mercoledì 29 febbraio 2012

Intenzione di preghiera del Papa per il mese di marzo: sia adeguatamente riconosciuto nel mondo il contributo delle donne allo sviluppo della società

Nel mese di marzo Papa Benedetto XVI chiede ai fedeli di pregare per il riconoscimento del ruolo delle donne nella società e per i cristiani perseguitati nel continente asiatico. È la proposta che il Santo Padre rivolge nelle intenzioni contenute nella lettera pontificia che ha affidato all’Apostolato della Preghiera, iniziativa seguita in tutto il mondo da circa 50 milioni di persone. Il Pontefice affida ogni mese due intenzioni, una generale e una missionaria. Quella generale per il mese di marzo recita: “Perché sia adeguatamente riconosciuto in tutto il mondo il contributo delle donne allo sviluppo della società”. L’intenzione missionaria invece afferma: “Perché lo Spirito Santo conceda perseveranza a quanti, particolarmente in Asia, sono discriminati, perseguitati e messi a morte a causa del nome di Cristo”.

Zenit

Le prime meditazioni durante gli Esercizi spirituali in Vaticano: lasciar trasformare la vita dalla verità attarverso una conversione sempre rinnovata

Dal segno della Croce alla coscienza del peccato, attraverso un percorso di riscoperta della verità della fede che deve coinvolgere la stessa Chiesa, chiamata a vivere le beatitudini evangeliche rigettando ipocrisie e menzogne. È questo l’itinerario di riflessione scelto dal card. Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshasa, per la prima parte degli Esercizi spirituali quaresimali in corso in questa settimana nella Cappella Redemptoris Mater, in Vaticano, alla presenza di Benedetto XVI. Sviluppando il tema "La comunionedel cristiano con Dio", il porporato è partito dal segno della Croce come ideale introduzione per sviluppare i temi che hanno scandito le meditazioni sulla prima lettera di San Giovanni dettate tra domenica e oggi: Dio è vita, Dio è luce, Dio èverità, Dio è misericordia e pietà, Dio è una guida amorevole, la comunione definitiva escatologica, l’amore del mondo, gli “anticristi” o la mancanza di fede in Gesù, il Cristo e il peccato del sacerdote. "Non che opere e azioni abbiano bisogno di una nuova consacrazione, quando il nucleo profondo dell’esistenza è già consacrato dal battesimo - ha ricordato riferendosi appunto al segno di croce - ma con questo atto aggiungiamo a ogni azione lo splendore della coscienza, il dinamismo della libertà". Cosa significa questo gesto? Il cardinale non ha dubbi: vuol dire "sacrificio per amore: è la morte per la risurrezione". Questo implica anche rinunciare alla vanità, al prestigio, alla brama di possedere o di dominare, per consacrare la propria opera a Cristo. Se un’azione, infatti, è compiuta per pura vanità, "non può portare il segno della croce, non è crocifissa, non è santificata cristianamente; un’opera di apostolato, per amore del prossimo, è offerta e consacrata". Il segno della croce è quindi molto più di un’abitudine. Per il porporato, il modo per "annullare il senso egoistico di un’azione è segnarla con la croce; questo vuol dire anche liberarla e renderla disponibile per un dinamismonuovo, trinitario". Alla meditazione sul segno dellaCroce sono seguite tre riflessioni che hanno avuto per tema Dio come via, luce, verità e vita. In questo contesto il cardinale ha fatto riferimento ad alcuni dei fenomeni più drammatici che segnano il nostro tempo, guerre, corsaagli armamenti, genocidi, violenza politica, aborto e ogni forma di strumentalizzazione dell’uomo per ragioni economiche o commerciali, invitando a non restare indifferenti di fronte "alla repressione e allo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, a non abbassare la guardia, anche se il mistero del peccato sembra superarci, e a non banalizzare la vita umana". Dal porporato un accenno particolare alla difficile situazione che vive in questi giorni la Siria e all’appello lanciato da Benedetto XVI all’Angelus di domenica 12 febbraio. "Occorre camminare nella luce - ha raccomandato - ossia decidersi ad abbandonare il peccato" e a lasciare trasformare la propria vita dalla verità attraverso un cammino di "conversione sempre rinnovata". Questa comprensione di Dio-verità interpella soprattutto coloro che "non hanno più coscienza dei loro peccati, quelli che hanno perduto il senso del peccato perché non si pongono più il problema di Dio. Sono interpellati anche quanti non hanno più criteri di moralità, che confondono il bene e il male". Una tendenza, questa, che il cardinale ha messo in relazione con l’"indifferentismo religioso che afferma che tutte le religioni sono valide, ma, in realtà, vuole una morale facile". Anche il prete, ha ammesso l’arcivescovo di Kinshasa, "non è al riparo da questi errori nella misura in cui l’aridità spirituale lo conduce spesso agli stessi difetti. Il ministero sacerdotale si trasforma allora in funzionariato, senza un vero senso di Dio: occasione perduta di una vera comunione con il Signore". Riprendendo il tema in una successiva meditazione il cardinale ha esaminato il caso emblematico degli apostoli Giuda e Pietro. Riguardo a quest’ultimo, ha ricordato che "è stato tradito dalla sua generosità e dal suo attaccamento a Cristo, tuttavia è caduto perché è stato temerario e si è esposto da vicino al pericolo. Ma subito, abbandona il luogo della sua caduta e piange amaramente il suo peccato". Da qui, una lezione per tutti i sacerdoti: "La nostra generosità non ci mette al riparo dal peccato. Occorre prendere delle misure di prudenza e devitare la temerarietà esponendosi alle cadute. In ogni situazione, qualunque cosa succeda, il Signore è sempre al nostro fianco. La più grande ingiuria che possiamo fargli è di dubitare della sua misericordia, come Giuda". "Vivere nella verità - ha sottolineato ancora il porporato - è vivere secondo le beatitudini. È ripudiare le menzogne nelle nostre parole e nelle nostre azioni. È rigettare l’ipocrisia che ci spinge ad apparire diversamente da come siamo o agiamo". Ma, ha avvertito, non si tratta solo di una questione individuale. Anche la società in quanto tale deve lottare per la verità. E la stessa Chiesa deve combattere contro la menzogna e l’inganno al suo interno e nel mondo; e "deve soprattutto lottare affinché la verità del Vangelo di Cristo sia conosciuta e vissuta". Ciò che è importante, ha detto il cardinale, è avere fiducia nella misericordia di Dio. "Se noi confessiamo pubblicamente i nostri peccati - ha affermato durante la terza giornata di meditazioni parlando di Dio come luce - Gesù il giusto e fedele li perdonerà e ci purificherà da ogni inquietudine". In Lui infatti abbiamo un difensore, vittima d’espiazione per le nostre colpe. Per orientare il nostro cammino verso di Lui, ci dà i suoi comandamenti, in particolare la carità. "Sarebbe sbagliato - ha sottolineato - considerare l’osservanza dei comandamenti come se fosse ciò che fa la comunione con Dio. È piuttosto un segno o un criterio della nostra comunione con Dio. In effetti, Giovanni considera la comunione come una realtà effettiva che si riconosce dall’osservanza dei comandamenti. Si potrebbe paragonare al gesto di un organista o di un pianista: più commette degli errori, meno la sua esecuzione è perfetta". E proprio al tema del peccato come rottura della comunione con Dio il cardinale ha dedicato le meditazioni di oggi. In questo contesto,il porporato ha parlato della questione delle sette e dei problemi che la loro proliferazione pone alla Chiesa. "Ci sembra - ha detto in proposito - che sola una buona interpretazione della Parola di Dio può far venire a capo delle difficoltà".

L'Osservatore Romano

Concluso il terzo incontro del gruppo di lavoro Vietnam-Santa Sede: sviluppi positivi sulla base della buona volontà e del dialogo costruttivo

“I rapporti tra il Vietnam e la Santa Sede hanno ottenuto sviluppi positivi sulla base della buona volontà e del dialogo costruttivo”: è quanto si legge nel comunicato congiunto al termine del terzo incontro del gruppo di lavoro Vietnam-Santa Sede, svoltosi ieri e oggi ad Hanoi. La delegazione vaticana era guidata da mons. Ettore Balestrero, sottosegretario per i Rapporti con gli Stati. L’incontro era co-presieduto da Bui Thanh Son, viceministro vietnamita degli Affari esteri. Presente anche l’arcivescovo Leopoldo Girelli, rappresentante della Santa Sede non residente in Vietnam. Mons. Balestrero e mons. Girelli erano accompagnati da due officiali, rispettivamente della Segreteria di Stato, mons. Francesco Cao Minh Dung, e della Congregazione per ’Evangelizzazione dei Popoli, mons. Barnabé Nguyên Van Phuong. Le due parti, si legge nel comunicato congiunto, hanno analizzato “i progressi compiuti nei rapporti
Vietnam-Santa Sede” dall’ultimo incontro svoltosi nel giugno del 2010. La delegazione vietnamita ha incoraggiato la Chiesa cattolica nel Paese “a partecipare attivamente ed effettivamente nel corso attuale dello sviluppo nazionale, economico e sociale”. Da parte sua, la Santa Sede ha espresso l’auspicio che “il suo ruolo e la sua missione siano rafforzati ed estesi, affinché vengano consolidati i legami tra la Santa Sede e la Chiesa Cattolica in Vietnam, come anche l’intenzione del Vietnam e della Santa Sede di sviluppare i loro rapporti”. Al contempo, la Santa Sede ha “espresso apprezzamento” per l’attenzione riservata dalle autorità civili alle attività della Chiesa Cattolica, “in particolare nell’anno 2010, durante la celebrazione dell’anno giubilare”. Le delegazioni hanno richiamato gli insegnamenti del Papa sull’essere un buon cattolico e un buon cittadino, “sottolineando la necessità di una continua collaborazione tra la Chiesa Cattolica e le autorità civili per attuare, concretamente e praticamente, tali insegnamenti
in tutte le attività”. L’incontro, si legge ancora nel comunicato, “si è svolto in un clima di cordialità, franchezza e mutuo rispetto”. Le due parti hanno concordato di ritrovarsi in Vaticano per il quarto incontro. Entrambi le delegazioni hanno convenuto di facilitare il lavoro di mons. Girelli nella sua missione. Rispondendo alle domande dei giornalisti, padre Federico Lombardi ha affermato che un segno del progresso nei rapporti Vietnam-Santa Sede è proprio la maggiore libertà di tempo e la possibilità di movimento che l’arcivescovo Girelli avrà di muoversi nel Paese asiatico.

Radio Vaticana

JOINT COMMUNIQUÉ OF THE THIRD MEETING OF THE VIÊT NAM - HOLY SEE JOINT WORKING GROUP (HÀ NÔI, 27-28 FEBRUARY 2012)

Il Papa in Messico e a Cuba. Perez: porti sull’isola la carità intesa come virtù teologale dell’amore cristiano per favorire pace e riconciliazione

Appuntamento a Plaza de la Revolución. Dove 14 anni fa i cubani hanno salutato Giovanni Paolo II e dove il prossimo 28 marzo Benedetto XVI concluderà il suo viaggio apostolico. "Tutti i cubani attendono con ansia l’omelia e le parole del Santo Padre" racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre mons. José Félix Pérez Riera, segretario aggiunto della Conferenza Episcopale cubana. Il presule spiega che Papa Ratzinger arriva a Cuba in un "momento di grazia", nel quattrocentesimo anniversario della prima apparizione della Vergine della Carità. Secondo la leggenda, infatti, l’immagine de la Virgen è stata avvistata per la prima volta in mare nel 1612. E da allora Cachita, come è affettuosamente chiamata, è rimasta nel cuore dei cubani. "A Cuba e in tutta l’America Latina – continua monsignor Pérez – la Madonna è la stella dell’Evangelizzazione, capace di aprire i cuori e le menti a Cristo prima ancora del Vangelo". Per questo, il motto dell’Anno giubilare mariano convocato dalla Conferenza Episcopale, comprende il noto detto popolare "A Jesus por Maria", a Gesù attraverso Maria. Non sarà però solo la Caridad della Patrona di Cuba a caratterizzare il viaggio di Benedetto XVI. "La nostra speranza – dice il presule – è che il Papa porti sull’isola quella carità intesa come virtù teologale dell’amore cristiano, capace di favorire la pace e la riconciliazione tra i tutti i cubani". A 14 anni dalla celebre esortazione di Wojtyla a L’Avana, mons. Pérez racconta come Cuba si sia sì aperta al mondo, "ma non abbastanza, anche verso gli stessi cubani". Oggi il Paese ha una nuova guida, Raul Castro, ma continua a soffrire per le serie difficoltà economiche, aggravate dalla crisi globale. L’embargo, definito più volte "inaccettabile" dall’episcopato locale, rimane un ostacolo insormontabile e "i salari non permettono ai lavoratori di far fronte ai bisogni quotidiani". E la Chiesa cubana deve combattere la grave crisi dei valori causata dall’influenza negativa di una società "fortemente atea e materialista". Dopo il viaggio, mons. Pérez non si aspetta immediati riflessi sulle relazioni tra Cuba e la Santa Sede, ma è certo che questo viaggio "contribuirà a migliorare i rapporti tra le autorità civili cubane e i pastori della Chiesa locale". E non esclude del tutto il tanto discusso incontro tra Papa Ratzinger e Fidel: "Il programma non lo prevede. Tuttavia nel Palazzo della Rivoluzione, il Papa incontrerà la famiglia del capo di Stato…".

Zenit

Esercizi spirituali in Vaticano. Le meditazioni della terza giornata. Card. Pasinya: riflettiamo su comunione nella Chiesa e comunione con Dio

La terza mattina di Esercizi spirituali per la Quaresima in Vaticano ha toccato il tema delicato della rottura della comunione con Dio, in particolare all’interno della Chiesa. L’autore delle meditazioni, il cardinale arcivescovo di Kinshasa, Laurent Monsengwo Pasinya, ha proposto oggi a Benedetto XVI e ai membri della Curia Romana, riuniti nella Cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico, due riflessioni intitolate “l’amore del mondo” e “Gli anticristi o la mancanza di fede in Gesù, il Cristo”. Nel pomeriggio, la terza meditazione in programma ha per titolo “Il peccato del sacerdote”. Le meditazioni sono ispirate a passi della prima Lettera di San Giovanni. . Intervistato da Radio Vaticana, l’arcivescovo di Kinshasa ha precisato che “San Giovanni riserva molta attenzione alla comunione nella Chiesa, sia alla comunione dei fedeli con gli Apostoli, che dei fedeli con Dio e degli Apostoli con Dio”. “È un tema interessante che vale sempre - ha commentato il porporato - perché all’interno di questo tema si parla di tutti i problemi che la Chiesa primitiva ha incontrato e che noi oggi possiamo incontrare”. Il card. Monsengwo Pasinya ha fatto riferimento alla rottura della comunione nella Chiesa: la rottura della comunione per mancanza di fede, la rottura della comunione per mancanza di carità, la rottura della fede perché non si segue l’insegnamento degli Apostoli. A questo proposito l’arcivescovo ha fatto notare che “all’inizio della Chiesa c’erano persone che non credevano in Gesù, come anche oggi ci sono persone che non credono in Gesù: non credono che Gesù sia il Messia, non credono che Gesù si sia incarnato”. Allora Giovanni cominciò a contattare coloro che non credevano che Gesù sia venuto e diceva: “Erano tra di noi, ma sono usciti”. Secondo il porporato “anche oggi abbiamo di quelle comunità che erano con noi e che sono uscite: tutte quelle piccole comunità che da noi si chiamano ‘chiese del risveglio’, oppure i fondamentalisti, eccetera. tutta questa realtà è toccata dal testo di San Giovanni”. “Il quale, alla fine - ha aggiunto il cardinale - incomincia a parlare della fede in Gesù Cristo, della comunione con Dio e, nel frattempo, indica i criteri per essere in comunione con Dio. Quindi, oggi stesso abbiamo interesse a rivedere queste cose”. Alla domanda sul modo in cui le parole della Lettera di San Giovanni si intrecciano con i temi della Quaresima, l’arcivescovo di Kinshasa ha risposto: “La Quaresima è, praticamente, un andare nel deserto con Gesù per essere più vicino a Dio. Dove il Signore ha vinto il demonio, anche noi dobbiamo vincere. Dove Israele, nel deserto, è stato vinto dal demonio, noi pure dobbiamo evitare di essere vinti dal demonio. Quindi, questa è la ragion d’essere della Quaresima: il fatto che ci aiuta a vivere più intensamente la comunione con Dio. La comunione con Dio, allora, è nel cuore della Quaresima, quando nel testo della Lettera si dice: “Voi avete vinto grazie all’unzione dello Spirito, grazie alla Parola di Dio che voi avete ricevuto nel battesimo”. Alla domanda circa il Messaggio per la Quaresima di quest’anno, in cui Benedetto XVI punta molto sull’aspetto della carità concreta, Monsengwo Pasinya ha concluso: “L’appello del Papa, da noi, è profondamente reale: quando si è in Africa e si vede quella povertà, quella miseria, si vedono quelle guerre, tutto il caos che c’è, non si può non pensare a questo. Per questo abbiamo senz’altro accolto il Messaggio del Papa: perché aderiva alla nostra realtà”.

Radio Vaticana, Zenit


Esercizi spirituali in Vaticano. Il card. Pasinya: riflettiamo sul valore della comunione nella Chiesa

Lettera a nome del Papa: intensificare l'impegno per il futuro della Chiesa in Bosnia ed Erzegovina, combattere lo scoraggiamento e la rassegnazione

Lunedì 30 e martedì 31 gennaio, nell'arcivescovado di Sarajevo (foto), si è svolta la quattordicesima riunione congiunta della Conferenza Episcopale di Bosnia ed Erzegovina e della Conferenza Episcopale croata. Essa è stata presieduta da mons. Franjo Komarica, vescovo di Banja Luka, e da mons. Marin Srakic, Aacivescovo di Ðakovo-Osjek. All'assemblea hanno partecipato tutti i vescovi della Bosnia ed Erzegovina e diciannove della Croazia. Mons. Komarica ha salutato in modo particolare i vescovi che partecipavano per la prima volta alla riunione congiunta: mons. Mate Uzinic, vescovo di Dubrovnik; monsignor Tomo Vuksic, ordinario militare di Bosnia ed Erzegovina; e mons. Drazen Kutlesa, vescovo coadiutore di Porec i Pula. Alla riunione ha partecipato anche l'arcivescovo Alessandro D'Errico, nunzio apostolico in Bosnia ed Erzegovina, il quale durante la solenne celebrazione del 30 gennaio nella cattedrale di Sarajevo, tra l'altro ha indirizzato ai vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli le seguenti parole: "In particolare, come sapete, qui in Bosnia ed Erzegovina ci stiamo confrontando con una questione molto delicata, che riguarda il futuro stesso della fede cattolica nel Paese. Com'è stato,ripetuto più volte, purtroppo da un po' di tempo i dati statistici che vengono raccolti ogni anno delle curie diocesane, sono tutt'altro che incoraggianti. E così, nella loro lettera pastorale dell'8 dicembre scorso, i vescovi di Bosnia ed Erzegovina hanno espresso di nuovo la loro preoccupazione per la situazione, pur con tanta fiducia nell'azione dello Spirito di Dio che guida la storia". "In questo contesto, dobbiamo essere molto grati - ha proseguito - al cardinale segretario di Stato per l'importante messaggio che, a nome del Santo Padre, ha inviato ai nostri vescovi qui convenuti. Il cardinale Bertone ha invitato tutti a dare adeguata attenzione a questa 'grave questione'; ha suggerito di programmare comuni linee pastorali al riguardo; e, nella parte conclusiva, ha affermato che il Santo Padre auspica che la riflessione collegiale dei vescovi delle due Conferenze episcopali possa contribuire ad ispirare utili iniziative, per far sì che il popolo croato sia in grado di continuare a svolgere la sua missione ecclesiale in Bosnia ed Erzegovina, e a offrire il suo prezioso contributo per la vita civile del Paese". I lavori della conferenza sono stati caratterizzati dalla riflessione su questa lettera-messaggio, che il card. Tarcisio Bertone, Segretario di Stato di Sua Santità, ha indirizzato ai vescovi della Bosnia ed Erzegovina e della Croazia, a nome del Santo Padre.I presuli, con grande riconoscenza, hanno visto in questa lettera un ulteriore segno della particolare sollecitudine del Santo Padre per la Chiesa in Bosnia ed Erzegovina. In effetti, anche a una prima lettura si può notare il vivo interesse del Pontefice per i cattolici in Bosnia ed Erzegovina, di cui la stragrande maggioranza è di nazionalità croata, e perciò l'invito ad intraprendere iniziative comuni da parte di entrambi gli episcopati in favore della comunità cattolica in Bosnia ed Erzegovina. "Questa Riunione Congiunta - si legge nella lettera - è un segno ulteriore dell'unità della Chiesa Cattolica in Croazia e in Bosnia ed Erzegovina. Si tratta di un'unità fatta non solo di affectio collegialis, ma anche di comune visione del ruolo, delle responsabilità e delle attività della Chiesa. Essa si alimenta con la medesima devozione al Santo Padre, con il sincero impegno ecclesiale dinanzi alle sfide che il popolo croato si trova ad affrontare nella regione, ed anche con esemplari interventi di solidarietà verso le fasce sociali più povere e bisognose. "In questo contesto di servizio collegiale al popolo di Dio, sono certo - prosegue il cardinale - che nella Riunione sarà data adeguata attenzione alla grave questione del futuro del popolo cattolico in Bosnia ed Erzegovina, al fine di programmare comuni linee pastorali". Il motivo di questo speciale interesse per i cattolici in Bosnia ed Erzegovina è soprattutto la loro tragica realtà demografica: la presenza cattolica in Bosnia ed Erzegovina diminuisce ogni giorno di più, e se non si riesce ad arrestare questo processo, potrebbe scomparire del tutto fra qualche decennio. Nella lettera, vengono presentate le cause di tale situazione. "Purtroppo, come ben sapete, i dati - scrive il Segretario di Stato - sono allarmanti: dai circa 800.000 cattolici del 1991 si è passati ai circa 440.000 di oggi; in parecchie parrocchie sono rimasti solo pochi anziani; secondo le statistiche annuali delle curie diocesane, il numero dei cattolici non cessa di diminuire. Le cause di questo triste fenomeno sono note: la guerra degli anni '90 ha prodotto gravi perdite in vite umane e in strutture ecclesiali; i profughi non sono tornati nel numero sperato; la difficile situazione economica costringe molti giovani a lasciare il Paese, soprattutto per mancanza di lavoro. Ma c'è anche un altro elemento preoccupante, che riguarda il decrescente tasso di natalità e il conseguente calo demografico".Successivamente il cardinale Bertone invita i pastori della Chiesa a intensificare il loro impegno in favore dei cattolici in Bosnia ed Erzegovina, chiedendo anche iniziative concrete per arginare il fenomeno ancora in atto della emigrazione della popolazione cattolica dal Paese. Si fa anche presente che la Chiesa è aperta alla collaborazione non soltanto con le autorità civili, ma con tutte le persone di buona volontà. "La gravità della situazione - si legge ancora - richiede che voi, come Pastori e primi responsabili del popolo di Dio in codesta regione, di comune intesa intensifichiate il vostro impegno per il futuro della Chiesa in Bosnia ed Erzegovina. Si devono combattere lo scoraggiamento e la rassegnazione e si deve incoraggiare il personale coinvolgimento nella questione della sopravvivenza. È necessario anche adoperarsi per migliorare le condizioni di vita di tutti gli abitanti, e in particolare dei giovani, che hanno bisogno di posti di lavoro per poter restare in Bosnia ed Erzegovina. Per realizzare questi importanti scopi, la Chiesa non mancherà di collaborare con le Autorità civili e con tutte le persone di buona volontà". È molto significativo che nel suo auspicio per i croati cattolici di Bosnia ed Erzegovina, il Santo Padre indichi ai vescovi anche il ruolo che essi esercitano per il bene comune di tutto il Paese, ovviamente senza dimenticare la loro missione ecclesiale. E ciò perché i cattolici vogliono impegnarsi non soltanto per la propria comunità, ma per tutta la società in cui vivono. "Il Santo Padre - riferisce la lettera del card. Bertone - auspica che la riflessione collegiale dei vescovi delle due Conferenze Episcopali contribuisca ad ispirare utili iniziative, per far sì che il popolo croato possa continuare a svolgere la sua missione ecclesiale in Bosnia ed Erzegovina e ad offrire il suo prezioso contributo per la vita civile del Paese".In tale contesto, i presuli della Bosnia ed Erzegovina hanno ringraziato i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e i fedeli laici della Croazia, per l'aiuto che essi hanno sempre dato ai fedeli cattolici in Bosnia ed Erzegovina. Tutti i presuli radunati a Sarajevo, ispirati dalla lettera-messaggio del segretario di Stato di Sua Santità, hanno riflettuto su come intensificare la loro sollecitudine per il futuro della Chiesa in Bosnia ed Erzegovina. Inoltre, hanno manifestato la necessità di un impegno a tutti i livelli affinché ogni popolo e ogni cittadino, in ogni parte della Bosnia ed Erzegovina, abbiano gli stessi diritti. I vescovi hanno espresso la speranza che in questo spirito possano lavorare anche le autorità della Croazia: Governo, Parlamento e Presidenza; come pure la Presidenza, il Consiglio dei Ministri e l'Assemblea parlamentare della Bosnia ed Erzegovina. Nello spirito del messaggio-lettera del cardinale Bertone, i vescovi hanno assicurato che continueranno a "collaborare con le Autorità civili e con tutte le persone di buona volontà", per migliorare la situazione "allarmante" dei cattolici in Bosnia ed Erzegovina.

L'Osservatore Romano

Ex leader del ramo femminile di Regnum Christi con altre compagne rompe con il movimento e fonda una nuova comunità con il parere favorevole del Papa

"Noi vescovi speriamo che emergano nuovi carismi tra i Legionari di Cristo". Una frase profetica pronunciata nell' agosto 2011 da un chierico spagnolo, di fronte a un gruppo di sacerdoti legati alla congregazione fondata da Marcial Maciel Degollado. Parole che si sono concretizzate negli ultimi giorni: non grazie a quei religiosi, ma per l’iniziativa di Malén Oriol, ex leader del ramo femminile del movimento Regnum Christi. Lei e altre compagne hanno appena fondato una nuova comunità, creando così la prima frattura nella Legione. Il 22 febbraio scorso, l’arcivescovo di Santiago di Chile, Ricardo Ezzati Andrello, ha creato una nuova associazione pubblica di fedeli con personalità canonica. Il suo nome: “Totus Tuus”, (significa “tutto tuo”) e rimanda chiaramente al pontificato di Giovanni Paolo II. Questo nuovo gruppo di vita consacrata femminile è stato riconosciuto con decreto ecclesiastico 67/2012. La sua fondazione si è conclusa con un semplice atto nella cappella privata dell’arcivescovo cileno al quale hanno partecipato, inoltre, l’ex pastore di Santiago e cardinale Francisco Javier Errázuriz e il sacerdote José Antonio Varas. Erano presenti le donne fondatrici, provenienti da otto paesi diversi di Europa e America. Tutte ex consacrate del “Regno”. Non è stata una cerimonia qualsiasi. Lì si è sigillata la prima divisione istituzionale nell’opera cominciata da Maciel. A breve potrebbero arrivarne altre. Un fenomeno prevedibile, se si prende in considerazione la profonda crisi che hanno dovuto affrontare negli ultimi anni i Legionari di Cristo e i membri consacrati del Regnum Christi, dopo il riconoscimento della Santa Sede della vita immorale e lontana da ogni sentimento religioso del suo fondatore. Molte delle nubili consacrate nel “Regno” non sono riuscite a superare lo shock emotivo derivante dagli atti di colui che chiamavano “nostro padre”. Malén Oriol è stata una delle più deluse. Figlia di una nobile famiglia spagnola, ha lavorato per anni insieme a Maciel, Non solo lo ha conosciuto personalmente, ma lo ha anche accompagnato, con un gruppo scelto di persone, durante gli ultimi giorni della sua vita. Fino al 15 febbraio scorso, è stata l’assistente del direttore generale per le consacrate, il massimo incarico al quale può accedere una donna legata alla Legione. Lei aveva presentato le dimissioni nello scorso ottobre. Che cosa è successo in questi quattro mesi? Il vertice attuale dei Legionari, dal quale dipende ancora organicamente il Regnum Christi, ha cercato con tutti i mezzi possibili di convincerla a non andarsene. Lo ha anche confermato il delegato pontificio che si occupa della riforma di entrambe le istituzioni, il card. Velasio De Paolis, in una lettera pubblica. Nonostante il processo di rinnovamento interno voluto da Benedetto XVI per assicurare la sopravvivenza di queste due associazioni, la donna ha deciso di andarsene. E non è stata l’unica: almeno 156 delle sue compagne hanno fatto lo stesso negli ultimi tre anni, ma possono essere di più. Secondo le cifre ufficiali, all’inizio di 2009, il numero di consacrate era di 956, mentre alla fine di 2011 era di 800. Di queste, non si sa quante faranno parte di “Totus Tuus”. L’arcidiocesi di Santiago del Cile non ha specificato il numero di fedeli che apparterranno a questa nuova associazione, anche se, al di fuori dell’ufficialità, si parla di una cifra intorno a trenta. Non si conosce nemmeno il nome della superiora. E’ certo, invece, che il card. Errázuriz avrà l’incarico di accompagnare spiritualmente la nuova comunità durante il suo primo anno di vita. L’iniziativa, questo è un altro elemento sicuro, può contare comunque sul sostegno di Benedetto XVI che ha comunicato il suo "parere favorevole" tramite la Segreteria di Stato del Vaticano. Non è poco se se si pensa che il Regnum Christi è impegnato in questo momento in una riforma autorizzata dal Papa stesso. Nel Palazzo Apostolico c’è coscienza delle difficoltà e delle resistenze al cambiamento, messe in atto anche da una “cupola” che, in maniera sottile, cerca di boicottare il percorso di rinnovamento. Tutto ciò unito all’impressione di un Velasio De Paolis troppo lento nel prendere decisioni che taglino la radice della vecchia struttura (quella che ha permesso gli abusi del fondatore) hanno prodotto altre sbandate tra i sacerdoti legionari. Secondo i dati ufficiali più recenti, 42 presbiteri sono usciti dalla congregazione negli ultimi due anni. Ma, secondo le stime non ufficiali, la cifra potrebbe essere superiore (intorno ai 100).Tra questi, quattro fratelli di Marlén Oriol: Juan Pedro, Santiago, Ignacio e Alfonso. Tutti sacerdoti e tutti hanno lasciato la Legione. Santiago e Alfonso sono stati presenti nel ritiro di alcuni giorni che un gruppo di sacerdoti (alcuni ancora membri della congregazione) hanno organizzato ad agosto a Córdoba (Spagna). In questa riunione hanno pregato, condiviso le loro frustrazioni e hanno concordato sulla necessità di fondare una nuova struttura che possa riunire gli ex Legionari. Non si sono messi d’accordo sui dettagli, anche se alcuni sono sicuri del fatto che la "formula sacerdotale" potrebbe essere adatta. Altri, invece, non erano convinti e hanno preferito aspettare. Ad ogni modo, sembra prevedibile che emergano nuovi carismi nella Legione di Cristo, colpita da una tempesta ben lontana dall’essersi placata.

Andrés Beltramo Álvarez, Vatican Insider