente provata lungo i secoli”, invocando il Signore “d’inviare alla sua messe operai numerosi e santi che siano capaci di cambiare il volto della nostra società, di guarire i cuori feriti e di ridare coraggio, forza e speranza ai disperati”. Concluso il pranzo, il Papa ha fatto ritorno alla nunziatura apostolica di Harissa.

TMNews, Radio Vaticana

VIAGGIO APOSTOLICO IN LIBANO (VI) - il testo del saluto del Papa

Il presidente Sleiman al Papa: un messaggio di amore e di pace in una fase decisiva per la nostra vita nazionale. Vogliamo essere patria del dialogo

Il significato eccezionale del viaggio del Papa in terra libanese è stato ribadito dal presidente della Repubblica Michel Sleiman nel discorso pronunciato in arabo che ha preceduto il discorso di Benedetto XVI. Il Pontefice, ha detto il capo dello Stato, porta un messaggio di amore e di pace, sui passi del suo predecessore Giovanni Paolo II, "in una fase decisiva per la nostra vita nazionale". E se alcuni sembrano alimentare "la logica della violenza e il conseguente rischio della frammentazione", il presidente Sleiman ha assicurato che "il Libano vuole essere patria del dialogo, della convergenza di opinioni e della compatibilità". In proposito ne ha sottolineato la vigente "libertà di credo", così come "la convivenza tra le religioni, che si fonda sull’integrazione costruttiva e sull’arricchimento reciproco", tanto che esponenti di tutte le fedi partecipano alla gestione degli affari pubblici. Dopo aver espresso apprezzamento nei confronti della Santa Sede, perché "nei suoi orientamenti non si ispira a interessi economici e materiali, ma alla ricerca obiettiva e attenta del bene pubblico e alla dignità dell’uomo", il presidente ha concluso il suo saluto facendo riferimento in particolare ai diritti delle donne e a quelli dei giovani.

L'Osservatore Romano

Il Papa: efficacia dell’impegno per la pace dipende dalla concezione che il mondo può avere della vita umana. Se vogliamo la pace, difendiamo la vita!

A conclusione degli incontri privati del Santo Padre Benedetto XVI con le autorità dello Stato e con i capi delle Comunità musulmane, il presidente della Repubblica, Gen Michel Sleiman, ha accompagnato il Papa nell’attiguo giardino del Palazzo per una cerimonia simbolica in cui è stato piantato un vedro del Libano. Quindi, il Santo Padre e il presidente sono entrati nel Salone "25 maggio" dove erano sono riuniti le autorità istituzionali, i membri del Governo, il Corpo Diplomatico, i capi religiosi e i rappresentanti del mondo della cultura, oltre ai membri del seguito papale ed ai patriarchi e vescovi libanesi. Assieme al presidente della Repubblica, ha esordito nel suo discorso il Papa, "ho appena piantato un cedro del Libano, simbolo del vostro bel Paese". "Vedendo questo alberello e le cure di cui avrà bisogno per fortificarsi fino a stendere i suoi rami maestosi, ho pensato - ha poi confidato Joseph Ratzinger - al vostro Paese e al suo destino, ai libanesi e alle loro speranze, a tutte le persone di questa Regione del mondo che sembra conoscere i dolori di un parto senza fine". "Ho domandato a Dio - ha continuato il Papa - di benedirvi, di benedire il Libano e di benedire tutti gli abitanti di questa Regione che ha visto nascere grandi religioni e nobili culture. Perche' Dio ha scelto questa Regione? Perchè essa vive nella tormenta? Dio l'ha scelta, mi sembra, affinchè sia esemplare, affinchè testimoni di fronte al mondo la possibilità che l'uomo ha di vivere concretamente il suo desiderio di pace e di riconciliazione! Questa aspirazione è inscritta da sempre nel piano di Dio, che l'ha impressa nel cuore dell'uomo". “Al fine di assicurare il dinamismo necessario per costruire e consolidare la pace, occorre instancabilmente tornare ai fondamenti dell’essere umano. La dignità dell’uomo è inseparabile dal carattere sacro della vita donata dal Creatore”. Per il Papa "nel disegno di Dio, ogni persona è unica e insostituibile. Essa viene al mondo in una famiglia, che è il suo primo luogo di umanizzazione, e soprattutto la prima educatrice alla pace. Per costruire la pace, la nostra attenzione deve dunque portarsi verso la famiglia, al fine di facilitare il suo compito, per sostenerla così e dunque promuovere dappertutto una cultura di vita. L'efficacia dell'impegno per la pace - ha affermato - dipende dalla concezione che il mondo può avere della vita umana. Se vogliamo la pace, difendiamo la vita! Questa logica squalifica non solo la guerra e gli atti terroristici, ma anche ogni attentato alla vita dell'essere umano, creatura voluta da Dio". "Dobbiamo dunque unire i nostri sforzi per sviluppare una sana antropologia che comprenda l’unità della persona. Senza di essa, non è possibile costruire l’autentica pace. Benché siano più evidenti nei Paesi che conoscono conflitti armati - queste guerre piene di vanità e di orrori -, gli attentati all'integrità e alla vita delle persone esistono anche in altri Paesi", ha proseguito Benedetto XVI. "La disoccupazione, la povertà, la corruzione, le diverse dipendenze, lo sfruttamento, i traffici di ogni sorta e il terrorismo implicano, assieme alla sofferenza inaccettabile di quanti ne sono vittime, un indebolimento del potenziale umano. La logica economica e finanziaria vuole continuamente imporci il suo giogo e far primeggiare l'avere sull'essere! Ma la perdita di ogni vita umana è una perdita per l'umanità intera. Questa è una grande famiglia di cui siamo tutti responsabili. Certe ideologie, mettendo in causa in modo diretto o indiretto, o persino legale, il valore inalienabile di ogni persona e il fondamento naturale della famiglia, minano le basi della società. Dobbiamo essere coscienti di questi attentati all'edificazione e all'armonia del vivere insieme. Solo una solidarietà effettiva costituisce l'antidoto a tutto questo". “Una migliore qualità di vita e di sviluppo integrale - ha aggiunto - non è possibile che nella condivisione delle ricchezze e delle competenze, rispettando la dignità di ciascuno”. Ma “un tale stile di vita conviviale, sereno e dinamico non può esistere senza la fiducia nell’altro, chiunque sia. Oggi, le differenze culturali, sociali, religiose, devono approdare a vivere un nuovo tipo di fraternità, dove appunto ciò che unisce è il senso comune della grandezza di ogni persona, e il dono che essa è per se stessa, per gli altri e per l’umanità. Qui si trova la via della pace!”. “Per aprire alle generazioni di domani un futuro di pace”, il primo compito è “educare alla pace per costruire una cultura di pace. L’educazione, nella famiglia o a scuola, dev’essere anzitutto educazione ai valori spirituali che conferiscono alla trasmissione del sapere e delle tradizioni di una cultura il loro senso e la loro forza”. Ma è solo “nella libertà che l’uomo può volgersi verso il bene”. Il compito dell’educazione è “di accompagnare la maturazione della capacità di fare scelte libere e giuste, che possano andare contro-corrente rispetto alle opinioni diffuse, alle mode, alle ideologie politiche e religiose”. D’altronde, “valorizzando le opere pacifiche e il loro influsso per il bene comune, si crea anche l’interesse per la pace”. L’educazione alla pace formerà “uomini e donne generosi e retti, attenti a tutti, e particolarmente alle persone più deboli. Pensieri di pace, parole di pace e gesti di pace creano un’atmosfera di rispetto, di onestà e di cordialità, dove gli sbagli e le offese possono essere riconosciuti in verità per avanzare insieme verso la riconciliazione. Che gli uomini di Stato e i responsabili religiosi vi riflettano!”, è stato il monito. “Dobbiamo essere ben coscienti - ha avvertito Benedetto XVI - che il male non è una forza anonima”, ma “passa attraverso la libertà umana, attraverso l’uso della nostra libertà. Cerca un alleato, l’uomo”. Eppure è possibile “vincere il male con il bene. È a questa conversione del cuore che siamo chiamati”. Senza di essa, “le ‘liberazioni’ umane tanto desiderate deludono”. "La trasformazione in profondità dello spirito e del cuore è necessaria per ritrovare una certa chiaroveggenza e una certa imparzialità, il senso profondo della giustizia e quello del bene comune. Uno sguardo nuovo e più libero renderà capaci di analizzare e di mettere in discussione sistemi umani che conducono a vicoli ciechi, per andare avanti tenendo conto del passato, per non ripeterlo più con i suoi effetti devastanti". Questa conversione richiesta è “esaltante perché apre delle possibilità facendo appello alle innumerevoli risorse che abitano il cuore di tanti uomini e donne desiderosi di vivere in pace e pronti ad impegnarsi per la pace”. Si tratta “di dire no alla vendetta, di riconoscere i propri torti, di accettare le scuse senza cercarle, e infine di perdonare”. Solo allora “può crescere la buona intesa tra le culture e le religioni, la stima delle une per le altre senza sensi di superiorità e nel rispetto dei diritti di ciascuna”. In Libano “la cristianità e l’islam occupano lo stesso spazio da secoli. Non è raro vedere le due religioni nella stessa famiglia. In un’unica famiglia ciò è possibile. Perché non sarebbe possibile al livello dell’insieme delle società?”. “La specificità del Medio Oriente - ha continuato - consiste nella mescolanza secolare di componenti diverse. Certo, ahimè, esse si sono anche combattute! Una società plurale esiste solo nel reciproco rispetto, nell’accettazione dell’altro e nel dialogo continuo. Il dialogo tra gli uomini è possibile solamente nella consapevolezza che esistono valori comuni a tutte le grandi culture, perché sono radicate nella natura della persona umana”. Nell’affermazione della loro esistenza, “le diverse religioni recano un contributo decisivo. Non dimentichiamo che la libertà religiosa è il diritto fondamentale da cui molti altri dipendono. Professare e vivere liberamente la propria religione senza mettere in pericolo la propria vita e la propria libertà deve essere possibile a chiunque”. "La libertà religiosa ha una dimensione sociale e politica indispensabile alla pace!", ha detto Benedetto XVI. "Essa promuove una coesistenza ed una vita armoniose attraverso l'impegno comune al servizio di nobili cause e la ricerca della verità, che non si impone con la violenza ma con 'la forza stessa della verità', quella Verità che è in Dio. Perché la fede vissuta conduce inevitabilmente all'amore. La fede autentica non può condurre alla morte. L'artigiano di pace è umile e giusto. I credenti hanno dunque oggi un ruolo essenziale, quello di testimoniare la pace che viene da Dio e che è un dono fatto a tutti nella vita personale, familiare, sociale, politica ed economica. L'inoperosità degli uomini dabbene non deve permettere al male di trionfare. E il non far nulla - ha detto il Papa - è ancora peggio". Queste brevi riflessioni "non possono rimanere ideali semplicemente enunciati. Possono e devono essere vissuti. Siamo in Libano ed è qui che devono essere vissuti. Il Libano è chiamato, ora più che mai, ad essere un esempio. Politici, diplomatici, religiosi, uomini e donne del mondo della cultura, vi invito dunque a testimoniare con coraggio intorno a voi, a tempo opportuno e inopportuno, che Dio vuole la pace, che Dio ci affida la pace", ha concluso il Pontefice.

Agi, SIR, TMNews

VIAGGIO APOSTOLICO IN LIBANO (V) - il testo integrale del discorso del Papa

Benedetto XVI incontra i capi delle comunità musulmane. Muftì sunnita ringrazia la Santa Sede per la condanna all'offesa dei simboli religiosi

Nel Salone degli Ambasciatori del Palazzo Presidenziale di Baabda, il Santo Padre Benedetto XVI ha poi incontrato i capi delle Comunità musulmane Sunnita, Sciita, Drusa e Alawita. Con il Papa, erao presenti al colloquio il cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone, il Patriarca di Antiochia dei Maroniti, Béchara Boutros Raï, il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, card. Jean-Louis Tauran e il nunzio apostolico in Libano, mons. Gabriele Giordano Caccia. Il Gran Mufti Sheikh Mohammed Rashid Qabbani, rappresentante dei musulmani sunniti di nomina governativa, ha consegnato all'inizio dell'incontro al Papa una lettera di benvenuto, di cinque pagine. "Ogni attacco ad ogni cristiano e' un attacco all'islam", si legge nel testo, riportato dalla stampa libanese. "Cristiani e musulmani di una nazione hanno stessi diritti e doveri". Il portavoce vaticano, Federico Lombardi, ha poi espresso nel corso di un briefing apprezzamento per le parole pronunciate dallo sceicco nel corso del colloquio col Papa, sottolineando, in particolare, tre punti toccati dall'esponente musulmano: l'importanza che i cristiani restino in Medio Oriente; la necessità di passare dalla convivialità alla comunione tra fedi (concetto quest'ultimo espresso da Benedetto XVI e fatto proprio da Kabbani) e, in riferimento al film statunitense che sbeffeggia il profeta Maometto che ha innescato proteste nel mondo musulmano, un "ringraziamento" per la condanna che il Vaticano ha fatto alcuni giorni fa per le iniziative che offendono i simboli religiosi. Anche ai capi delle Comunità musulmane il Santo Padre ha donato una copia dell’Esortazione Apostolica post-sinodale "Ecclesia in Medio Oriente".

L'Unione Sarda.it, TMNews

L'incontro del Papa con i capi delle comunità musulmane: il commento di padre Lombardi

Visita di cortesia al presidente della Repubblica. Il Papa incontra i presidenti del Consiglio e del Parlamento e consegna l'Esortazione Apostolica

Questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI, dopo aver celebrato la Santa Messa in privato, ha lasciatp la Nunziatura Apostolica di Harissa e si è trasferito in auto al Palazzo presidenziale di Baabda per la visita di cortesia al presidente della Repubblica del Libano, Michel Sleiman. Al suo arrivo, il Papa è stato accolto all’ingresso principale dal presidente della Repubblica e dalla consorte. Dopo il colloquio privato, sono stati presentati al Santo Padre i familiari del presidente, un gruppo numeroso perchè figli e figlie del presidente hanno a loro volta dei figli. E proprio con i bambini Joseph Ratzinger si è soffermato di più, chinandosi per abbracciarli e scambiare con loro qualche parola, proprio come un nonno. Quindi, ha avuto luogo lo scambio dei doni, la firma del Libro d’Oro e la consegna da parte del Papa di una copia dell’Esortazione Apostolica post-sinodale "Ecclesia in Medio Oriente". Successivamente, nel Salone degli Ambasciatori, il Santo Padre Benedetto XVI si è intrattenuto in colloquio privato con il presidente del Parlamento, Nabih Berri. Dopo il colloquio privato e la presentazione dei familiari, ha luogo lo scambio dei doni. Infine, sempre nel Salone degli Ambasciatori del Palazzo Presidenziale, il Santo Padre si è intrattenuto in colloquio privato con il presidente del Consiglio dei Ministri, Nagib Mikati. Dopo il colloquio privato e la presentazione dei familiari, ha avuto luogo lo scambio dei doni. Nel corso dei due incontri, il Papa ha consegnato a entrambi una copia dell’Esortazione Apostolica post-sinodale "Ecclesia in Medio Oriente".

Agi

Benedetto XVI arriva al Palazzo presidenziale di Baabda tra due ali di folla, scortato dalle guardie a cavallo e accompagnato dai danzatori di Dabke

Troppo blindata all'inizio il viaggio del Papa. Tutti i quotidiani libanesi riportano la frustrazione di molti cittadini che avrebbero voluto vedere almeno da lontano il Papa, e che ne sono stati impediti da misure di sicurezza estremamente rigorose e severe. Ma evidentemente è apparso chiaro ai responsabili, vaticani e locali, che un viaggio soffocato dalle misure di sicurezza equivaleva a un viaggio dimezzato, e così lo scenario oggi è cambiato totalmente. Un comunicato emesso dal Palazzo presidenziale di Baabda esortava “tutti i cittadini a riunirsi a partire dalle 8 lungo la strada che porta al palazzo presidenziale sulla quale passerà la Papamobile che porta il grande ospite per cogliere un’immagine del Papa e ricevere la sua benedizione”. E i beirutini non se lo sono fatto dire due volte: come mostrano le immagini migliaia di libanesi si sono affollati lungo le strade, gridando “Papa, ti amiamo” e sventolando bandiere libanesi e vaticane. Man mano che il corteo si avvicinava, la folla ha cominciato a premere, per vedere più da vicino il Papa, che rispondeva benedicendo. La folla era punteggiata di bandiere bianco-gialle del Vaticano e del Libano, tra cui si notavano anche donne velate e con il chador nero delle sciite. Verso la fine del percorso, da gruppi di persone che erano ai lati della strada, sono state lanciate manciate di riso sulla “Papamobile”, mentre giovani figuranti improvvisavano una danza in onore di Benedetto XVI, incrociando anche delle piccole spade. Il corteo era scortato dalla guardia a cavallo presidenziale, e preceduto, a pochi metri di distanza dai danzatori di Dabke, vestiti in costume tradizionale libanese. La loro presenza, fra cui alcuni bambini, a pochi metri dalla Papamobile è stata un’estrema concessione da parte della sicurezza.

Marco Tosatti, San Pietro e dintorni - TMNews

Il 15 settembre 2006 moriva Oriana Fallaci: in Benedetto XVI vedo un compagno di strada. Ho incontrato questo intelligente, giusto, fine signore

Nel discorso pronunciato a New York il 29 novembre 2005 a commento del premio Annie Taylor a lei conferito, Oriana Fallaci ha dedicato due passaggi a Benedetto XVI. Nel primo passaggio ha ricordato “la privatissima udienza” da lei avuta nell'agosto dello stesso anno, a Castel Gandolfo, col Papa: “Un Papa che ama il mio lavoro da quando ha letto ‘Lettera a un bambino mai nato’ e che io profondamente rispetto da quando leggo i suoi libri intelligenti. Di più, un Papa col quale mi capita di essere d’accordo in molte occasioni. Per esempio quando egli scrive che l’Occidente ha sviluppato una sorta di odio di sé, che non solo non si ama più, ma ha perso la sua spiritualità e rischia di perdere anche la sua identità. (Esattamente ciò che io ho scritto quando ho scritto che l’Occidente è malato di un cancro morale e intellettuale. In realtà lo noto spesso: ‘Se un Papa e un’atea dicono la stessa cosa, in questa cosa ci deve essere qualcosa di fortemente attuale’). Nuova parentesi: io sono atea, sì. Un’atea-cristiana, come spesso sottolineo, ma un’atea. E Papa Ratzinger lo sa molto bene: in ‘La forza della ragione’ io dedico un intero capitolo a spiegare l’apparente paradosso di questa autodefinizione. Ma sapete che cosa dice il Papa ad atei come me? Dice: ‘Okay (l’okay è mio, naturalmente), allora 'veluti si Deus daretur'. 'Comportati come se Dio esista’. Parole da cui si deduce che nella comunità religiosa c’è gente più aperta e intelligente che nella comunità laica alla quale appartengo. Persone così aperte e così intelligenti che neppure provano, neppure sognano, di salvare la mia anima (intendo dire, di convertirmi). Questo è anche il motivo per cui io affermo che, nel vendersi all’islam teocratico, il mondo laico ha perso il più importante appuntamento offertogli dalla storia. E facendo così ha aperto un vuoto, un abisso, che solo lo spirituale può riempire. Questo è anche il motivo per cui nella Chiesa di oggi io vedo un inaspettato partner, un inaspettato alleato. In Ratzinger e in chiunque accetta la mia inquietante indipendenza di pensiero e di comportamento, io vedo un compagno di strada. Così ci siamo incontrati, questo intelligente, giusto, fine signore e io. Liberi da cerimoniali, formalità, a tu per tu nel suo studio di Castel Gandolfo conversammo per un po’. E questo incontro non professionale ci si aspettava che restasse segreto. Nella mia ossessione per la privacy io chiesi che fosse così. Ma le voci trapelarono lo stesso…”. Il secondo passaggio è il seguente: “Io non credo nel dialogo con l’islam. Perché sostengo che un simile dialogo è un monologo, un soliloquio nutrito dalla nostra ingenuità o inconfessata disperazione. (E perché su questo punto dissento fortemente da Papa Ratzinger il quale insiste su questo monologo con disarmante speranza. Una volta ancora, Santo Padre: anche a me naturalmente piacerebbe un mondo dove tutti amano tutti e nessuno è nemico di nessuno. Ma il nemico è qui. E non ha nessuna intenzione di dialogare né con lei né con noi)”.

Sandro Magister, Settimo Cielo

"Vorrei incontrare Ratzinger"

"Io i veli in testa non li porto neanche morta"

“Sono l’Oriana”: sei telefonate della Fallaci su Papa Benedetto