venerdì 3 agosto 2012

Anno della fede. Le ragioni che hanno portato all'indizione del Papa: mettere in luce la gioia ed il rinnovato entusiasmo dell'incontro con Cristo

"La natura dell'uomo è rapporto con l'infinito", tema della prossima edizione del Meeting per l'amicizia fra i popoli, è un'affermazione di don Luigi Giussani. Certamente non può essere ridotta alla banale constatazione che nell'uomo c'è l'esigenza di un progresso all'infinito, constatazione che di sicuro troverebbe un consenso più ampio. Si tratta, invece, del riconoscimento di una drammatica verità: l'uomo è costituito dal rapporto con l'infinito, una realtà che egli può abbracciare e amare come fonte del proprio essere, oppure bestemmiare come faceva il Capaneo dantesco, senza smettere per questo di desiderarla. L'uomo è costituito dal desiderio di Dio. La coscienza cristiana ne è consapevole grazie alla rivelazione e all'esperienza. Questo desiderio è la firma del Creatore nella natura umana, il principio della grandezza di questa creatura rispetto a tutte le altre. Si tratta dell'esigenza di "ciò che vale e permane sempre", come ci ricorda il Motu Proprio "Porta fidei" (n. 10) con il quale Benedetto XVI ha indetto l'Anno della fede. Uno scrittore siciliano, Gesualdo Bufalino, in una sorta di autobiografia romanzata (Argo il cieco, ovvero i sogni della memoria), rappresenta uno dei suoi personaggi, Iaccarino, in un momento di verità che il vino aveva favorito. Suonando "verso i quattro canti del cielo il suo debole corno di postiglione", quest'uomo apostrofa Dio, e bestemmia, e supplica: "Ehi tu, t'ho visto, non fare il furbo, non fingere di non esistere! Dio esisti, ti prego! Esisti, te lo ordino!". Anche se Bufalino, sino alla fine, si è dichiarato agnostico, ha saputo esprimere come pochi, attraverso i suoi eroi, l'esigenza che Dio ci sia, il desiderio di conoscerne il volto. Questa ineludibile necessità che "costringe" l'uomo a stare dentro il rapporto con l'infinito è documentata anche dalla forma particolare che ha assunto l'ateismo moderno. Esso, ha scritto il Papa nella "Spe salvi" (n. 42) , è caratterizzato dalla "protesta contro Dio". Una protesta che prende spunto dalle ingiustizie del mondo e della storia universale: "Un mondo, nel quale esiste una tale misura di ingiustizia, di sofferenza degli innocenti e di cinismo del potere, non può essere l'opera di un Dio buono. Il Dio che avesse la responsabilità di un simile mondo, non sarebbe un Dio giusto e ancor meno un Dio buono. È in nome della morale che bisogna contestare questo Dio". Anche quando l'uomo contesta Dio, esprime dunque, l'inestirpabile esigenza di verità e di giustizia che nasce dall'essere fatto per Lui. È la stessa esigenza che porta a riconoscere come nell'annuncio cristiano del Verbo fatto carne si realizza in modo impensabile e gratuito quello che nella coscienza dell'uomo emerge talora come presentimento o profezia. Cristo morto e risorto conclama che tutto nella storia è redimibile, che non si perde nulla nel vortice degli eventi, che si può vivere, pertanto, senza nulla dimenticare e rinnegare. Durante la sua recente visita pastorale a Milano, Benedetto XVI, dopo aver assistito all'esecuzione della nona Sinfonia di Beethoven, ha parlato al pubblico della Scala e, facendo riferimento al terremoto che ha duramente provato l'Emilia, ha audacemente corretto le parole dell'Inno alla gioia di Schiller: "Non proviamo affatto le scintille divine dell'Elisio. Non siamo ebbri di fuoco, ma piuttosto paralizzati dal dolore per così tanta e incomprensibile distruzione che è costata vite umane, che ha tolto casa e dimora a tanti. Anche l'ipotesi che sopra il cielo stellato deve abitare un buon padre, ci pare discutibile. Il buon padre è solo sopra il cielo stellato? La sua bontà non arriva giù fino a noi? Noi cerchiamo un Dio che non troneggia a distanza, ma entra nella nostra vita e nella nostra sofferenza". Solo nel volto di Gesù crocifisso si manifesta, infatti, in modo accettabile il destino dell'uomo e della storia. La ragione che ha portato il Papa a indire un "Anno della fede" è quella dichiarata all'inizio del suo ministero come successore di Pietro: "Mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia ed il rinnovato entusiasmo dell'incontro con Cristo" ("Porta fidei", n. 2). Sapranno i cristiani essere oggi il luogo in cui splendono la gioia e l'entusiasmo di questo incontro, unica possibilità di sostenere il rapporto con l'infinito? È la sfida legata alle intenzioni profonde di questo Pontificato.

Francesco Ventorino, L'Osservatore Romano