mercoledì 1 febbraio 2012

Bertone è un pasticcione. Ma niente a che vedere con l’epoca Wojtyla, dove gli scandali che da mesi investono il Vaticano affondano le loro radici

Oltretevere impazza la caccia alla talpa che sta passando alla stampa documenti imbarazzanti. Lettere e “memo” che due bravi giornalisti come Gianluigi Nuzzi (La7) e Marco Lillo (Il Fatto Quotidiano) usano per porre questioni sul governo e sui bilanci del Vaticano. Documenti riservati che mettono all’angolo il cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone. Chi sta sgambettando il principale collaboratore del Ppapa? Da quale ufficio è partita la fuga di notizie? E perché in una lettera di mons. Carlo Maria Viganò pubblicata da Il Fatto Quotidiano compaiono degli omissis? Chi ha protocollato quel documento? C’è già un fascicolo in procura? Domande appassionanti per l’annalistica vaticana, ma, peraltro, poco rilevanti. Perché se una sola persona ha girato i documenti a stampa e magistratura, molti altri, che pure non si spingerebbero tanto in là, hanno gioito a vedere Bertone in difficoltà. Il “partito” dei nunzi apostolici non ha mai perdonato al porporato salesiano di essere privo di formazione (e sensibilità) diplomatica. Il card.Camillo Ruini osserva accigliato il Vaticano da quando, dopo l’arrivo di Bertone nel Palazzo Apostolico, il Papa lo ha pensionato. Il suo successore alla guida della CEI, card. Angelo Bagnasco, non ha mai mandato giù il tentativo di Bertone di esautorare l’episcopato e prendere in mano i rapporti con la politica italiana. Non solo: Ruini e Bagnasco, assieme al card. Angelo Scola, all’epoca arcivescovo di Venezia, oggi di Milano, e al card. Christoph Schoenborn (Vienna), parteciparono ad un pranzo con il Papa a Castel Gandolfo, un paio di estati fa, nel quale avrebbero chiesto il licenziamento di Bertone, reo, a loro avviso, di un governo troppo maldestro della Chiesa Cattolica mondiale. Più di recente, Giuseppe Rotelli, imprenditore sanitario e azionista del Corriere della Sera, è riuscito a spuntare l’acquisto dell’ospedale San Raffaele solo dopo un lungo braccio di ferro con la cordata voluta da Bertone. In Vaticano, poi, la vecchia guardia wojtyliana, capofila il predecessore di Bertone, card. Angelo Sodano, non ha gradito la presa del potere dei “bertoniani” ed ha alimentato nei confronti del Segretario di Stato resistenze e voci di prepensionamento. Bertone è un pasticcione. Non solo: le ultime rivelazioni sollevano dubbi su opportunità e legalità di alcune decisioni sugli appalti del Governatorato e sui movimenti finanziari dello Ior. Ma non c’è nulla più di questo. Niente a che vedere con l’epoca Wojtyla. Quando, per fare qualche esempio, il nunzio apostolico in Cile andava a giocare a tennis con Augusto Pinochet. Quando i piani alti della Segreteria di Stato insabbiavano le accuse contro il fondatore dei Legionari di Cristo Marcial Maciel, pedofilo, tossicomane, padre di tre figli illegittimi (unico ad opporsi, l’allora card. Ratzinger). Quando gli appalti per il Giubileo del 2000 furono gestiti senza l’ombra della trasparenza. Gli scandali che da mesi investono il Vaticano, gli abusi sessuali del clero, gli immobili di Propaganda Fide usati in cambio di favori, la gestione opaca dei conti correnti presso lo Ior, il caso di Emanuela Orlandi, affondano le loro radici nell’era di Giovanni Paolo II. Bertone il pasticcione, va detto, c’entra poco o niente.

Iacopo Scaramuzzi, Linkiesta