venerdì 6 aprile 2012

Il Papa: è all'amore di Cristo che dobbiamo rivolgerci quando sbandamenti umani e difficoltà rischiano di ferire l’unità della vita e della famiglia

Al termine della Via Crucia al Colosseo, prima di impartire la sua benedizione, Benedetto XVI ha rivolto la sua parola ai fedeli. Il Papa ha guardato al cammino di Gesù sulla via della Croce, “una via che sembrava senza uscita e che invece ha cambiato la vita e la storia dell’uomo, ha aperto il passaggio verso i 'cieli nuovi e la nuova terra'. Specialmente in questo giorno del Venerdì Santo, la Chiesa celebra, con intima adesione spirituale, la memoria della morte in croce del Figlio di Dio, e nella sua Croce vede l’albero della vita, fecondo di una nuova speranza". "L’esperienza della sofferenza segna l’umanità, segna anche la famiglia; quante volte il cammino si fa faticoso e difficile! Incomprensioni, divisioni, preoccupazione per il futuro dei figli, malattie, disagi di vario genere". Oggi "la situazione di molte famiglie è aggravata dalla precarietà del lavoro e dalle altre conseguenze negative provocate dalla crisi economica. Il cammino della Via Crucis, che abbiamo spiritualmente ripercorso questa sera, è un invito per tutti noi, e specialmente per le famiglie, a contemplare Cristo crocifisso per avere la forza di andare oltre le difficoltà”. "La Croce di Gesù - ha sottolineato ancora - è il segno supremo dell’amore di Dio per ogni uomo, è la risposta sovrabbondante al bisogno che ha ogni persona di essere amata. Quando siamo nella prova, quando le nostre famiglie si trovano ad affrontare il dolore, la tribolazione, guardiamo alla Croce di Cristo: lì troviamo il coraggio per continuare a camminare; lì possiamo ripetere, con ferma speranza, le parole di San Paolo: 'Chi ci separerà dall’amore di Cristo?'”. Benedetto XVI ha quindi affermato che “nelle afflizioni e nelle difficoltà non siamo soli; la famiglia non è sola: Gesù è presente con il suo amore, la sostiene con la sua grazia e le dona l’energia per andare avanti. Ed è a questo amore di Cristo che dobbiamo rivolgerci quando gli sbandamenti umani e le difficoltà rischiano di ferire l’unità della nostra vita e della famiglia. La passione, morte e risurrezione di Cristo, per il Pontefice, "incoraggia a camminare con speranza: la stagione del dolore e della prova, se vissuta con Cristo, con fede in Lui, racchiude già la luce della risurrezione, la vita nuova del mondo risorto, la Pasqua di ogni uomo che crede alla sua Parola”. “In quell’Uomo crocifisso, che è il Figlio di Dio - ha aggiunto il Papa - anche la stessa morte acquista nuovo significato e orientamento, è riscattata e vinta, è il passaggio verso la nuova vita: 'se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto'”. Benedetto XVI ha quindi concluso: “Affidiamoci alla Madre di Cristo. Lei che ha accompagnato il suo Figlio sulla via dolorosa, Lei che stava sotto la Croce nell’ora della sua morte, Lei che ha incoraggiato la Chiesa al suo nascere perché viva alla presenza del Signore, conduca i nostri cuori, i cuori di tutte le famiglie attraverso il vasto 'mysterium passionis' verso il mysterium paschale, verso quella luce che prorompe dalla Risurrezione di Cristo e mostra la definitiva vittoria dell’amore, della gioia, della vita, sul male, sulla sofferenza, sulla morte".

Radio Vaticana, SIR

VIA CRUCIS AL COLOSSEO PRESIEDUTA DAL SANTO PADRE - il testo integrale del saluto del Papa

Via Crucis al Colosseo. Benedetto XVI assiste dal colle Palatino. Le meditazioni: Gesù, aiutaci a capire cos’è l’amore, insegnaci a chiedere perdono!

Il Papa è giunto intorno alle 21.15, tra gli applausi dei circa 20mila fedeli, al Colosseo, dove ha presieduto la tradizionale Via Crucis del Venerdì Santo. Arrivato in auto dal Vaticano, Benedetto XVI è stato condotto in auto sulla postazione allestita al colle Palatino, di fronte all'Anfiteatro Flavio, da cui ha seguito la rievocazione della passione di Gesù. In una serata molto bella dal punto di vista climatico, il Colosseo era gremito di persone, che illuminano la notte con i flambeux accesi. Le meditazioni della Via Crucis, quest'anno, sono state affidate, quest'anno, ad una coppia di focolarini, Danilo e Anna Maria Zanzucchi, fondatori del movimento "Famiglie Nuove", sposati da quasi sessant’anni. E ruotano, lungo le quattordici stazioni del calvario di Gesù, attorno ai dolori e alle speranze della famiglie della società odierna. La croce è stata portata, oltre che dal card. Agostino Vallini, da due frati francescani della Custodia di Terra Santa e da alcune famiglie provenienti dall'Italia, dall'America Latina, dall'Africa, dall'Irlanda. "Non poche delle nostre famiglie soffrono per il tradimento del coniuge, la persona più cara. Dov’è finita la gioia della vicinanza, del vivere all’unisono? Dov’è il sentirsi una cosa sola? Dov’è quel ‘per sempre’ che ci si era dichiarati?". È la domanda posta dai coniugi Zanzucchi, iniziatori di "Famiglie Nuove" del Movimento dei Focolari, nella meditazione per la I stazione della Via Crucis. Nel "momento in cui crolla l’amore e l’amicizia che s’erano creati nella nostra coppia", quando si avverte "nel cuore le ferite della fiducia tradita, della confidenza smarrita, della sicurezza svanita", scrivono i coniugi Zanzucchi, "solo Tu, Gesù, mi puoi capire, puoi darmi coraggio, puoi dirmi parole di verità, anche se fatico a capirle. Puoi darmi quella forza che mi permette di non giudicare a mia volta, di non soccombere, per amore di quelle creature che mi aspettano a casa e per le quali ora sono l’unico appoggio". Nella III stazione si riflette sui cedimenti nelle situazioni concrete di ogni giorno: "Quante cadute nelle nostre famiglie! Quante separazioni, quanti tradimenti! E poi i divorzi, gli aborti, gli abbandoni!". Di qui l’invocazione: "Gesù, aiutaci a capire cos’è l’amore, insegnaci a chiedere perdono!". "Forse Simone di Cirene rappresenta tutti noi allorché all’improvviso ci arriva una difficoltà, una prova, una malattia, un peso imprevisto, una croce talvolta pesante. Perché? Perché proprio a me? Perché proprio adesso? Il Signore ci chiama a seguirLo, non sappiamo dove e come". È un passaggio della meditazione per la V stazione. In queste situazioni, "la cosa migliore da fare, Gesù, è venirTi dietro, essere docili a ciò che ci chiedi" perché "Tu ci ami di amore infinito. Più del padre, della madre, dei fratelli, della moglie, del marito, dei figli". "Anche in famiglia, nei momenti più difficili - scrivono i coniugi Zanzucchi -, quando si deve prendere una decisione impegnativa, se la pace alberga nel cuore, se si è attenti a cogliere quello che Dio desidera da noi, veniamo illuminati da una luce che ci aiuta a discernere e a portare la nostra croce". "Il Cireneo - proseguono - ci ricorda pure i tanti volti di persone che ci sono state vicine nei momenti in cui una croce pesante si è abbattuta su di noi o sulla nostra famiglia. Ci fa pensare ai tanti volontari che in molte parti del mondo si dedicano generosamente a confortare e aiutare chi è nella sofferenza e nel disagio. Ci insegna a lasciarci aiutare con umiltà, se ne abbiamo bisogno, e anche a essere cirenei per gli altri". "Quante persone hanno sofferto e soffrono per questa mancanza di rispetto per la persona umana, per la propria intimità. A volte anche noi, forse, non abbiamo il rispetto dovuto alla dignità personale di chi ci sta accanto, ‘possedendo’ chi ci sta vicino, figlio o marito o moglie o parente, conoscente o sconosciuto", sottolineano i coniugi Zanzucchi nella meditazione per la X stazione. "In nome della nostra presunta libertà - affermano i coniugi - feriamo quella degli altri: quanta noncuranza, quanta trascuratezza nei comportamenti e nel modo di presentarci l’uno all’altro!". Gesù, che si lascia esporre in questo modo agli occhi del mondo di allora e agli occhi dell’umanità di sempre, "ci richiama la grandezza della persona umana, la dignità che Dio ha dato a ogni uomo, a ogni donna e che niente e nessuno dovrebbe violare, perché sono plasmati ad immagine di Dio". "A noi - avvertono i coniugi Zanzucchi - è affidato il compito di promuovere il rispetto della persona umana e del suo corpo. In particolare a noi sposi il compito di coniugare queste due realtà fondamentali e inscindibili: la dignità e il dono totale di sé".

TMNews, SIR

Meditazioni di Danilo e Anna Maria Zanzucchi, Movimento dei Focolari - Fondatori del Movimento "Famiglie Nuove"

Celebrazione della Passione del Signore. Benedetto XVI adora la Santa Croce. Padre Cantalamessa: dobbiamo appropriarci della vittoria di Cristo

Nel pomeriggio di oggi, Venerdì Santo, il Santo Padre Benedetto XVI ha presieduto, nella Basilica Vaticana, la celebrazione della Passione del Signore. Durante la Liturgia della Parola, è stato riascoltato il racconto della Passione secondo Giovanni, quindi il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, ha tenuto l’omelia. La Liturgia della Passione è proseguita con la Preghiera universale e l’adorazione della Santa Croce e si è conclusa con la Santa Comunione.
Ai piedi della Croce di Cristo, che ha scelto come trono due assi di legno, l’omelia di padre Cantalamessa si è snoda tapartendo dal versetto dell’Apocalisse: “Io ero morto, ma ora vivo per sempre”. “Egli sulla Croce – ha detto – ha sconfitto l’antico avversario”. L’intero mistero della redenzione può racchiudersi nell’immagine di un’epica lotta in uno stadio. Dagli spalti si assiste al combattimento e si palpita per il valoroso, la sua vittoria è la tua vittoria: “E poiché siamo stati anche noi a vincere, imitiamo quello che fanno i soldati in questi casi: con voci di gioia esaltiamo la vittoria, intoniamo inni di lode al Signore. Non si potrebbe spiegare in modo migliore il senso della liturgia che stiamo celebrando”.Rappresentazione di una realtà del passato o realtà stessa? Tutte e due le cose: rispondeva Sant’Agostino. “La liturgia – ha sottolineato padre Cantalamessa – rinnova l’evento”, lo ri-presenta. Ma c’è un pericolo, lo stesso delle pie donne che corsero al Sepolcro trovandolo vuoto, cercare “tra i morti colui che è vivo”. “Non stiamo celebrando solo un anniversario – ha evidenziato il predicatore – ma un mistero”: “Questo cambia tutto. Non si tratta solo di assistere a una rappresentazione, ma di ‘accoglierne’ il significato, di passare da spettatori a attori. Sta a noi perciò scegliere quale parte vogliamo rappresentare nel dramma, chi vogliamo essere: se Pietro, se Giuda, se Pilato, se la folla, se il Cireneo, se Giovanni, se Maria… Nessuno può rimanere neutrale; non prendere posizione, è prenderne una ben precisa: quella di Pilato che si lava le mani o della folla che da lontano ‘stava a guardare’”. Accogliere il significato del mistero è possibile solo con la fede. Passa dunque attraverso la grazia la capacità di accogliere. Un passaggio che avviene “sacralmente” nel Battesimo ma che deve avvenire “consapevolmente” di nuovo nella vita: “Dobbiamo, prima di morire, avere il coraggio di fare un colpo di audacia, quasi un colpo di mano: appropriarci della vittoria di Cristo. L’appropriazione indebita! Una cosa comune purtroppo nella società in cui viviamo, ma con Gesù essa non solo non è vietata, ma è sommamente raccomandata. ‘Indebita’ qui significa che non ci è dovuta, che non l’abbiamo meritata noi, ma ci è data gratuitamente”. San Bernardo si appropriava “con fiducia dal costato trafitto del Signore” perché pieno di misericordia. “Non sono certamente povero di meriti – aggiungeva – finche Lui sarà ricco di misericordia”. ''A Roma - ha detto il predicatore -, come purtroppo in ogni grande città, ci sono tanti senza tetto. Esiste un nome per essi in tutte le lingue: homeless, clochards, barboni: persone umane che non posseggono che i pochi stracci che portano addosso e qualche oggetto che si portano dietro in borse in plastica". "Immaginiamo che un giorno si diffonde questa voce: in Via Condotti (tutti sanno cosa rappresenta a Roma Via Condotti!) c'è la proprietaria di una boutique di lusso che, per qualche sconosciuta ragione, di interesse o di generosità, invita tutti i barboni della Stazione Termini a venire nel suo negozio; li invita a deporre i loro stracci sudici, a farsi una bella doccia e poi scegliere il vestito che desiderano tra quelli esposti e portarselo via, così, gratuitamente''. ''Tutti dicono in cuor loro: 'Questa è una favola, non succede mai!'. Verissimo - ha commentato Cantalamessa -, ma quello che non succede mai tra gli uomini tra di loro è quello che può succedere ogni giorno tra gli uomini e Dio, perchè, davanti a Lui, quei barboni siamo noi! E' quello che avviene in una bella confessione: deponi i tuoi stracci sporchi, i peccati, ricevi il bagno della misericordia e ti alzi che sei 'rivestito delle vesti della salvezza, avvolto nel mantello della giustizia'''. “Il buon ladrone - ha sottolineato - fa una completa confessione di peccato; dice al suo compagno che insulta Gesù: ‘Neanche tu hai timore di Dio che sei condannato alla stessa pena? Noi giustamente perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male’”. Insomma, “il buon ladrone si mostra qui un eccellente teologo. Solo Dio infatti, se soffre, soffre assolutamente da innocente; ogni altro essere che soffre deve dire: ‘Io soffro giustamente’, perché, anche se non è responsabile dell’azione che gli viene imputata, non è mai del tutto senza colpa. Solo il dolore dei bambini innocenti somiglia a quello di Dio e per questo esso è così misterioso e così sacro”. Per padre Cantalamessa, “quanti delitti atroci rimasti, negli ultimi tempi, senza colpevole, quanti casi irrisolti! Il buon ladrone lancia un appello ai responsabili: fate come me, venite allo scoperto, confessate la vostra colpa; sperimenterete anche voi la gioia che provai io quando sentii la parola di Gesù: ‘Oggi sarai con me in paradiso’”. “Quanti rei confessi possono confermare - ha proseguito il cappuccino - che è stato così anche per loro: che sono passati dall’inferno al paradiso il giorno che hanno avuto il coraggio di pentirsi e confessare la loro colpa. Ne ho conosciuto qualcuno anch’io. Il paradiso promesso è la pace della coscienza, la possibilità di guardarsi nello specchio o guardare i propri figli senza doversi disprezzare”. Di qui l’invito di padre Cantalamessa: “Non portate con voi nella tomba il vostro segreto; vi procurerebbe una condanna ben più temibile di quella umana. Il nostro popolo non è spietato con chi ha sbagliato ma riconosce il male fatto, sinceramente, non solo per qualche calcolo. Al contrario! È pronto a impietosirsi e ad accompagnare il pentito nel suo cammino di redenzione (che in ogni caso diventa più breve)”. “Dio perdona molte cose, per un’opera buona”, dice Lucia all’Innominato nei “Promessi sposi”, ha ricordato il predicatore della Casa Pontificia. “Ancor più, dobbiamo dire - ha concluso -, egli perdona molte cose per un atto di pentimento. Lo ha promesso solennemente: ‘Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come la neve; anche se fossero rossi come porpora, diventeranno come la lana’”.

Radio Vaticana, Asca, SIR

Omelia di padre Raniero Cantalamessa

Venerdì Santo. Il Papa: rimanendo nella morte Gesù ha oltrepassato la porta di questa solitudine ultima per guidare anche noi ad oltrepassarla con Lui

La Chiesa in tutto il mondo oggi prega e riflette sul mistero della morte di Cristo. Anche la giornata di Benedetto XVI è tutta incentrata sulla rievocazione di questo momento centrale della fede cristiana. Nel pomeriggio, alle 17.00, il Papa presiederà nella Basilica di San Pietro la celebrazione della Passione del Signore, guidata dalla meditazione del predicatore pontificio, padre Raniero Cantalamessa. In serata, poi, Benedetto XVI si sposterà al Colosseo per presiedere, dalle 21.15, il rito della Via Crucis. La salita al Calvario e la morte in Croce di Gesù sono state occasione di innumerevoli riflessioni da parte del Papa. Tre anni di semina nel cuore delle folle di un messaggio mai ascoltato e poi la brutale eliminazione del seminatore. Al Maestro dell’amore di Dio nulla viene risparmiato dell’odio e delle miserie dell’uomo: il tradimento degli amici, lo spregio crudele degli avversari, persino la beffa atroce di essere preferito a un delinquente dalle mani insanguinate. Quella che Gesù patisce nell’ultimo venerdì della sua vita sulla terra è una spoliazione tanto veloce, quanto paziente e lunga era stata la sua missione in precedenza. Dall’arresto nel Getsemani ai ferri che lo inchiodano sul Golgota, è una sorta di apnea sorda e violenta, che arriva a quel culmine di dolore nel dolore quando, per un momento, il rifiutato dagli uomini sembra esserlo persino dal cielo: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Lontane dalla mia salvezza le parole del mio grido. Mio Dio, grido di giorno e non rispondi; di notte, e non c’è tregua per me...Gesù è sotto il peso schiacciante di una missione che deve passare per l’umiliazione e l’annichilimento” (Udienza generale, 14 settembre 2011).
Tutto l’impossibile accade di vedere sul Calvario, persino che Dio “abbandoni” se stesso. Ma dove, per un uomo, si sarebbero spalancate le porte della disperazione più nera, per il Dio appeso alla Croce il senso di abbandono diventa, spiega il Papa, un abbandonarsi alla certezza che il Padre è, ed è sempre stato, accanto a lui: “Dal volto di questo ‘Uomo dei dolori’, che porta su di sé la passione dell’uomo di ogni tempo e di ogni luogo, anche le nostre passioni, le nostre sofferenze, le nostre difficoltà, i nostri peccati - ‘Passio Christi. Passio hominis’ - promana una solenne maestà, una signoria paradossale” (Venerazione della Santa Sindone nel Duomo di Torino, 2 maggio 2010).
È il paradosso della Croce: il Re dei re affronta l’ultimo nemico andandolo a cercare sul suo stesso terreno. Tre giorni per sconfiggerlo in quello che Benedetto XVI una volta ha definito “intervallo unico e irripetibile”. Tre giorni per fissare il punto di non ritorno della fede cristiana, per ribaltare la fine della vita in un inizio che più non muore: “Dio, fattosi uomo, è arrivato fino al punto di entrare nella solitudine estrema e assoluta dell’uomo, dove non arriva alcun raggio d’amore, dove regna l’abbandono totale senza alcuna parola di conforto: 'gli inferi'. Gesù Cristo, rimanendo nella morte, ha oltrepassato la porta di questa solitudine ultima per guidare anche noi ad oltrepassarla con Lui” (Venerazione della Santa Sindone nel Duomo di Torino, 2 maggio 2010).

Radio Vaticana

Venerdì Santo. La figura di Ponzio Pilato secondo Benedetto XVI: che cos'è la verità? La pace non può essere stabilita contro di essa

Chi era Ponzio Pilato? Oggi, durante la Celebrazione del Venerdì Santo, si legge il Passio secondo Giovanni. Ed è Giovanni l’unico degli evangelisti a dare conto del colloquio tra Pilato e Gesù, e in questo modo a tratteggiare una figura di Pilato molto ben definita. E Pilato siamo tutti noi, dice Joseph Ratzinger nel suo "Gesù di Nazaret. Dall'ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione". Una figura tanto importante che Benedetto XVI l’ha descritta anche nell’omelia a Plaza de la Revoluciòn a La Habana, Cuba, la scorsa settimana. Nella Passione secondo Papa Ratzinger, Pilato è un personaggio che è anche un paradigma dei nostri tempi. Attraverso il quale si può leggere in controluce il Pontificato. “L’immagine di Pilato nei Vangeli – scrive Benedetto XVI - ci mostra il prefetto romano molto realisticamente come un uomo che sapeva intervenire in modo brutale, se questo gli sembrava opportuno per l’ordine pubblico. Ma egli sapeva anche che Roma doveva il suo dominio sul mondo non da ultimo alla tolleranza di fronte a divinità straniere e alla forza pacificatrice del diritto romano. Così egli ci si presenta nel processo a Gesù”. Pragmatico, consapevole che il potere di Roma veniva anche dalla tolleranza data alle altre fedi, sorpreso che i Giudei, ovvero l’aristocrazia del Tempio, si erano presentati a lui come amici di Roma chiedendo un suo intervento che, in base alle sue conoscenze non era necessario, consapevole che da Gesù non era sorto un movimento rivoluzionario, Pilato aveva probabilmente considerato Gesù come un esaltata religioso, che forse violava gli ordinamenti giudaici riguardanti la fede. E questo era un aspetto che non gli interessava. Ed ecco Gesù di fronte a Pilato. “Dunque tu sei re?”, chiede Pilato. E Gesù risponde: “Tu lo dici: di sono re”. Ma il regno di Gesù, lo aveva detto in precedenza, “non è di questo mondo. Se il mio regno fosse di questo mondo i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei”. “Questa 'confessione' di Gesù – scrive Joseph Ratzinger - mette Pilato davanti ad una strana situazione: l’accusato rivendica regalità e regno (basileía). Ma sottolinea la totale diversità di questa regalità, e ciò con l’annotazione concreta che per il giudice romano deve essere decisiva: nessuno combatte per questa regalità. Se il potere, e precisamente il potere militare, è caratteristico per la regalità e il regno, niente di ciò si trova in Gesù. Per questo non esiste neanche una minaccia per gli ordinamenti romani”. Ma quali sono le caratteristiche del regno di Gesù? “Questo regno – scrive il Papa - è non violento. Non dispone di alcuna legione. Con queste parole, Gesù ha creato un concetto assolutamente nuovo di regalità e di regno mettendo Pilato, il rappresentante del classico potere terreno, di fronte ad esso”. Gesù va oltre: per rendere accessibile l’essenza e il carattere particolare del potere di questa regalità, non parla di autorità, ma “qualifica come essenza della sua regalità la testimonianza alla verità”. “Che cos’è la verità?” La domanda di Pilato, pragmatica, resta sospesa. E rappresenta la domanda per eccellenza della gestione del potere. “È la domanda – scrive il Papa - che pone anche la moderna dottrina dello Stato: può la politica assumere la verità come categoria per la sua struttura? O deve lasciare la verità, come dimensione inaccessibile, alla soggettività e invece cercare di riuscire a stabilire la pace e la giustizia con gli strumenti disponibili nell’ambito del potere? Vista l’impossibilità di un consenso sulla verità, la politica puntando su di essa non si rende forse strumento di certe tradizioni che, in realtà, non sono che forme di conservazione del potere?”. Ma in fondo, cosa sarebbe il mondo senza verità?Eppure Pilato accantona la domanda come irrisolvibile. Al termine del colloquio con Gesù, è chiaro per Pilato che Gesù non è un rivoluzionario, non contravviene alle leggi romane. Resta in Pilato, la paura di stare condannando davvero qualcuno in cui c’è qualcosa di divino. Una paura cui i Giudei contrappongono, dice Joseph Ratzinger, “la paura molto concreta di restare privo del favore dell’imperatore, di perdere la posizione e di precipitare così in una situazione senza sostegno. L’affermazione: 'Se liberi costui, non sei amico di Cesare', è una minaccia". “Cooperatotes veritatis” è il motto episcopale scelto da Benedetto XVI. La verità divide, crea dissenso, difficoltà. Benedetto XVI, dopo aver revocato la scomunica a quattro vescovi lefevbriani, si trova il fuoco incrociato delle critiche del suo stesso episcopato contro. Scrive una lettera ai vescovi, racconta il perché di alcune leggerezze, le ammette, ma si risente dei confratelli “pronti a mordere e divorare” che hanno creato la polemica. Lui avrebbe potuto preferire la pace, come ha fatto Ponzio Pilato. Lo racconta, Papa Ratzinger, in un altro passaggio cruciale del libro, quello dedicato al governatore Romano. Sapeva che Gesù non era un rivoluzionario. Sapeva che non costituiva un pericolo politico. Conosceva la verità. Ma alla fine “vinse in lui l’interpretazione pragmatica del diritto: più importante della verità del caso è la forza pacificante del diritto, questo fu forse il suo pensiero e così si giustificò davanti a sé stesso. La pace fu in questo caso per lui più importante della giustizia”. Ma, “in ultima analisi, la pace non può essere stabilita contro la verità”.

Andrea Gagliarducci, Korazym.org