lunedì 8 ottobre 2012

Il Papa: il cristiano non deve essere tiepido, la fede deve divenire in noi fiamma dell’amore, che realmente accende il mio essere, diventa grande passione del mio essere e così accende il prossimo. Questo è il modo dell’evangelizzazione

Questa mattina alle 9.10, alla presenza del Santo Padre, nell’Aula del Sinodo in Vaticano, hanno avuto inizio i lavori della XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, sul tema "La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana". Presidente delegato di turno era il card. John Tong Hon, arcivescovo di Hong Kong. La prima Congregazione generale si è aperta con il canto dell’Ora Terza, durante la quale Papa Benedetto XVI ha tenuto una meditazione, in cui ha toccato il nervo centrale del Sinodo portando anzitutto nella quiete dell’Aula il rumore e i palpiti di chi nel mondo alza gli occhi al cielo, non vede nulla e continua a chiedersi: “Dietro il silenzio dell’universo, dietro le nuvole della storia, c’è un Dio o non c’è? E se c’è questo Dio, ci conosce, ha a che fare con noi? Questo Dio è buono e la realtà del bene ha potere nel mondo o no? Questa domanda è oggi così attuale come lo era in quel tempo. Tanta gente si domanda: Dio è un’ipotesi o no? E’ una realtà o no? Perché non si fa sentire? ‘Vangelo’ vuol dire che Dio ha rotto il suo silenzio: Dio ha parlato, Dio c’è...Dio ci conosce, Dio ci ama, è entrato nella storia. Gesù è la sua Parola, il Dio con noi, il Dio che ci mostra che ci ama, che soffre con noi fino alla morte e risorge”. Ecco la risposta della Chiesa alla grande domanda. Tuttavia, in tono sommesso ma senza giri di parole, il Papa ha posto un secondo quesito, quello vitale per i Padri sinodali: “Dio - ha ripetuto Benedetto XVI - ha parlato, ha veramente rotto il grande silenzio, si è mostrato. Ma come possiamo far arrivare questa realtà all’uomo di oggi affinché diventi salvezza?”. Avendo chiari tre passi fondamentali, che il Papa ha spiegato prendendo spunto dall’Inno dell’Ora Terza recitata poco prima. Primo passo, la preghiera. Gli Apostoli, ha affermato, non crearono la Chiesa “elaborando una costituzione”, ma raccogliendosi in preghiera in attesa della Pentecoste: “Noi non possiamo fare la Chiesa, possiamo solo far conoscere quanto ha fatto Lui. La Chiesa non comincia con il nostro fare, ma con il fare e il parlare di Dio...Solo Dio può creare la sua Chiesa. Se Dio non agisce, le nostre cose sono solo nostre e sono insufficienti. Solo Dio può testimoniare che è Lui che parla e ha parlato”. Dunque, ha osservato il Papa, non è “una mera formalità” se ogni assise sinodale comincia con la preghiera, ma una dimostrazione di consapevolezza del fatto che “l’iniziativa” è sempre di Dio, che noi possiamo implorarla e che con Dio la Chiesa può solo “cooperare”. Da qui nasce il secondo passo, con quella che in latino si chiama “confessio”, la confessione pubblica della propria fede. Questo atto, ha spiegato il Papa, è più che un professare la fede in Cristo: è una vera e propria “confessione”. Come quella fatta con coraggio davanti a un tribunale, “davanti agli occhi del mondo”, pur sapendo che potrà costare: “Questa parola ‘confessione’, che nel linguaggio cristiano latino ha sostituito la parola ‘professione’, porta in sé l’elemento martirologico, l’elemento del testimoniare davanti a istanze nemiche alla fede, testimoniare anche in situazioni di passione e di pericolo di morte...Proprio questo garantisce la credibilità: la ‘confessio’ non è qualunque cosa che si possa lasciar anche cadere. La ‘confessio’ implica la disponibilità a dare la mia vita, ad accettare la passione”. La “confessio” ha però bisogno di un abito che la renda visibile. Ed ecco il terzo passo: la “caritas”. Cioè la più grande forza che deve bruciare nel cuore di un cristiano, la fiamma da cui attingere per appiccare l’incendio del Vangelo attorno a lui: “C’è una passione nostra che deve crescere dalla fede, che deve trasformarsi in fuoco della carità...Il cristiano non deve essere tiepido”, perché “la tiepidezza discredita il cristianesimo”. Al contrario, “la fede deve divenire in noi fiamma dell’amore, fiamma che realmente accende il mio essere; diventa grande passione del mio essere e così accende il prossimo. Questo è il modo dell’evangelizzazione”. “L’Apocalisse - ha spiegato Benedetto XVI - ci dice che questo è il più grande pericolo del cristiano: no, che dica no; ma che dica un sì molto tiepido”. In una prospettiva cristiana, ha aggiunto, “la verità diventa in me carità e la carità accende come fuoco anche l’altro. Solo in questo accendere dell’altro per la fiamma della nostra carità, cresce realmente l’evangelizzazione, la presenza del Vangelo, che non è più solo parola, ma realtà vissuta”. “La cultura umana - ha fatto notare il Santo Padre - comincia nel momento nel quale l’uomo ha il potere di creare fuoco: con il fuoco posso distruggere, ma con il fuoco posso trasformare, rinnovare. Il fuoco di Dio è fuoco trasformante, fuoco di passione - certamente - che distrugge anche tanto in noi, che porta a Dio, ma fuoco soprattutto che trasforma, rinnova e crea una novità dell’uomo, che diventa luce in Dio”.

Radio Vaticana, SIR