lunedì 19 dicembre 2011

Vian: il Papa di tutti. A Rebibbia con semplicità e partecipazione ha dimostrato affetto per uomini che hanno sbagliato ma che si stanno rialzando

''Appena Benedetto XVI è entrato nella cappella del carcere di Rebibbia, una bella chiesa moderna dalla splendida porta bronzea, si è capito subito dalla vera e propria ovazione levatasi dai detenuti che l'incontro sarebbe stato importante e per nulla scontato. Come ogni visita di un Papa ai detenuti - sin dalle prime, negli ultimi decenni, compiute da Giovanni XXIII e da Paolo VI - anche questa ha commosso e colpito l'opinione pubblica, con un'attenzione mediatica alta''. Con queste parole L'Osservatore Romano di oggi commenta, in un editoriale del direttore Gian Maria Vian dal titolo "Il Papa di tutti", la visita di ieri del Papa alla Casa circondariale di Rebibbia, a Roma. ''Il segno è molto positivo e fa riflettere sulla persistenza profonda - prosegue l'articolo - in società pur largamente secolarizzate e dove la componente di disumanità è sempre più prepotente, dell'insegnamento evangelico - più tardi consacrato dalla tradizione cristiana tra le opere di misericordia corporale - che il Papa ha ricordato in questo tempo di Avvento, quando più nitido risuona il richiamo all'attesa del Signore, alla sua vicinanza e al giudizio finale, con l'affermazione sconvolgente del Figlio dell'uomo 'ero in carcere e siete venuti a trovarmi'''. "Il dialogo tra i carcerati e 'il Papa di tutti' - così l’ha definito uno di loro - è stato davvero un gesto storico": "con semplicità e partecipazione" il Papa, secondo Vian,"ha dimostrato il suo affetto per uomini che hanno sì sbagliato, commettendo reati e peccati, ma che si stanno rialzando. 'Ti voglio bene' gli ha detto un altro che gli ha chiesto il permesso di aggrapparsi con gli altri a lui per risalire a Dio. 'Anch’io ti voglio bene' gli ha risposto commosso Papa Benedetto. Che sa come tutti gli esseri umani abbiano bisogno di camminare insieme per arrivare al Signore", ha concluso.

Adnkronos

Il Papa di tutti

Il Papa in Messico e a Cuba. Card. Ortega: il popolo attende la sua presenza come la continuazione soprannaturale della visita alla Madonna

Quasi tre lustri dopo, è Benedetto XVI a far visita a un regime che continua a "confondere la nazione con il partito", come denuncia l’episcopato cubano. Il card. Jaime Lucas Ortega y Alamino era nelle prime file della Basilica di San Pietro quando Benedetto XVI ha confermato il suo seconda viaggio in America Latina, in particolare in Messico e nel suo Paese, Cuba. Il cardinale de L’Avana ha spiegato all’agenzia i motivi di interesse del viaggio di Benedetto XVI, rivelando cose sorprendenti, quali il fervore e la partecipazione al pellegrinaggio della statua della Vergine della Carità, che sta producendo una primavera della fede, uno spirito di vera pietà cattolica, una grande liberazione interiore dei sentimenti religiosi del popolo. Dopo un lungo silenzio su Dio, si assiste a questi incredibili fenomeni. "Un pellegrinaggio che si trasforma in paradigma della nuova evangelizzazione. Anche se ci saranno altri modi per affrontare il problema, il bisogno esistente è quello di liberarsi dalla secolarizzazione che inibisce la gente dal rapporto con il sacro". Il porporato cubano evidenzia che quello che la gente più desidera da questo viaggio è la benedizione del Papa, che porta quella pace spirituale, quel sentirsi nelle mani di Dio come un prolungarsi di quanto hanno visto e sentito nel pellegrinaggio con la "Virgen de la Caridad". Nel 1998 Giovanni Paolo II compì un viaggio considerata "storico" nel paese allora guidato da Fidel Castro. Il Natale, in Cuba non si celebrava, il viaggio nell’isola di Giovanni Paolo II ha cambiato tante cose. "Ora il Natale si celebra ed è un giorno festivo - sottolinea il cardinale -. Inoltre è stato permesso l’ingresso ai missionari, siano essi civili che religiosi e si assiste ad un vero rinnovamento della vita e della comunità cattoliche. Nella vita della Chiesa a Cuba si vede che c’è un prima e un dopo Giovanni Paolo II". L’invito a Benedetto XVI è stato rivolto proprio all’inizio del suo Pontificato e ribadito dal presidente Raul Castro lo stesso giorno nel quale ha assunto la presidenza del comitato della nazione. In quel momento il card. Tarcisio Bertone era in visita a L’Avana. "Dopo la visita di Papa Wojtyla sono cresciute le vocazioni, in particolare quelle sacerdotali - evidenzia Ortega -. Oggi siamo circa 360 mentre allora eravamo duecento. Anche la vita della Chiesa è cresciuta. La partecipazione al culto a Cuba non era un problema, ma mancava la libertà nelle espressioni e nelle manifestazioni pubbliche della fede". La gente apprezza le manifestazioni religiose pubbliche. "Adesso la peregrinazione della Madonna della Carità è abituale. Credo sia un paradigma di come deve essere la nuova evangelizzazione, perché sta generando un vero percorso missionario pubblico, con migliaia di persone che si riuniscono nei campi e nelle città. Il culmine di questo pellegrinaggio avverrà a L’Avana - puntualizza il porporato - . E’ straordinario il numero di persone che partecipa e la profonda partecipazione di fede. Al passaggio della Madonna per le strade, gli uomini si inginocchiano sull’asfalto, la gente prende i cellulari per fotografare la statua della Madonna e si fanno il segno della croce, applaudono spontaneamente, e si sentono gridi di gioia. C’è un vero spirito di pietà cattolica, e nel cuore dei cubani si sta sperimentando una grande liberazione di questi sentimenti". Quindi si può dire che la fede stia crescendo anche nella perla dei Caraibi. "Un giornalista pochi giorni fa ci chiedeva se è cresciuta la fede dei cubani, visto che i gli atleti ringraziano Dio quando vincono una gara, o fanno il segno della croce prima di un evento sportivo - evidenzia Ortega-. In realtà non è che la fede sia cresciuta, ma si manifesta e forse in questo è giusto dire che c’è una dilatazione della libertà religiosa. Si possono fare manifestazioni che in un altro momento erano considerate come improprie per l’epoca nella quale si viveva". Cuba sta per festeggiare l’Anno giubilare della Vergine della Carità. "I vescovi stanno stanno annunciando l’Anno giubilare, infatti nel 2012 ricorrono quattrocento anni da quando è stata trovata l’immagine della Vergine della Carità, nel nord di Cuba - racconta Ortega -. Abbiamo detto in una nostra lettera che si sta registrando una primavera della fede. Primavera è la parola giusta, perché c’è uno sbocciare di fiori alla fine dell’inverno Si aprono i germogli, è il germogliare è frutto di qualcosa che è stato seminato". Intanto cresce la preoccupazione per gli effetti che potrebbe avere il consumismo. "Esista già un certo consumismo in Cuba. E’ impossibile che nel mondo d’oggi la gente non imiti i comportamenti della società globale nella quale viviamo - puntualizza -. Mi fa impressione vedere che nelle strade quando passa la Madonna le persone la possono fotografare con il cellulare o con una buona macchina fotografica. Esiste il consumismo nella misura che migliora la situazione economica e per coloro che ricevono aiuti economici dagli Stati Uniti. Certo non è il consumismo sfrenato dei Paesi ricchi. La tendenza esiste ed è sempre un rischio. In futuro questo potrebbe ridurre i valori sociali esistenti in Cuba". Inoltre, "a volte la ristrettezza economica infatti genera valori come la solidarietà, l’attenzione dell’altro, al cura di cose comuni: credo che esiste in questo una inevitabilità che però può attenuare i suoi effetti negativi con una pratica più attiva della fede e dei valori e delle virtù cristiane". Quindi la Chiesa non è impegnata a programmare la situazione futura di Cuba. "Non è nelle nostre intenzioni fare illazioni sul futuro - assicura il porporato -. Il Papa chiede una nuova evangelizzazione. In Aparecida ha detto: Dobbiamo iniziare questa nuova evangelizzazione con una grande visione continentale. Noi abbiamo iniziato 15 mesi fa, e siamo nel bel mezzo della parte più dinamica del percorso, con l’obiettivo di unire e concentrare la popolazione a L’Avana il 30 dicembre". La gente di Cuba cosa si aspetta da questo viaggio di Benedetto XVI? "Il popolo ha vissuto la visita di Giovanni Paolo II come una specie di grande benedizione per tutto il popolo, e per ognuno - commenta Ortega -. Una volta Giovanni Paolo II in Perù, ha detto: 'Credo che in Latinoamerica esista un ottavo sacramento, la benedizione'. Noi lo abbiamo esperimentato incredibilmente, ci si stanca il braccio dal tanto benedire, sono migliaia di persone. Quando il Papa impartisce la benedizione alla gente, comunica questa pace spirituale, fa sentire le persone nelle mani di Dio, e questo è quanto la gente desidera. Cosa volete che la Madonna vi porti? 'Pace' rispondono". Dunque desiderano la benedizione del Papa. "La gente attende la presenza del Papa come la continuazione soprannaturale della visita alla Madonna - sottolinea il cardinale -. Il Papa rappresenta un inviato di Dio. La fede del popolo molte volte ci stupisce, la gente attende di essere portata verso il sacro, di vedere spazi che tendono all’infinito e all’eterno, vogliono liberarsi dalle preoccupazioni della vita quotidiana". Interessante il rapporto dei cattolici con gli atei, con le persone ideologizzate. "Trovo favoloso l’indicazione del Pontefice per il 'cortile dei gentili' - precisa il porporato cubano -. Benedetto XVI ha detto: 'E’ preferibile uno che ricerca Dio con serietà piuttosto che un altro che afferma che esiste un Dio, ma che vive in maniera indifferente e fredda come se non ci fosse'".

Giacomo Galeazzi, Vatican Insider

Vallini: i detenuti di Rebibbia hanno visto nel volto affettuoso del Papa la presenza di Gesù. Il cappellano: ci ha portato davvero molta speranza

“Ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Con queste parole dell’evangelista Matteo, in cui Gesù s’identifica con i detenuti, Benedetto XVI ha illustrato ieri ai reclusi nel carcere romano di Rebibbia il senso della sua visita. Un evento storico che ha coinvolto emotivamente e toccato nel profondo tutti coloro che vi hanno partecipato, a partire dal cardinale vicario, Agostino Vallini. Un appuntamento importante e commovente, quello che ha portato ieri Benedetto XVI tra i detenuti, e che ha toccato i cuori di tutti: reclusi, personale, autorità e ha emozionato anche il Santo Padre, che ha stretto mani, carezzato volti, abbracciato persone, ha pronunciato parole di perdono a quanti gli hanno espresso la loro ansia di riconciliazione con il mondo, pur nella consapevolezza delle sofferenze inflitte agli altri. Ha offerto conforto a quanti chiedono alla società di non essere identificati per sempre con il male che hanno causato, ha risposto alle loro domande, annunciando l’amore infinito di Dio che non viene mai meno per nessuno dei suoi figli. Una visita che lascerà un segno di grande coraggio, speranza e fiducia, quella del Papa, che ha rivolto ai detenuti un invito a crescere nella fede, ricordando che solo nel Signore l’uomo può ritrovare le sue vere radici e costruire se stesso. Un primo bilancio, a "caldo", sulla visita da parte del card. Vallini: “È stata una visita ricchissima, direi commovente. Il Santo Padre ha vissuto questa esperienza con molta intensità e con lui tutti noi e direi soprattutto i detenuti, che hanno visto nel volto affettuoso del Papa la presenza di Gesù. Le cose che ha detto ai detenuti, ma anche quello che ha ascoltato dai detenuti, sono state un’esperienza di comunicazione intensa e profonda che porterà certamente i suoi grandi frutti”. La visita del Santo Padre a Rebibbia ha rappresentato la realizzazione di un sogno, per il cappellano del carcere, don Pier Sandro Spriano, che si aspettava tanta commossa partecipazione da parte dei detenuti e delle guardie carcerarie: una presenza che si rinnova ogni domenica nella celebrazione dell’Eucaristia a Rebibbia. E una commozione che, assicura, riporterà di cella in cella nei prossimi mesi, quando consegnerà i 1700 rosari e le altrettante preghiere che Benedetto XVI ha lasciato a ognuno dei detenuti che non hanno potuto partecipare di persona: un segno della vicinanza del Papa, che li incoraggia a proseguire il proprio cammino di vita lasciandosi finalmente alle spalle gli errori del passato, come il cappellano auspica: “È stata davvero una ‘giornata di Avvento’, nel senso che le nostre speranze di poter incontrare quest’uomo, che è il nostro vescovo, erano tante. È venuto, ed è stata una quarta Domenica di Avvento davvero piena, che ci ha portato davvero molta speranza”. Il Papa, durante la visita, ha parlato del significato della giustizia divina, a volte lontana da quella umana, perché in Dio “giustizia e carità coincidono e non c’è un’azione giusta che non sia anche un atto di misericordia e di perdono”. L’idea della salvaguardia della dignità umana, pur in un contesto a volte degradante come quello carcerario, che il Santo Padre ha sottolineato con forza, ha colpito particolarmente il capo del Dipartimento della polizia penitenziaria, Franco Ionta, che ha raccontato qual è stato, per lui, il momento più emozionante della giornata di ieri: “Sicuramente, l’arrivo del Papa in una struttura penitenziaria è un momento irripetibile. Il momento che mi ha emozionato di più è stata la possibilità di scambiare delle parole, non dico in confidenza, però in ambiente riservato, subito dopo la cerimonia ufficiale. Ho trovato il Santo Padre una persona di livello eccezionale ma soprattutto con un tratto di umanità e di sensibilità per l’ambiente penitenziario, dunque sia verso i detenuti sia vero il personale, che mi ha veramente commosso”.

Radio Vaticana

Il Papa a Rebibbia, testimonianze di un detenuto, un seminarista e un agente della polizia penitenziaria

Il Papa in Messico e a Cuba. Il presidente Raul Castro riceve una delegazione dalla Santa Sede: accoglieremo Benedetto XVI con affetto e rispetto

Il presidente di Cuba, Raul Castro, ha ricevuto ieri una delegazione dalla Santa Sede in vista della preparazione del prossimo viaggio di Papa Benedetto XVI nell’isola, annunciato dallo stesso Pontefice durante la Messa celebrata il 12 dicembre per la festa della Madonna di Guadalupe e il Bicentenario dell'indipendenza di numerosi Paesi dell’America Latina. Dalle informazioni raccolte dall'agenzia Fides si sa che l'incontro ha avuto luogo nel palazzo del Consiglio di Stato nella Piazza della Rivoluzione. Secondo un comunicato ufficiale, letto al telegiornale nazionale, Castro ha mostrato la sua piena disponibilità per il viaggio di Benedetto XVI, previsto per fine marzo 2012. Cuba accoglierà Benedetto XVI "con affetto" e "rispetto", ha affermato il leader dell'isola caraibica, aggiungendo di aver appreso "con piacere" della notizia del viaggio papale. La notizia viene riproposta oggi dai media ufficiali cubani e latinoamericani, sottolineando le “eccellenti relazioni” tra Cuba e il Vaticano. Il quotidiano Granma porta oggi in prima pagina una foto di Raul Castro e di Alberto Gasbarri, responsabile dell’organizzazione dei viaggi papali in tutto il mondo. All'incontro con il generale Castro hanno partecipato anche il card. Jaime Ortega, arcivescovo de La Habana, il Nunzio Apostolico a Cuba, mons. Bruno Musaró, e il presidente della Conferenza Episcopale, mons. Dionisio García Ibanez, arcivescovo di Santiago di Cuba. Non si è mai verificata una tale copertura dei mass media per un evento simile, neanche durante la preparazione del viaggio di Papa Giovanni Paolo II a Cuba, nel 1998.

Fides, Agi

Il Papa riceve in udienza il nuovo ambasciatore del Paraguay presso la Santa Sede per la presentazione delle Lettere credenziali



Benedetto XVI ha ricevuto il nuovo ambasciatore del Paraguay presso la Santa Sede, Esteban Kriskovic, in occasione dello scambio delle Lettere credenziali. Il Paraguay è uno stato dell'America Meridionale, conta 6 milioni di abitanti in oltre 400mila chilometri quadrati. Confina a nord con la Bolivia, ad est con il Brasile e a sud e ovest con l'Argentina; il Paraguay è una repubblica presidenziale. L'attuale capo di stato e di governo è Fernando Lugo. Le lingue ufficiali sono lo spagnolo e il guaraní, ma vengono parlate anche altre lingue amerinde. Il nuovo Ambasciatore del Paraguay ha 40 anni ed è avvocato.

youtube.com/vaticanit

LE LETTERE CREDENZIALI DELL’AMBASCIATORE DEL PARAGUAY PRESSO LA SANTA SEDE

I ragazzi dell'Azione Cattolica al Papa: grazie per impegno generoso e costante con cui accompagni passi di chi cerca di dare un senso vero alla vita

“Grazie per quanto ogni giorno fai per il bene della Chiesa, per la tua passione per ogni uomo e per ogni donna del mondo, per il tuo impegno generoso e costante con cui accompagni i passi di quanti cercano risposte ai loro desideri, di quanti cercano di dare un senso vero alla loro vita”. È un passaggio degli auguri che i ragazzi dell’Azione Cattolica, per bocca di Gilda Gallucci, diocesi di Avellino, 11 anni, hanno rivolto a Benedetto XVI. La delegazione dell’Acr ha ricordato “l’incontro vissuto insieme il 30 ottobre dell’anno scorso” con l’invito “ad essere sempre di più amici di Gesù” che Papa Ratzinger rivolse loro. “Oggi – ha proseguito l’Acr – vogliamo dirti che ci siamo impegnati a conoscere il Signore, ad ascoltarlo, a parlare con Lui nella preghiera e ad incontrarlo nei sacramenti e nella Santa Messa. Anche se non sempre ci riusciamo pienamente, desideriamo però davvero crescere nell’amicizia con Gesù per essere bambini e ragazzi felici, e in questo, il cammino dell’Acr ci aiuta e ci sostiene”. “Siamo qui, nella tua casa, insieme ai nostri educatori per rivolgerti gli auguri di Natale di tutta l’Azione Cattolica, che ha scelto proprio noi bambini e ragazzi a rappresentarla. È davvero un momento unico e bello per tutti noi e ti chiediamo di perdonare la nostra emozione e la nostra confusione allegra”. Infine, un pensiero al prossimo mese di gennaio, dedicato al tema della pace, nel quale l’Acr sosterrà un progetto di solidarietà in Bolivia, che “ci aiuterà a riflettere – hanno detto i ragazzi – su tutte quelle situazioni d’illegalità, in cui non sono garantiti i diritti fondamentali dell’uomo.

SIR

"Cari ragazzi, puntate in alto!"

Il Papa: ragazzi, rispondete con generosità a Dio che vi chiama alla sua amicizia, non vi deluderà mai! Siate sensibili verso chi ha bisogno d'aiuto

A fine mattinata, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in udienza una rappresentanza di ragazzi dell’Azione Cattolica Italiana per gli auguri natalizi.
“Bravi!”, ha detto loro nel suo discorso Benedetto XVI, definendoli “un gruppo di ragazzi e di ragazze in gamba, perché la vostra attenzione non si ferma solo ai compagni di scuola o di gioco, ma vuole arrivare là dove tanti coetanei non possono stare bene ed essere felici come voi, perché mancano del necessario per vivere in modo degno”. “Siate sempre sensibili verso chi ha bisogno di aiuto; fate come Gesù che non lasciava nessuno solo con i suoi problemi, ma lo accoglieva sempre, condivideva le sue difficoltà, lo aiutava e gli donava la forza e la pace di Dio”. Riferendosi al tema scelto quest’anno dall’Acr, “Alzati, ti chiama”, a volte, ha riconosciuto il Pontefice, non è così facile ascoltare e rispondere: “Io non vi invito solo ad essere pronti, ma a vedere che dentro questa parola quotidiana c’è una chiamata di qualcun’altro che vi vuole bene, c’è una chiamata di Dio alla vita, ad essere ragazzi e ragazze cristiani, ad iniziare un nuovo giorno che è un suo grande dono per incontrare tanti amici, come siete voi, per imparare, per fare del bene e anche per dire a Gesù: grazie per tutto quello che mi dai”. “Al mattino, quando vi alzate – ha soggiunto il Papa – ricordatevi anche del grande Amico che è Gesù con una preghiera. Spero lo facciate tutti i giorni!”. La “prima chiamata”, ha detto il Papa ai ragazzi, “l’avete avuta con il dono della vita; siate sempre attenti a questo grande dono, apprezzatelo, siatene riconoscenti al Signore, chiedetegli che doni una vita gioiosa ad ogni ragazzo e ragazza del mondo: tutti siano rispettati, sempre, e a nessuno manchi il necessario per vivere”. Col Battesimo, ha proseguito Benedetto XVI, “siete diventati fratelli di Gesù”, e nel giorno della Comunione “l’amicizia con Gesù è diventata stretta intima”. Ha poi rivolto il pensiero all’amicizia con Gesù che accompagna i giovani nel cammino della loro vita: “Cari ragazzi e ragazze dell’Acr, rispondete con generosità al Signore che vi chiama alla sua amicizia: non vi deluderà mai! Vi potrà chiamare ad essere un dono di amore ad una persona per formare una famiglia, o vi potrà chiamare a fare della vostra vita un dono a Lui e agli altri come sacerdoti, religiose, missionari o missionarie”. “'Puntate in alto'; ne sarete felici per tutta la vita”. Il Papa, dopo aver ringraziato “tutti i vostri educatori e i vostri genitori”, ha voluto salutare con affetto mons. Domenico Sigalini, assistente ecclesiastico di Azione Cattolica, ritornato ai suoi impegni dopo un grave incidente: “Sono particolarmente felice che il nostro vescovo, mons. Sigalini, è tornato. Era caduto, come sapete, molto ammalato, ma il Signore ha bisogno di lui e così, grazie per il suo ritorno!”. Benedetto XVI ha chiesto ai ragazzi di dire ai loro coetanei: “Guarda che io ho risposto alla chiamata di Gesù e sono contento perché ho trovato in Lui un grande Amico, che incontro nella preghiera, che vedo tra i miei amici, che ascolto nel Vangelo. Il Natale che vi auguro è questo: quando farete il presepio pensate che state dicendo a Gesù: vieni nella mia vita e io ti ascolterò sempre”.

Radio Vaticana, SIR

UDIENZA A UNA DELEGAZIONE DI RAGAZZI DELL’AZIONE CATTOLICA ITALIANA - il testo integrale del discorso del Papa

Benedetto XVI firma i decreti per sette nuovi Santi e alcuni Beati. Sarà presto canonizzata Caterina Tekakwitha, la prima fra i nativi d'America

Sarà presto canonizzata la prima “pellerossa” d’America. Caterina Tekakwitha è una delle prossime quattro Sante delle quali Benedetto XVI ha riconosciuto l’intercessione di un miracolo. Con loro, il Papa ha firmato questa mattina i decreti riguardanti tre nuovi Santi e la Beatificazione di cinque Venerabili servi di Dio. Con loro, anche un folto gruppo di martiri sarà elevato agli altari, mentre di sette Servi e Serve di Dio sono state riconosciute le virtù eroiche. Figlia di una coppia mista nella prima “era” del colonialismo occidentale in America del Nord. Il nome della Beata Caterina Tekakwitha, nata nel 1656 nella località oggi statunitense chiamata Auriesville, e morta in Canada a soli 24 anni, spicca nel lungo elenco che raggruppa le nuove figure di Santi, Beati e martiri che il Papa ha deciso di proporre alla venerazione della Chiesa. Di padre irochese e di madre cristiana algonchina, la Beata Tekakwitha sarà la prima Santa pellerossa e una dei tre laici prossimi alla Canonizzazione. Suo contemporaneo, ma a distanza di un oceano, è il Beato Pietro Calungsod, originario delle Filippine e morto martire a 18 anni nell’Arcipelago delle Marianne. L’altra laica e futura Santa è la Beata Anna Schäffer, vissuta due secoli dopo, tra la fine dell’Ottocento e i primi tre decenni del XX secolo. Gli altri miracoli riconosciuti da Benedetto XVI riguardano il Beato Giovanni Battista Piamarta, sacerdote bresciano e fondatore della Congregazione della Sacra Famiglia di Nazareth e della Congregazione delle Suore Umili Serve del Signore, vissuto tra il 1841 e il 1913, e un altro sacerdote martire, Giacomo Berthieu, professo della Compagnia di Gesù, un francese ucciso in Madagascar nel 1896. Prossime alla proclamazione di santità sono anche due religiose: la spagnola Beata Maria del Monte Carmelo, fondatrice delle Suore dell'Immacolata Concezione Missionarie dell’Insegnamento, scomparsa nel 1911, e la tedesca Beata Marianna, al secolo Barbara Cope, suora professa della Congregazione delle Suore del Terz'Ordine di San Francesco di Syracuse, meglio conosciuta come “Madre Marianna di Molokai”, dal nome del famigerato lebbrosario dove si dedicò coraggiosamente ai malati e perì nel 1918. Nei decreti firmati dal Pontefice, vi sono anche i nomi di cinque futuri Beati. Uno fra loro, l'italiano don Luigi Novarese, è stato un apostolo degli ammalati contemporaneo, fondatore della Pia Unione dei Silenziosi Operai della Croce, originario di Casale Monferrato e scomparso nel 1984, per anni impiegato in Segreteria di Stato. Con lui, figurano don Luigi Bresson, la Benedettina Maria Luisa (Gertrude Prosperi), la Madre di San Luigi, fondatrice delle omonime Suore della Carità, e la religiosa argentina Maria Crescenzia. Tra i martiri si fa menzione di un sacerdote del Canton Ticino, Nicola Rusca, ucciso in odio alla fede nel 1618 in Svizzera, e di una nuova, ampia schiera di martiri della Guerra civile spagnola. Un primo gruppo riguarda Luigi Orenzio e 18 Compagni, dell'Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane, di Antonio Matteo Salamero, Sacerdote Diocesano, nonché Giuseppe Gorostazu Labayen, Laico, padre di famiglia). Un secondo gruppo si riferisce al martirio di Alberto Maria Marco y Alemán e di 8 Compagni dell'Ordine dei Carmelitani dell'Antica Osservanza, nonché di Agostino Maria García Tribaldos e di 15 Compagni, dell'Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane. Il terzo gruppo riguarda il martirio di Mariano Alcalá Pérez e di 18 Compagni dell'Ordine della Beata Vergine Maria della Mercede. Infine, i decreti pontifici riconoscono le virtù eroiche di due Servi di Dio – l’italiano don Donato Giannotti e il sacerdote professo francese Maria Eugenio del Bambino Gesù (Enrico Grialou) – e di cinque Serve di Dio: la francese Alfonsa Maria (Elisabetta Eppinger), fondatrice della Congregazione delle Suore del Ss.mo Salvatore, la polacca Margherita Lucia Szewczyk, fondatrice della Congregazione delle Figlie della Beata Maria Vergine Addolorata, dette “Serafiche”, l’italiana Assunta Marchetti, cofondatrice delle Suore Missionarie di San Carlo, la tedesca Maria Julitta (Teresa Eleonora Ritz), suora professa della Congregazione delle Suore del Redentore, e la laica italiana Maria Anna Amico Roxas, fondatrice della Società di Sant'Orsola.

Radio Vaticana

PROMULGAZIONE DI DECRETI DELLA CONGREGAZIONE DELLE CAUSE DEI SANTI

Natale 2011. I libretti delle Celebrazioni Liturgiche presiedute da Benedetto XVI

Santa Messa della Notte di Natale (24 dicembre)
Libretto della Celebrazione

Primi Vespri e Te Deum in ringraziamento per l'anno trascorso (31 dicembre)

Libretto della Celebrazione

Santa Messa nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio (1° gennaio)
Libretto della Celebrazione

Santa Messa nella Solennità dell'Epifania del Signore (6 gennaio)
Libretto della Celebrazione

Santa Messa e Battesimo di alcuni bambini (8 gennaio)
Libretto della Celebrazione

Il governo dell'Irlanda sarebbe pronto ad accogliere il Papa nel Paese. Ripercussioni politiche per la chiusura dell'Ambasciata presso la Santa Sede

Se il Vaticano lo richiedesse, il governo irlandese sarebbe disposto ad accogliere un viaggio del Papa, ha affermato il 14 dicembre Eamon Gilmore, il Ministro degli Esteri irlandese. Nei prossimi mesi potrebbe essere annunciata dal Governo un viaggio del Papa nel Paese. Parlando di fronte alla Commissione Affari Esteri del Parlamento irlandese, Gilmore ha affermato che se la Santa Sede richiedesse un viaggio papale in Irlanda, senza alcun dubbio il Governo risponderebbe in maniera positiva ed estenderebbe un invito, ha riferito l’Irish Times. Tale richiesta potrebbe presentarsi “in un momento convenevole per tutti, ad esempio in occasione del Congresso Eucaristico del prossimo anno”, ha aggiunto. Il Congresso è previsto per il prossimo giugno. Una fonte autorevole della Santa Sede, tuttavia, ha comunicato a Vatican Insider che il programma dei viaggio di Papa Benedetto per il 2012 è in fase di completamento e che include Messico e Cuba, Libano ma non l'Irlanda. I vescovi irlandesi hanno invitato Papa Benedetto XVI a partecipare al 50° Congresso Eucaristico Internazionale a Dublino (foto), dal 10 al 17 giugno, e l’arcivescovo della città, Diarmuid Martin, ha confermato che la Conferenza Episcopale ha formalmente rivolto l’invito, di cui il Vaticano è a conoscenza. Tuttavia, a metà giugno di quest’anno le fonti vaticane hanno riferito che l’Irlanda non figurava nell’elenco dei Paesi considerati per i viaggi papali del 2012, per una serie di motivazioni relative alla situazione della Chiesa irlandese e della crisi che stava attraversando. Parlando di fronte alla Commissione parlamentare, il Ministro ha cercato di risolvere ogni “incomprensione” sorta relativamente alla chiusura dell’Ambasciata presso la Santa Sede, comprese le dichiarazioni riguardo il deterioramento e l’interruzione dei rapporti diplomatici, o la riluttanza del Governo ad invitare il Papa in Irlanda. Riaffermando la ragione di tipo economico, egli ha rivelato che la chiusura dell’Ambasciata avrebbe comportato al Governo un risparmio annuale di 800.000 Euro. Ha negato il nesso tra la decisione e la polemica tra il governo irlandese e il Vaticano circa il ruolo di quest’ultimo nell’ambito dello scandalo sugli abusi di minori. Durante la discussione parlamentare, diversi membri della Commissione Affari Esteri hanno criticato la decisione, ha riferito l’Irish Times. Sean Ó Fearghail, membro del principale partito di opposizione (Fianna Fail) al Dail, l’ha definito un “errore”, mentre il suo collega di partito nel Seanad (Senato), Jim Walsh, l’ha descritta come una “cattiva decisione”, risultata in una “separazione e diminuzione delle relazioni con il Vaticano”. Il ministro Gilmore, in ciò che è stato considerato dalla Santa Sede come un messaggio di conciliazione, ha riferito alla Commissione che il Governo sarebbe pronto a rivolgere un invito al Papa, se il Vaticano lo richiedesse. Al momento, l’Irlanda e la Santa Sede intrattengono normali relazioni diplomatiche, così come avvenuto negli ultimi 81 anni. Entrambi hanno espresso il loro desiderio e determinazione allo sviluppo di un rapporto cooperativo e costruttivo nei prossimi anni, andando oltre le recenti tensioni che li hanno visti coinvolti circa lo scandalo sugli abusi sessuali da parte dei preti. All’inizio di novembre, Papa Benedetto ha nominato un nuovo nunzio in Irlanda, l’irlandese-americano mons. Charles J. Brown. Egli sarà consacrato arcivescovo a inizio gennaio, e prenderà le proprie funzioni a Dublino prima della fine di quel mese, dove sarà inoltre decano del Corpo Diplomatico. Da parte sua, il governo irlandese ha presentato il nome del nuovo ambasciatore non residente, e sta aspettando il consenso da parte della Santa Sede. L’iter burocratico interno per il consenso è più lento rispetto a quello in caso di ambasciatore residente, ma una fonte informata del Vaticano ha riferito che probabilmente presto sarà dato il via libera. Il viaggio papale potrebbe arrivare successivamente, forse nel 2013, data la disponibilità del Governo ad estendere l’invito, ma solo dopo l’avvenuto rinnovamento della Chiesa irlandese.

Gerard O'connell, Vatican Insider

Finché Chiesa non vi separi. Concedere la comunione ai divorziati risposati: i fedeli, con alcuni episcopati, premono e Benedetto XVI riflette

Sono tanti i segnali che dicono che Joseph Ratzinger si è scrollato di dosso l’immagine di “panzerkardinal” che gli affibiarono quando era prefetto dell’ex Sant’Uffizio, per la vulgata un uomo di Curia conservatore e tanto potente da essere in grado di frenare le spinte di riforma messe in campo da Karol Wojtyla. Le cose non sono mai state esattamente così. L’ultimo segnale in ordine di tempo è un articolo uscito il 30 novembre scorso su L’Osservatore Romano. Evidentemente non senza il suo consenso, il giornale vaticano ha rilanciato un testo dell’attuale Pontefice datato 1998, arricchito da una nota che riporta le parole da lui dette al clero della diocesi di Aosta nel luglio 2005. In quel testo, pur ribadendo la giustezza del divieto di concedere l’Eucaristia ai divorziati risposati, apre un varco nuovo in merito, anche perché, sono parole di quel discorso, il problema, pur “difficile”, “deve essere approfondito”. Il varco che Benedetto XVI intravede si possa aprire è declinato in due punti, che il vaticanista Sandro Magister sintetizza così: “Il possibile ampliamento dei riconoscimenti di nullità di quei matrimoni che sono stati celebrati ‘senza fede’ da almeno uno dei coniugi; il possibile ricorso a una decisione ‘in foro interno’ di accedere alla comunione, da parte di un cattolico divorziato e risposato, qualora il mancato riconoscimento di nullità del suo precedente matrimonio contrasti con la sua ferma convinzione di coscienza che quel matrimonio era oggettivamente nullo”. Un’apertura, quest’ultima, che sembra contraddire il testo firmato da Joseph Ratzinger il 14 settembre 1994 nel quale si dice esplicitamente che senza la nullità del primo matrimonio contratto, l’Eucaristia non può essere data: la Chiesa “afferma di non poter riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il precedente matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio e perciò non possono accedere alla comunione eucaristica”. L’argomento è delicato. Nei giorni scorsi, secondo quanto ha riportato sulla prestigiosa rivista cattolica nordamericana U.S. Catholic Paul Zulehner, teologo austriaco docente di Teologia pastorale all’Università di Vienna e amico del card. Christoph Schönborn, i vescovi del suo Paese dopo essersi riuniti “a porte chiuse” hanno inviato a Roma un documento che chiede una nuova pastorale per i divorziati risposati, norme più elastiche circa l’ammissione all’Eucaristia. I vescovi austriaci, infatti, come e probabilmente di più che in Italia, devono continuamente fare i conti con fedeli che partecipano attivamente alla vita delle parrocchie, spesso occupano i primi posti nei consigli pastorali, ma soffrono il divieto eucaristico. “I consigli pastorali delle parrocchie sono pieni di laici separati divorziati che spingono per accedere all’Eucaristia” dice Zulehner. A Il Foglio è padre Gianfranco Grieco, capo ufficio del Pontificio Consiglio per la Famiglia e direttore della rivista del medesimo dicastero, a lanciare un allarme che non è usuale sentire provenire da dentro le mura vaticane: “C’è molta preoccupazione. Ogni mese arrivano a Roma i vescovi delle diverse diocesi del mondo per le rispettive visite ad limina. Passano da Benedetto XVI e poi fanno le ‘stazioni’ nei vari ‘ministeri’ della Santa Sede. Quando arrivano da noi si dicono preoccupati per i tantissimi fedeli che, divorziati, si sono poi risposati, e che chiedono loro nuove risposte in merito al divieto del ricevimento dell’eucaristia. Soffrono e si sentono emarginati, anche perché molti di loro il divorzio l’hanno di fatto subìto. Dicono ai vescovi di vivere perennemente in attesa di un qualche cambiamento che però non arriva mai”. Il Papa ha in animo davvero di cambiare le regole? “A questa domanda non so rispondere. So però che fu lui ad Aosta a parlare di ‘grande sofferenza’. Disse che quando era prefetto della Dottrina della Fede aveva invitato diverse Conferenze Episcopali e specialisti a studiare il problema. Disse che in merito alla nullità del matrimonio celebrato senza fede era possibilista ma che poi ‘dalle discussioni che abbiamo avuto ho capito che il problema è molto difficile e deve essere ancora approfondito’”. La richiesta di rivedere il divieto oggi non è, come in molti pensano, a esclusivo appannaggio dei cosiddetti “cattolici del dissenso”, le anime insomma più liberal della Chiesa. E’ vero, soprattutto nei Paesi nordeuropei, dove forte è la presenza del protestantesimo, sono i movimenti legati ai gruppi "Noi siamo Chiesa" a inserire nella propria piattaforma di riforme anche la questione dei divorziati risposati. Ma, oggi, sono anche alcuni settori “ortodossi” della comunione cattolica a chiedere ripensamenti almeno a livello teologico. Perché, dicono, “i varchi ci sono, basta aprirli”. Sotto il Pontificato di Benedeto XVI il dibattito è stato serrato, per molti più serrato di quanto non avvenne nei difficili anni del post Concilio e poi negli anni wojtyliani. Dopo le parole del Papa al clero aostano, ad esempio, è stata la facoltà telogica di Milano a mettere per iscritto una sua proposta. Su Teologia, la rivista della facoltà, Alberto Bonandi ha proposto una nuova “via” per ammettere alla comunione, a determinate condizioni, i cattolici divorziati risposati. Prete della diocesi di Mantova, docente di Morale fondamentale e teologo di rango, Bonandi, sostiene che è possibile presupporre sia la permanente validità del precedente matrimonio, sia la continuità piena della seconda convivenza, inclusi i rapporti sessuali. Ancora oggi, infatti, può accedere alla comunione soltanto chi, pur continuando a convivere con una persona diversa da quella validamente sposata, rinuncia ai rapporti sessuali. Secondo Bonandi il punto debole dell’attuale normativa risiede proprio qui, laddove essa impone, per l’ammissione alla comunione, la rinuncia ai rapporti sessuali tra i due conviventi, pur consentendo tra essi la coabitazione, il rapporto affettivo, il mutuo sostegno, la cura dei figli. Con questo, ha detto Bonandi, “sembra che la dottrina cattolica finisca per riconoscere la liceità, in una seconda relazione, di molti aspetti che caratterizzano il matrimonio, esclusi solo i rapporti sessuali”. Ma ciò sembra contraddire l’insegnamento della Chiesa sull’unità dei “fini” del matrimonio, quello unitivo e quello procreativo: “Il primo dei quali sarebbe lecito e anzi doveroso da perseguire anche nella convivenza dopo un matrimonio fallito, mentre l’altro no”. “Coerenza vorrebbe” invece “che si dichiarasse illecita la seconda relazione di coppia nella sua concreta totalità di affetto, coabitazione, relazioni sessuali, generazione ed educazione dei figli, e dunque che il semplice status di conviventi comunque impedisse, finché dura, l’accesso ai sacramenti. Oppure che si cercasse un’altra via…”. La proposta Bonandi ha creato dibattito non solo a Roma ma anche nella stessa prestigiosa facoltà teologica lombarda. Tanto che, qualche tempo dopo, è stata ancora Teologia a tornare sul tema, correggendo però di molto il tiro. Il teologo morale Marco Doldi, sacerdote di Genova e preside della locale sezione della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, ha sostanzialmente corretto Bonandi dicendo che i divorziati risposati possono accedere alla comunione a patto che rinuncino ai rapporti sessuali: “E’ importante che teologi e pastori d’anime aiutino a capire come la disciplina penitenziale che richiede la sospensione dei rapporti sessuali, se accettata, è ricca di conseguenze positive anche sulla vita della Chiesa… Aiuta tutti i fedeli ad avere un profondo rispetto per il sacramento dell’altare… E aiuta chi si sta preparando al matrimonio a vedere con più profondità la serietà dell’impegno matrimoniale e a cogliere il valore dell’indissolubilità”. Qualche mese dopo, fu invece il Vaticano a lanciare un segnale inequivocabile. Nel 2009, la Commissione Teologica Internazionale che affianca la Congregazione per la Dottrina della Fede rinnovò la propria squadra per volontà del Papa. Tra le new entry ci fu proprio Doldi: “La sua nomina conferma che la dottrina della Chiesa sulla comunione ai cattolici divorziati e risposati non cambia, a dispetto della richiesta del card. Carlo Maria Martini di ridiscutere la questione e di dedicare a essa addirittura un nuovo Concilio” ha scritto Magister. Benedetto XVI non ha parlato soltanto al clero di Aosta. Più volte ha tenuto discorsi al Tribunale della Rota romana. Qui ha chiesto di approfondire il caso del matrimonio celebrato senza fede ma insieme ha ribadito con forza la necessità di far sì che chi accede al sacramento del matrimonio lo faccia con piena coscienza di quanto si va a celebrare. Anche perché, dice a Il Foglio don Paolo Gentili, direttore dell’ufficio per la famiglia della Conferenza Episcopale italiana, “se indeboliamo la verità del sacramento del matrimonio cosa ci rimane?”. Don Paolo lavora sul campo. Recentemente ha seguito un gruppo di più di 150 separati, alcuni risposati. “Molti di loro” dice “conoscono meglio di chi vive il matrimonio il valore dell’Eucaristia”. E spesso accettano “con convinzione il divieto di accedervi”. Certo, “per molti il divieto è occasione di sofferenza. Ma il Papa è stato chiaro. Ha detto che sposarsi in chiesa è un diritto solo se si crede nella ‘verità’ del matrimonio, ossia di un atto per la realizzazione del ‘bene integrale, umano e cristiano, dei coniugi e dei loro futuri figli, volto in definitiva alla santità della loro vita’. Discende da qui l’importanza della preparazione al matrimonio cristiano, anche per evitarne, successivamente, la nullità. Ciò a cui è giusto puntare è la celebrazione di matrimoni validi, che più matrimoni possibili vengano celebrati con piena coscienza”. Nel 1993 furono tre vescovi tedeschi, Karl Lehmann, Walter Kasper e Oskar Saier, a dirsi favorevoli alla possibilità di ammettere i divorziati risposati all’Eucaristia se essi, dopo un incontro con un prete, avessero ritenuto in coscienza di esservi autorizzati. Una possibilità che, nonostante si avvicini a quanto Joseph Ratzinger ha sostenuto nel 1998, solleva ancora oggi parecchi dubbi. La via proposta da Lehmann, Kasper e Saier venne sostanzialmente ripresa il 3 febbraio scorso quando un importante quotidiano tedesco, la Süddeutsche Zeitung, pubblicò un memorandum firmato da 143 teologi di lingua tedesca sotto il titolo “Chiesa 2011: una partenza necessaria”. Tra le varie richieste di riforma c’era anche quella relativa al divieto di ricevere la comunione da parte di divorziati risposati. In Vaticano è stata annotata, soprattutto dai settori più conservatori della Curia, la risposta puntuale scritta sul giornale cattolico tedesco dal professor Manfred Hauke, docente di Dogmatica nella facoltà teologica di Lugano. Hauke entra come un panzer sul tema della coscienza dicendo che la “libertà di coscienza” così come la intendono coloro che chiedono riforme, “separa evidentemente la coscienza del soggetto dalla verità oggettiva a cui la coscienza deve orientarsi. Non ha senso applicare la libertà di coscienza per approvare, ad esempio, delle coppie omosessuali e l’adulterio. Newman parlerebbe qui di un preteso ‘diritto alla caparbietà’ (vedi ‘Lettera al duca di Norfolk’)”. Secondo Hauke nel voler rivedere la dottrina sui divorziati risposati “non si vede solamente l’influsso di una più profonda conoscenza teologica, bensì una perdita di fede e di morale. Gli elementi fondamentali della dottrina apostolica vengono sacrificati a un pensiero che vuol essere aggiornato alla situazione attuale”. Da che parte sta il Papa? La risposta non è facile come sembra. Quando i teologi tedeschi firmarono il memorandum sostennero ad esempio che sul celibato sacerdotale Papa Ratzinger era d’accordo con loro perché nel 1970 aveva firmato un testo analogo. In realtà L’Osservatore Romano ha chiarito nei mesi scorsi che Joseph Ratzinger lavorò sì alla stesura del testo ma quando poi questi venne reso pubblico il suo nome non apparve tra gli estensori. Il dibattito in Germania è tornato a infiammarsi poche settimane fa, quando Benedetto XVI per la terza volta è tornato a nel suo Paese natale. Sul settimanale Focus è stato mons. Wilhelm Imkamp, consultore della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, a criticare duramente quei settori della Chiesa tedesca che hanno palesemente appoggiato la richiesta di riforma avanzata dal presidente tedesco Christian Wulff. Nel discorso tenuto a Berlino davanti al Papa, Wulff ha espresso la speranza che la Chiesa Cattolica faccia un passo in direzione dei divorziati: “Milioni di persone che vivono in matrimoni interconfessionali e i milioni di cattolici risposati, ma anche molti altri gruppi aspettano un messaggio di liberazione”. “Se il cristiano cattolico Wulff usa il suo incarico politico e le possibilità che questo gli apre per discutere dei suoi problemi personali con e nella chiesa si può parlare senz’altro di un certo sconfinamento”, ha detto Imkamp. Il quale ha poi lamentato la presenza nella Chiesa tedesca di “troppi teologi brontoloni di professione, che nel complesso diffondono troppo poca gioia della fede” e ha ricordato che, se la Chiesa tedesca non resterà fedele al Vaticano, rischierà di trasformarsi in un “agente patogeno con un forte potenziale di contagio per la Chiesa universale”. Al di là delle reprimende, poche settimane prima della partenza del Papa per la Germania, è stata la rivista cattolica progressista francese Témoignage chrétien a spiegare in un lungo reportage che “non solo molti cattolici, ma anche molti vescovi (almeno in privato) dicono di essere a disagio relativamente alla posizione della Chiesa Cattolica riguardante le coppie di divorziati risposati”.“Non c’è da stupirsi” spiega la rivista. “Anche se soffocate e represse per un certo periodo, le vere questioni tornano a galla. Tanto più che il numero dei divorzi è aumentato: in Francia c’è il 50 per cento di divorzi rispetto ai matrimoni. I divorziati risposati sono sempre più numerosi nelle assemblee liturgiche e tra i responsabili ecclesiali. Molti preti non si ritengono autorizzati, in coscienza, a dire a proposito della comunione eucaristica: ‘Venite a tavola… ma non mangiate’. Non si tratta di banalizzare una situazione che comprende il suo peso di ferite e sofferenze, né di considerare tutto in funzione di quella realtà. Sono persone diverse, per la loro origine e la loro storia, ma anche per la prova coniugale che hanno dovuto vivere e che le segna, come nei casi di abbandono da parte del marito o della moglie. Spesso, il secondo matrimonio dà una stabilità e una maturazione che permettono di costruire un nuovo progetto nella fiducia. Nelle sue prescrizioni, la Chiesa non tiene conto di questa diversità”. Fu nel 1980 che il Sinodo dei vescovi sulla famiglia chiese, con 179 voti contro 20, “che ci si dedicasse a una nuova ricerca in merito, tenendo conto anche delle Chiese d’oriente, in modo da mettere meglio in evidenza la misericordia pastorale”. Questa richiesta, spiega Témoignage chrétien, “non ha prodotto alcun risultato” Nel 1992, in un documento intitolato “Les divorcés remariés”, la Commissione della famiglia dell’Episcopato francese propose: “Quando i divorziati risposati desiderano sinceramente avanzare sul cammino della santità, ma non possono accettare l’idea di separarsi, specialmente a causa dei figli, la Chiesa non potrebbe, senza imporre loro di vivere nella continenza, dare loro l’assoluzione e ammetterli alla comunione eucaristica? Non potrebbe, almeno, riconoscere loro il diritto di decidere in coscienza quello che devono fare? E ancora: accogliere, dar prova di misericordia, invitare al discernimento, situare questa difficoltà nella sua dimensione ecclesiale: non sarebbe più evangelico che sfoderare proibizioni?”. Il Papa ci sta pensando. Anche se per ora, il nuovo varco, è aperto soltanto sulla carta, non ancora insomma de facto.

Paolo Rodari, Il Foglio