venerdì 13 aprile 2012

85° genetliaco di Benedetto XVI. Sante ricorrenze: Benedett85, il punto della situazione. Ritratto di un cauto seminatore

Joseph Alois Ratzinger, asceso il 19 aprile 2005 al Soglio di Pietro come Benedetto XVI, compie 85 anni. Nato il 16 aprile 1927 a Marktl Am Inn, figlio di un poliziotto ed una casalinga ex cuoca, un fratello maggiore, Georg, sacerdote come lui e valente maestro di musica, una sorella molto amata scomparsa nel 1993, è arrivato ad un'età importante per un Pontefice. Nella gerontocrazia vaticana, detto senza offesa, ma semplicemente perché le nomine si ricevono comunque ad età in cui "al secolo", come si diceva una volta, si è a metà della propria carriera o verso la pensione, e i vescovi si ritirano a 75 anni, 80 i cardinali di Curia che peraltro perdono l'elettorato attivo e passivo in conclave, un'età simile è quella in cui attorno ad un Papa si comincia a discutere con insistenza (è accaduto e sta accadendo) di successione. È cinico, certo: ma la Chiesa è fatta anche di questo, "morto un Papa se ne fa un altro" è ben più che un modo di dire.
Come Leone XIII? Ma lasciando da parte le varie ipotesi successorie, augurando ovviamente al Santo Padre di svolgere la sua missione "ad multos annos", come si è soliti ricordare in queste occasioni, è bene guardare al Pontificato di Benedetto, sia pure non sempre stabile nella salute, a quanto si dice, ma bisogna tener conto dell'età, in relazione alla personalità di questo Papa. E scoprire che questo cardinale tedesco, creato tale nel 1977 da Paolo VI e con quasi 30 anni di vita in Curia (entrò alla Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1981), non è affatto quel "Panzerkardinal" come fu soprannominato dai suoi critici negli anni '80. Sbaglia chi ritiene Benedetto XVI come un conservatore duro e puro, come un retrogrado. Anzi: questo Papa ha dimostrato, nel corso della sua missione, di essere un cauto seminatore. Con scelte addirittura sorprendenti per chi, nel 2005, aveva pronosticato un Pontificato di chiusura dopo i rutilanti anni wojtyliani. E diciamo una cosa, soprattutto in riguardo alla sua età ed alla possibile durata del Pontificato fino a 93 anni, come accadde a Leone XIII che regnò dal 1878 al 1903: Benedetto XVI potrebbe arrivare a quella veneranda età rendendo un servizio alla Chiesa ben diverso da quello di Gioacchino Pecci, di cui un diplomatico ebbe a scrivere nel 1900: "Il Papa conserva ancora una certa freschezza, ma non è più in grado di prendere concretamente una decisione". Questo, salvo eventuali colpi di scena, non dovrebbe accadere con Papa Ratzinger, sempre molto lucido e attento nel suo stile pastorale.
L'ombra del predecessore. Questo Pontificato è iniziato, e continua ancora, a volte ossessivamente, ad essere accostato a quello del suo immediato predecessore e amico, Karol Wojtyla oggi Beato. Un paragone inutile, come abbiamo già scritto su Affaritaliani.it, dal momento che pur essendo stato uno dei più stretti collaboratori di Giovanni Paolo II, Joseph Ratzinger non ha mai inteso improntare il suo Pontificato allo stile del Papa polacco. Sono due personalità diverse: uno espansivo, l'altro timido; uno il Grande Comunicatore degli anni '80 (l'altro era Ronald Reagan), Benedetto più attento alla semplicità dell'esposizione, riflesso degli anni da professore in quel di Tubinga dove nell'onda lunga del '68 il suo collega Hans Kung lo sfotticchiava per il basso numero di frequentanti alle lezioni, mentre le sue erano affollate (poi le cose sono andate diversamente, come vedete). La presenza ingombrante di Wojtyla, invocato, evocato, quasi idolatrato come se nessuno, all'infuori di lui, abbia potuto e saputo essere Papa e con lui sia finita la Chiesa, è stata una lente distorcente di questo Pontificato, che ha in un certo senso "perseguitato" Papa Ratzinger fin dal momento dell'Elezione. Eppure i suoi detrattori o critici dovrebbero tenere presente che Benedetto ha saputo riprendere a modo suo gli spunti lasciati da Giovanni Paolo. Le GMG, le Giornate Mondiali della Gioventù, vengono regolarmente tenute, sia pure con meno clamore rispetto a quelle dell'epoca di Karol il grande; il Papa si presta a volte a gesti fuori programma, mettendosi allegri cappellini o elmi dei Vigili del Fuoco in udienza da lui; non è un improvvisatore, non cerca la sintonia chiassosa con la folla ma cerca di parlare a ogni singolo. È nel suo carattere e nel suo modo di fare: probabilmente davanti ad un uditorio di 30-40 persone, superata la sua timidezza, scopriremmo una persona molto serena e, dicono, amante dei bon mots e dallo humor fulminante con cui a volte "castiga" qualche collaboratore un po' discolo. Ma il punto è quello che ha sempre detto Giulio Andreotti: i cattolici amano 'il' Papa, non 'un' Papa.
Punti a favore del Pontificato. Indubbiamente un Papa legato all'Europa (e non a caso ha scelto il nome di Benedetto, come il Santo protettore del Vecchio Continente e come Giacomo Della Chiesa, Benedetto XV, che condannò la Grande Guerra, guerra in fondo europea, come "inutile strage") per formazione e cultura (ma da giovane perito del Concilio Vaticano II, 50 anni fa, ebbe la fortuna di incontrare la Chiesa globale e da cardinale di Curia ha potuto comunque rendersi conto del concetto di "cattolicità", cioè di universalità, della religione di cui oggi è capo), Benedetto XVI ha iniziato da subito una battaglia contro il relativismo e contro il "supermercato delle religioni". In effetti si è scelto un compito arduo, in un'Europa sempre più secolarizzata, con un potere politico in quel di Bruxelles influenzato da lobby ben lontane dal suo sentire (i lettori ricorderanno la manfrina andata avanti per mesi tra l'ormai anziano Giovanni Paolo II e l'Unione Europea per l'inclusione delle radici cristiane nella costituzione europea), in un'Italia in cui i battezzati sono oltre il 90% della popolazione, ma a praticare è meno del 10% e dal 1980 circa si parla di religiosità dello scenario (e cioè di gente che si ritrova in chiesa per battesimi, prime comunioni, cresime, matrimoni e funerali più convinta di partecipare ad una cerimonia che ad un rito religioso), in cui l'ateismo di stile ottocentesco si presenta a volte sottoforma chiassosa o come sottile ragionamento (discorso ben diverso dall'ateismo vero, che è una coraggiosa ricerca ed anche un coraggioso scommettere in senso negativo alla "scommessa di Pascal"), questo Papa ha cercato il dialogo coi non credenti (si veda il "Cortile dei Gentili", animato dal card. Gianfranco Ravasi), con le religioni non cristiane (incontro di Assisi nel 2011, dialogo con i musulmani e visita alla Moschea Blu di Istanbul ed alla Sinagoga di Roma), tentato un avvicinamento con la Chiesa Ortodossa, provato in qualche modo un dialogo con la galassia protestante (e non dimentichiamo anche il dialogo con gli anglicani e il tentativo di riavvicinamento ai lefebvriani).
Nel solco del Concilio. Il Papa ha scritto sino ad oggi tre Encicliche, la "Deus Caritas est", la "Spe Salvi" e la "Caritas in veritate" (2005, 2007 e 2009). Da un lato l'idea dell'amore per gli altri che proviene dall'amore per Dio; dall'altra un'Enciclica sociale, che si riallaccia con forza alla "Populorum progressio" di Paolo VI del 1967 ed alla "Centesimus annus" del 1991 di Giovanni Paolo II, in cui il Papa teologo definisce "l'incertezza circa le condizioni di lavoro, in conseguenza dei processi di mobilità e di deregolamentazione" come "endemica", e che crea "forme di instabilità psicologica, di difficoltà a costruire propri percorsi coerenti nell'esistenza, compreso anche quello verso il matrimonio. Conseguenza di ciò è il formarsi di situazioni di degrado umano, oltre che di spreco sociale". Si tratta in fondo, guardando ai gesti, atti e scritti del Papa, delle direttrici su cui si muoveva il Concilio Vaticano II, ma questi progetti, eccezion fatta per il Cortile dei Gentili, si sono in qualche modo smorzati. Colpa, nel 2010, di un evento che ha marchiato a fuoco il Pontificato di Papa Ratzinger: lo scandalo dei preti pedofili.
Le spine del Pontificato. Questa è in fondo la spina più grande di questo papato. Le accuse piovute addosso a Papa Ratzinger nel 2010, di essere stato egli stesso un insabbiatore, di aver coperto un sacerdote pedofilo quand'era alla guida dell'arcidiocesi di Monaco e Frisinga, negli anni '70, cosa rivelatasi non vera, insieme ai processi intentatigli negli States da varie associazioni di vittime dei sacerdoti pedofili, il caso della pedofilia in Irlanda (che nel 2010 fece dimettere un vescovo, John Magee, già segretario di Paolo VI e Papa Luciani, Giovanni Paolo I). Ha dovuto affrontare e risolvere il caso dei Legionari di Cristo e del loro fondatore Maciel, dalla vita non certo edificante. E purtroppo in queste vicende non sempre il Papa, ci sembra, ha ricevuto il giusto appoggio dalla comunità dei fedeli e dei movimenti. Eppure non ha mai dato un segno di abbandono, è sempre stato sereno e coraggioso. E ha incontrato, a più riprese, le vittime degli abusi, varando norme più stringenti per la lotta all'abuso del clero (la prossima revisione della parte penale del Codice di Diritto Canonico risentirà delle direttive papali in materia). Poi ci sono le spine minori, come le dichiarazioni insensate e negazioniste (con buona pace della dichiarazione conciliare "Nostra Aetate" che ha condannato l'antisemitismo) del vescovo lefebvriano Richard Williamson, le polemiche sul discorso di Ratisbona (una frase sull'Islam male interpretata e strumentalizzata), la mancata visita all'università La Sapienza di Roma, gli ultimi dossieraggi in Vaticano (incluso un incredibile annuncio dell'assassinio del Papa entro fine anno) per citare le più conosciute. Insieme all'emergere di una pubblicistica online sedicente cattolica che rappresenta solo se stessa ed è semplicemente becera nel suo starnazzare, ma che purtroppo ha creduto di vedere in questo Papa un santo patrono (e in questo c'è chi ha avuto buon gioco a presentare personaggi quantomeno pittoreschi come "La Chiesa"). Spine che però non sembrano avere influito sul papato, eccezion fatta per lo scandalo dei preti pedofili che ha, ripetiamo, lo ha marchiato a fuoco.
Il tabù delle dimissioni. Benedetto XVI ha rotto comunque un tabù: quello delle dimissioni papali. Anche se non si dimetterà, come ha più volte confermato, nel libro "Luce del Mondo" del 2010, il Papa mette in chiaro che un pontefice, se non dovesse più sentirsi in grado di rendere il suo servizio alla Chiesa, dovrebbe dimettersi. Ora, da Pio XII in poi, tutti i papi (eccetto Giovanni XXIII e Giovanni Paolo I) hanno pensato alle dimissioni e le hanno in alcuni casi preparate. Ma poi lo spirito di sacrificio ha prevalso. È vero che in quest'epoca, soprattutto dopo Wojtyla, in cui il papato si è sempre più associato alla figura del Pontefice pro tempore, con una personalizzazione a volte esagerata, per tanti fedeli un Papa dimissionario sarebbe uno choc. Del resto, come risolvere un problema simile? Il Papa dimesso dovrebbe chiudersi in clausura e non rilasciare interviste. Si potrebbe fare nel mondo del XXI secolo? Eppure, dicendo chiaro e tondo che un Papa si può dimettere, Joseph Ratzinger ha infranto il tabù. E non è detto che il suo immediato successore, domani, possa farlo.
Un cauto seminatore. Per finire. A differenza del predecessore, Ratzinger ha puntato meno sul refrain della sessualità (sia pure ribadendo le posizioni della Chiesa in tema di AIDS e preservativo) e più sui temi sociali e la difesa della famiglia. Ha parlato ai giovani con accenti ispirati e quasi profetici, chiedendo loro di portare entusiasmo nella vita di tutti, inclusa la Chiesa. Ha parlato di speranza e di edificazione della "civiltà dell'amore". Paolo VI ebbe a dire che la nostra civiltà o si fa civiltà dell'amore, o muore. Benedetto, malgrado tutto, continua a tenere con coraggio il timone della Chiesa al centro, smentendo l'immagine del duro per mostrarsi cauto seminatore di fede, speranza, carità. Con l'augurio che fruttifichi, buon compleanno Santo Padre.

Antonino D'Anna, Affaritaliani.it