venerdì 3 agosto 2012

Credere prima di agire, l’Enciclica sulla fede secondo il Papa. Benedetto XVI al lavoro sulla sua quarta 'lettera circolare', sulla scia di Paolo VI

Quando il 24 aprile del 2005, nell’omelia che aprì il Pontificato, Benedetto XVI disse che il suo compito, e insieme quello della Chiesa, era di “condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il figlio di Dio”, probabilmente già pensava che sarebbe arrivato fin qui. Dove? Alla decisione di scrivere un’Enciclica sulla fede, la sua quarta, la terza dedicata alle virtù riguardanti Dio, appunto le virtù teologali. Una notizia data nelle scorse ore in quel di Les Combes, a Introd, dal Segretario di stato Tarcisio Bertone che ha anche spiegato che il Papa ha concluso la stesura del terzo volume dell’opera su Gesù di Nazaret, dedicato ai racconti dell’Infanzia di Gesù ("Die Kindheitsgeschichten"). Il volume, scritto in tedesco, deve ora essere tradotto. Un’Enciclica dedicata alla fede, dunque, per dire cosa? Un assaggio il Papa lo diede lo scorso 11 ottobre, nella Lettera Apostolica "Porta fidei" con la quale indisse un Anno dedicato alla fede. Disse che “capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune”. Mentre la Chiesa non può accettare che “il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta”. La fede prima delle preoccupazioni sociali e politiche, dunque, un presupposto non secondario nella visione delle cose del Papa tedesco. Si sa che egli ha in mente Paolo VI, e la sua decisione per certi versi dirompente di indire un Anno della fede nel 1967, tempi di rivolgimenti e, nella Chiesa, anche di cedimenti: prima del credere l’agire, gli anni del post Concilio, delle verità di fede annacquate dal vento del rinnovamento. Paolo VI pensò a un momento solenne perché in tutta la Chiesa vi fosse “un’autentica e sincera professione della medesima fede”. Una professione da parte di tutti, perché il credere fosse purificato dalle derive e dai tradimenti: “I grandi sconvolgimenti che si verificarono in quell’anno - ha scritto Papa Ratzinger - resero ancora più evidente la necessità di una simile celebrazione”. Essa si concluse con la professione di fede del popolo di Dio, per attestare quanto i contenuti essenziali che da secoli costituiscono il patrimonio di tutti i credenti hanno bisogno di essere confermati in maniera nuova al fine di dare testimonianza coerente in condizioni storiche diverse dal passato. Non è un caso che l’Enciclica esce, oltre che nell’Anno dedicato alla fede, anche in quello nel quale si festeggia il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962) e nel ventesimo anniversario della promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica (11 ottobre 1992). Joseph Ratzinger ha lavorato a lungo, da prefetto dell’ex Sant’Uffizio, alla stesura di un compendio del Catechismo. Per lui, come per Paolo VI più di quarant’anni fa, il Catechismo è la strada a cui aggrapparsi non solo per apprendere e divulgare una fede corretta, ma anche per interpretare e riproporre nel modo più giusto gli insegnamenti del Vaticano II. Paolo VI il 30 giugno 1968 pronunciò a conclusione del suo Anno della fede il suo “Credo del popolo di Dio”. Il 24 novembre 2013, Solennità di Cristo Re, Benedetto XVI celebrerà “un’Eucaristia in cui rinnovare solennemente la professione della fede”. Insomma, una continuità assoluta. Sarà quella anche la data in cui rendere nota la sua quarta Enciclica? Difficile dirlo. Papa Ratzinger ha dimostrato, nella stesura del suo ultimo volume su Gesù di Nazaret, di non amare le corse. Si prenderà il tempo necessario, per la sua ultima attesissima “circolare”.

Paolo Rodari, Il Foglio