lunedì 17 settembre 2012

'Ecclesia in Medio Oriente'. I cristiani che arrivano nella regione da Paesi lontani: oggetto dell’attenzione di Dio, meritano rispetto e accoglienza

Se il tema è il Medio Oriente dei cristiani, è logico che la parola migrazioni evochi immediatamente il dramma delle centinaia di migliaia di arabi che a motivo delle discriminazioni patite per la fede in Gesù in questi anni sono stati spinti a cercare un futuro lontano dalla propria terra. Ma questa in realtà è solo una faccia della medaglia. Perché ci sono anche dei cristiani che oggi arrivano in Medio Oriente da Paesi lontani: anche il loro è un numero a tanti zeri. E anche loro oggi si trovano ad affrontare problemi estremamente gravi. A ricordarlo è proprio il Papa nell'Esortazione Apostolica post-sinodale "Ecclesia in Medio Oriente", un documento in cui Benedetto XVI ha compiuto una scelta interessante: quella di mettere in comunicazione tra loro i due fenomeni. Forse anche in questo caso non c'era Paese migliore del Libano per mostrare come l'accostamento non sia affatto peregrino. Perché è vero: da Beirut negli ultimi anni tanti giovani cristiani hanno preso la strada dell'Occidente. Ma il Paese dei Cedri è anche una realtà in cui vivono un milione di lavoratori immigrati stranieri: domestiche, camerieri d'alberghi, giardinieri, autisti. E tra loro ci sono anche molti cattolici provenienti dall'Asia o dall'Africa. La stessa cosa, poi, succede in Israele, dove ormai, ad esempio, tra i fedeli di rito latino i filippini, gli indiani o i sudanesi presi tutti insieme sono più numerosi degli arabi. Per non parlare poi dell'Arabia Saudita e dei Paesi del Golfo Persico, dove questi cristiani venuti da lontano (ma solo temporaneamente e in una condizione molto precaria) sono complessivamente alcuni milioni. "Queste popolazioni costituite da uomini e donne spesso soli o da intere famiglie, affrontano una doppia precarietà - scrive Benedetto XVI nell'"Ecclesia in Medio Oriente" -. Sono stranieri nel Paese dove lavorano, e sperimentano troppo spesso delle situazioni di discriminazione e d’ingiustizia". E aggiunge subito che "lo straniero è oggetto dell’attenzione di Dio e merita dunque rispetto. La sua accoglienza sarà messa in conto nel Giudizio finale". Sono parole forti rivolte in primo luogo ai governanti. Ma chiamano in causa anche le stesse comunità cristiane. Perché non sempre, al loro interno, i rapporti con i nuovi arrivati sono facili: la situazione più normale, in Medio Oriente, è quella di gruppi che vivono una vita parallela anche nella stessa parrocchia. Al contrario il Papa dice ai fedeli arabi: l'accoglienza dello straniero è anche compito vostro, perché queste persone hanno compiuto "una scelta altrettanto lacerante di quella dei cristiani medio-orientali che emigrano". E non possono, dunque, essere guardati come qualcosa di estraneo rispetto al proprio contesto. Di fatto Benedetto XVI propone il Medio Oriente come un laboratorio di una Chiesa nella quale, per via della globalizzazione, l'universalità non può più essere solo un'idea astratta: "Mi rivolgo all’insieme dei fedeli cattolici della regione - sono le parole conclusive del paragrafo 35 dell'Esortazione Apostolica -, i nativi e i nuovi arrivati, la cui proporzione si è ravvicinata in questi ultimi anni, giacché per Dio non vi è che un solo popolo, e per i credenti, che una sola fede! Cercate di vivere rispettosamente uniti e in comunione fraterna gli uni con gli altri, nell’amore e nella stima reciproci, per testimoniare in maniera credibile la vostra fede nella morte e risurrezione di Cristo". Per il Papa, dunque, si gioca anche sull'atteggiamento verso i "nuovi arrivati" la possibilità che il Medio Oriente volti davvero pagina.

Giorgio Bernardelli, Vatican Insider