martedì 21 agosto 2012

Anno della fede. Riscoperta, riflessione, impegno sono le tre principali direttrici lungo le quali la Chiesa in Brasile intende muoversi

Non è solo il santuario più famoso del Brasile. La basilica di Nostra Signora di Aparecida è metafora del percorso di rinnovamento seguito dalla Chiesa latinoamericana dopo il Concilio. Lì, nel maggio di cinque anni, si svolse la quinta Conferenza generale dell’Episcopato del continente (Celam), e i vescovi rifletterono insieme a Benedetto XVI sull’importanza di una nuova evangelizzazione. Missione a cui ogni fedele è chiamato per trasmettere l’amore di Cristo attraverso una testimonianza coerente. Non è un caso, dunque, che la Chiesa brasiliana abbia scelto di cominciare le celebrazioni per l’Anno della fede proprio ad Aparecida. Il 12 ottobre, 520° anniversario del primo incontro tra Europa e America, data che quest’anno cade il giorno dopo l’inizio dell’Anno della fede, la Basilica ospiterà una cerimonia cui sono invitati i pastori del Paese più grande del continente, che conta ben 275 diocesi. "Sarà un ritorno ai grandi temi affrontati cinque anni fa nella Conferenza – spiega ad Avvenire padre Antonio Luiz Ferreira Catelan, responsabile nella Conferenza Episcopale brasiliana per la dottrina della fede – per rafforzare i fondamenti della religione cristiana e poterla testimoniare nella nostra vita, perché la fede è una riscoperta continua". Riscoperta, riflessione, impegno sono le tre principali direttrici lungo le quali la Chiesa brasiliana intende muoversi nell’Anno della fede. A ottobre, uscirà l’edizione ufficiale dei documenti del Concilio Vaticano II curata dalla Conferenza Episcopale brasiliana, che pubblicherà una miscellanea dei discorsi di Benedetto XVI sulla fede, oltre all’edizione ufficiale del Catechismo e un compendio del Catechismo. «È il fondamento del nostro credo, dobbiamo approfondirlo di continuo – continua padre Catelan –. Per questo a settembre si svolgerà un congresso teologico a Curitiba". Non è solo uno sforzo teorico. La conoscenza della fede implica a sua volta un rinnovato slancio missionario, dai forti connotati sociali. Nonostante il recente "milagro economico" – è la sesta economia del mondo –, il Brasile rimane una nazione sfregiata da marcate diseguaglianze: quasi un terzo degli abitanti è povero e oltre la metà vive in condizioni abitative precarie. "La Chiesa brasiliana ha una grande tradizione di impegno e solidarietà che dobbiamo proseguire", spiega padre Antonio. È una sfida importante in un momento cruciale: insieme al boom, nel Paese avanza anche la secolarizzazione. L’offerta religiosa si moltiplica. Accanto alla forte e radicata presenza della Chiesa Cattolica, dilagano le sétte protestanti, in particolare di matrice evangelico-pentacostale. Se ne contano ormai migliaia di denominazioni, per un totale di oltre 42 milioni di fedeli, il 26% della popolazione, in base alla ricerca realizzata nel 2010 dall’Istituto brasiliano di geografia e statistica. I numeri evidenziano, inoltre, un calo dei cattolici, che restano comunque oltre 123 milioni, pari al 64% dei brasiliani, in un Paese che è anche atteso da un quadriennio sotto i riflettori del mondo: GMG 2013, Mondiali di calcio 2014, Olimpiadi 2016, tutt’e tre a Rio. Al di là delle cifre, "si nota, però, una religiosità più partecipata: chi si professa cattolico non lo fa più per tradizione ma per convinzione profonda", afferma mons. Giuliano Frigeni, vescovo di Parintins, al confine tra gli Stati di Amazonas e Parà, nel cuore della selva. Bergamasco, missionario del Pime, da 33 anni in Brasile, "dom Giuliano", come si fa chiamare, è un vescovo che vive ai margini del Brasile "rampante": nel Nord amazzonico il governo latita mentre i latifondisti impongono con la forza il loro potere a contadini e indigeni. Questi ultimi rappresentano l’8% della popolazione della diocesi di Parintins. "Per testimoniare il Vangelo in questi luoghi si deve fare come Gesù: vivere in mezzo alla gente – dice il vescovo. – La fede non è solo un apparato dogmatico, qui è soprattutto amore paterno e materno, accoglienza incondizionata di tutti, forti e fragili. Evangelizzare vuol dire trasmettere questo messaggio, ai meticci come ai nativi. Senza alcuna arroganza o forzatura, o pretesa di colonialismo culturale e religioso, ma con affetto infinito. Lo stesso affetto di Gesù, cui dobbiamo sforzarci di assomigliare ancor di più in quest’Anno della fede".

Lucia Capuzzi, Avvenire