giovedì 4 agosto 2011

Consiglio permanente dei vescovi croati: sul monastero di Daila uniti nel rispetto della decisione della Santa Sede. Disubbidienza del clero istriano

ll Consiglio permanente della Conferenza Episcopale croata ha espresso oggi la volontà di rispettare la decisione del Papa nella controversia tra la diocesi di Pola e Parenzo, in Istria, e i monaci benedettini dell’Abbazia di Praglia, nel Padovano, sulla restituzione di un immobile nell’Istria nordoccidentale che il Vaticano ha assegnato ai frati italiani provocando la disobbedienza del vescovo istriano, mons. Ivan Milovan. "Il caso va osservato come una questione intra-eccclesiale", si legge nel comunicato. "Noi vescovi restiamo uniti nel rispetto delle decisioni del Santo Padre, della Santa Sede e delle altre istituzioni ecclesiastiche". In sostanza, la nota suggerisce che sarà rispettata la conclusione di una commissione cardinalizia, di cui ha fatto parte anche l’arcivescovo di Zagabria, il card. Josip Bozanic, che dopo anni di intricate procedure giudiziarie davanti ai tribunali in Croazia, restituiva il monastero di Daila (foto), nell’Istria nordoccidentale, e i terreni circostanti ai monaci benedettini. L’immobile, dove nella metà del XIX secolo i benedettini fondarono un monastero, era stato confiscato nel 1948 dalle autorità comuniste jugoslave e i frati furono cacciati. Nel 1999 in base alle leggi sulla restituzione dei beni nazionalizzati, la Croazia ha restituito la proprietà alla diocesi istriana, ma l’Abbazia di Praglia ha avviato una procedura ritenendo di essere essa il legittimo proprietario. Quando questo fu confermato anche dal Vaticano, il vescovo Milovan ha rifiutato di obbedire al Papa e di firmare l’atto notarile per la cessione della proprietà e il pagamento di un indennizzo, in totale per un valore di circa 30 milioni di euro, sostenendo che la sua diocesi sarebbe spinta alla bancarotta. Resta il fatto che all’inizio del 2011 i vescovi croati scrissero una lettera al Papa nella quale gli chiedevano di rivedere le sue posizioni, e negli ultimi giorni "il vescovo ribelle" ha ottenuto il sostegno di molti alti rappresentati della Chiesa in Croazia, come anche della premier Jadranka Kosor e del presidente Ivo Josipovic. Il caso continua però a dividere. Il clero istriano, una settantina di sacerdoti, riunito oggi a Pisino, in Istria, ha all'unanimità appoggiato il proprio vescovo, mons. Ivan Milovan, ponendosi apertamente contro le conclusioni della Conferenza Episcopale croata. ''Il clero istriano ha dato il suo pieno appoggio al vescovo Milovan, e all'idea di restituire l'immobile allo Stato croato'', ha dichiarato alla stampa il cancelliere della diocesi di Pola e Parenzo, Ivan Jakovljevic. ''Speriamo ora che non verrà di nuovo istituita qualche commissione cardinalizia per prendere decisioni sulla nostra diocesi, perchè la proprietà non sarà più della Chiesa, non vogliamo ulteriori discussioni'', ha spiegato. ''Allo Stato daremo anche l'indennizzo per i terreni che sono stati nel frattempo venduti'', ha detto concludendo. "Lo Stato croato ne ha diritto, e anche se non ne ha, noi comunque gli ridaremo l'immobile". Intanto la stampa croata ha scoperto che l'immobile, il complesso del monastero di Daila con svariati ettari di terreni, tutto con vista mare, al catasto risulta intestato alla società Benedikt s.r.l., di proprietà della diocesi, della parrocchia e di un istituto finanziario ecclesiastico con sede in Austria, a Linz. La società è registrata per ''attività turistiche e alberghiere'', e nel 2010 non ha avrebbe avuto nessun fatturato.

Vatican Insider, Ansa

COMUNICATO DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE (02.08.2011)

Memoria di San Giovanni Maria Vianney. Il Papa: il vero segreto è stato l’amore che nutriva per il Mistero eucaristico annunciato, celebrato e vissuto

La Chiesa celebra oggi la memoria di San Giovanni Maria Vianney (foto), patrono dei parroci. Un luminoso esempio di sacerdote che Benedetto XVI ha richiamato più volte in discorsi e catechesi. A lui, il Papa ha dedicato l’Anno Sacerdotale, in occasione del 150° anniversario della sua “nascita al cielo”, indicandolo come modello per tutti i sacerdoti del mondo. A 17 anni era ancora analfabeta, quando morì il popolo di Dio lo chiamò subito Santo. Così, oltre un secolo e mezzo dopo il suo ritorno alla Casa del Padre, San Giovanni Maria Vianney è ancora un esempio da imitare per ogni sacerdote. Ma cosa ha reso così straordinaria l’esistenza di questo semplice parroco di campagna di un piccolo borgo del Sud della Francia? Benedetto XVI non ha dubbi: l’amicizia con il Signore.
“Ciò che ha reso santo il Curato d’Ars è l’essere innamorato di Cristo. Il vero segreto del suo successo pastorale è stato l’amore che nutriva per il Mistero eucaristico annunciato, celebrato e vissuto e che è diventato amore delle pecore di Cristo, delle persone che cercano Dio” (Udienza generale, 5 agosto 2009).
In un tempo segnato dal razionalismo, nel periodo difficile della Francia post-rivoluzionaria, rammenta il Pontefice, quest’umile prete conquistò migliaia di anime a Cristo. Ci riuscì, non per le sue qualità umane, ma grazie al suo conformarsi al Buon Pastore, fino a dare la vita per le sue pecore: “La sua esistenza fu una catechesi vivente, che acquistava un’efficacia particolarissima quando la gente lo vedeva celebrare la Messa, sostare in adorazione davanti al tabernacolo o trascorrere molte ore nel confessionale...riconosceva nella pratica del Sacramento della penitenza il logico e naturale compimento dell’apostolato sacerdotale” (Udienza generale, 5 agosto 2009).
“Non è il peccatore che ritorna a Dio per chiedergli perdono – amava dire il Curato d’Ars - è Dio che corre dietro al peccatore e lo fa tornare a Lui”. Annunciare con gioia la bellezza del Vangelo, rendere presente la Parola di Dio nel mondo: questo, ribadisce il Papa, è stata la missione portata avanti da San Giovanni Maria Vianney, pur tra mille difficoltà: “Egli era uomo di grande sapienza ed eroica forza nel resistere alle pressioni culturali e sociali del suo tempo per poter condurre le anime a Dio: semplicità, fedeltà ed immediatezza erano le caratteristiche essenziali della sua predicazione, trasparenza della sua fede, della sua santità. Il Popolo cristiano ne era edificato e, come accade per gli autentici maestri di ogni tempo, vi riconosceva la luce della Verità” (Udienza generale, 14 aprile 2010).
“Un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio – diceva San Giovanni Maria Vianney – è il più grande tesoro che il buon Dio possa concedere a una parrocchia, ed uno dei doni più preziosi della misericordia divina”. I sacerdoti, è allora l’esortazione che il Pontefice ripete durante l’Anno a loro dedicato, imitino il Curato d’Ars coltivando, giorno dopo giorno, “un’intima comunione personale con Cristo”. Solo così potranno toccare i cuori della gente ed “aprirli all’amore misericordioso del Signore”.
“Sull’esempio del Santo Curato d’Ars, lasciatevi conquistare da Cristo e sarete anche voi, nel mondo di oggi, messaggeri di speranza di riconciliazione, di pace” (Udienza generale, 31 marzo 2010).

Radio Vaticana

Via tutti i vescovi irlandesi nominati prima del 2003: il Papa di fronte a una scelta drammatica. L'essere leglislatore tratto essenziale di Benedetto

La Curia romana sta pensando di chiedere le dimissioni di tutti i vescovi irlandesi, una ventina circa, nominati prima del 2003. La proposta, fatta qualche settimana fa da padre Vincent Twomey, ex allievo di Benedetto XVI e docente al seminario irlandese di Maynooth, fa discutere coloro che in Vaticano sono chiamati a ruoli di responsabilità. Anche se manca ancora la benedizione papale, non sono pochi coloro che ritengono che le dimissioni sarebbero il segnale opportuno offerto a una Chiesa in evidente difficoltà. Fu nel 2003 che l’allora card. Ratzinger ottenne da Giovanni Paolo II la concessione di alcune facoltà speciali per gestire da Roma i casi di “delicta graviora”, tra questi i casi di preti che abusano di minori. Prima di quella data la responsabilità era invece principalmente nelle mani dei singoli vescovi. Il 20 luglio è stato il primo ministro irlandese Enda Kenny, report governativi alla mano, ad accusare i massimi vertici della gerarchia cattolica di aver protetto i preti pedofili nella diocesi di Cloyne governata fino al 2010 dal “segretario di tre Pontefici” John Magee. A Kenny il Vaticano ha annunciato che risponderà entro la fine di agosto con uno statement che la Segreteria di Stato sta mettendo a punto. Ma oltre Tevere si discute anche dell’idea di appoggiare la proposta di Twomey. “E’ l’unica strada – ha scritto l’ex allievo di Joseph Ratzinger – per garantire la trasparenza nello scandalo pedofilia”. Una strada che, se percorsa, lascerebbe in sella alla Chiesa irlandese soltanto l’arcivescovo di Dublino Diarmuid Martin, che nella Curia romana ha reso un lungo servizio dal 1986 al 2001 come sottosegretario e poi segretario di Giustizia e Pace, tra i primi a fare propria la linea di maggior rigore del Papa. Martin, in accordo con Roma, potrà gestire la nomina di amministratori apostolici che vadano a sostituire, all’inizio senza dignità episcopale, le diocesi lasciate vacanti. E, in un secondo momento, l’accorpamento delle diocesi più piccole con quelle più grandi in modo da garantire maggiore controllo ed efficienza. Il Papa è sotto attacco non solo per le vicende irlandesi, ma anche per il dissenso verso Roma manifestato in Austria, Stati Uniti e Australia da gruppi più o meno vasti di preti cattolici e di fedeli che chiedono l’abolizione del celibato sacerdotale, il conferimento del sacerdozio alle donne e la comunione ai divorziati risposati. Cosa fa il Papa per rispondere al fuoco? “Niente. Riposa a Castel Gandolfo, nel ritiro estivo che per il secondo anno consecutivo preferisce alle Alpi”, si è letto sui principali giornali irlandesi. Giornali che hanno ricamato sulle notizie provenienti dal Castello e offerte il 22 luglio scorso da L’Osservatore Romano: le giornate del Papa hanno “uno spazio maggiore per la meditazione, la lettura personale, l’attenzione alla natura, la distensione”. E ancora: “Passeggiate nel verde, solitamente pomeridiane, scandite dalla preghiera mariana del rosario recitato con il segretario particolare e i collaboratori più stretti, di norma concluso davanti all’immagine della Madonna cara a Pio XI”. I media stranieri hanno mancato di sottolineare una cosa: per Papa Ratzinger il silenzio e il riposo sono occasione di lavoro. Perché per lui governare la Chiesa non è soltanto pensare e adottare efficaci misure pratiche, ma è anche altro. Come ha scritto sul suo blog il vaticanista Sandro Magister, infatti, Benedetto XVI è consapevole che “la crisi della Chiesa non si risolve con i cambiamenti pratici richiesti dai suoi critici, ma con una fede più viva e più vera”. Un esempio eclatante di questo modus operandi si ebbe il 10 marzo del 2010. Nei giorni in cui il New York Times portava alla ribalta il caso di padre Lawrence Murphy con i suoi abusi su minori perpetrati in una scuola per sordi del Wisconsin, il Papa spiegò che “governare la Chiesa non è semplicemente un fare, ma è soprattutto pensare e pregare”. E ancora: “Non si governa la Chiesa solo mediante comandi e strutture, ma guidando e illuminando le anime”. Ecco perché, viste con questi occhiali, non stridono le immagini che in queste ore arrivano da Castel Gandolfo. Mentre i media internazionali riportano l’indignazione irlandese, Benedetto XVI è immortalato mentre sorride osservando alcuni cittadini di Traunstein, cittadina della Baviera meridionale dove celebrò la sua prima Messa l’8 luglio 1951, che inscenano per lui un balletto tradizionale. L’Irlanda è nei pensieri del Papa. Come lo sono i discorsi da preparare per il viaggio di agosto a Madrid e per quello di settembre in Germania. Quindi la terza e ultima parte del libro su Gesù di Nazaret e il tema della fede da sviscerare in vista del 2012, l’anno che la Chiesa dedicherà proprio a questa virtù teologale. A Castello l’intervento di Enda Kenny in Parlamento è stato letto con attenzione. In particolare quella frase di Joseph Ratzinger che Kenny ha citato per dimostrare una certa apatia del capo della Chiesa Cattolica di fronte al problema dei preti pedofili: “Standard di condotta appropriati alla società civile o al funzionamento di una democrazia non possono essere puramente e semplicemente applicati alla Chiesa”, disse il card. Ratzinger. Parole che Kenny ha estrapolato dal paragrafo 39 dell’istruzione del 1990 “Donum veritatis” sulla vocazione ecclesiale. Il testo venne firmato da Joseph Ratzinger in quanto prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Ratzinger non parlava delle verità di fede, ma del fatto che queste non potevano essere desunte per votazione democratica. E, comunque, non si riferiva alla pedofilia del clero. Ma Kenny l’ha citato ugualmente e le sue parole hanno provocato indignazione. Perfino il Financial Times si è indignato. E in un editoriale di fuoco, oltre a definire il Vaticano “arrogante”, l’autorevole quotidiano londinese ha anche detto che solo pochi premier possono permettersi di attaccare così direttamente la Santa Sede come ha fatto Kenny. Perché solo in pochi hanno un motivo valido per farlo. Kenny, naturalmente, è uno di questi. Che il Vaticano auspichi le dimissioni dei vescovi e lavori in tutti i modi per risolvere una situazione complessa non significa ovviamente che calerà le braghe sulla richiesta, definita da mons. Girotti in un’intervista a Il Foglio “irricevibile”, dell’abolizione del segreto confessionale. Papa Ratzinger vuole una Chiesa pulita, ma non vuole che la Chiesa rinunci a ciò che è, ai propri sacramenti, alla propria storia. E’ una condotta che il Papa ha mantenuto anche con i Legionari di Cristo. Proprio a metà luglio, inaspettatamente e nel quasi totale silenzio dei media, la Santa Sede ha mostrato di essere a un passo dalla soluzione di un caso usato dagli accusatori per dimostrare che la pedofilia, il Vaticano, se l’è coltivata in casa: il caso Marcial Maciel Degollado, il prete fondatore dei Legionari, che sotto il pontificato di Wojtyla oltre a custodire la vocazione di centinaia di sacerdoti ha abusato di minori e ha mantenuto una relazione con una donna dalla quale ha avuto una figlia. “Se dai frutti si riconosce l’albero, come si spiegano frutti così rigogliosi (i Legionari) da un albero tanto marcio (Marcial Maciel)?”, ha chiesto recentemente in via riservata un monsignore della Curia romana a Benedetto XVI. “Tutto ciò è un mistero anche per me”, ha risposto il Papa. Il quale non vuole la fine dei Legionari quanto la fuoruscita dalla Legione dei “dissidenti”, poche persone ancora legate alla figura di Maciel. A dispetto di un Vaticano descritto spesso in modo troppo frettoloso incapace di governo e di offrire adeguate risposte ai problemi, la svolta recente sui Legionari è un passaggio da annotare. Il Papa il 9 luglio del 2010 nominò il card. Velasio De Paolis suo delegato presso i Legionari. Il suo compito era uno: sovrintendere la transizione dei poteri all’interno della Legione dai fedelissimi di Maciel ad altri. Dopo un anno De Paolis pareva non avesse fatto nulla. Tanto che anche in Curia romana iniziavano i mugugni. “Ma De Paolis che fa?”, si domandavano i più. Con un Vaticano sotto tiro, accusato di coprire i pedofili, l’attendismo di De Paolis iniziava a essere un problema. Poi, a metà luglio, la svolta. Ovvero la decisione di allontanare padre Luís Garza Medina dal vertice della Legione. Garza era del vecchio gruppo di potere. Fino all’ultimo ha difeso Maciel. Fino all’ultimo ha cercato di restare al comando. Ma poi è capitolato. Papa Ratzinger governa col passo lungo. Con discorsi, omelie, Encicliche, chiama la Chiesa alla riforma interna, quella del cuore. Ma insieme agisce con correzioni di rotta pratiche magari poco visibili ma molto efficaci. E’ ancora Magister a dire la sua in merito, laddove definisce Benedetto XVI “il Papa legislatore”. Dice: l’essere legislatore “definisce un tratto essenziale del suo profilo, della sua visione su come governare la Chiesa”. Perché “se la tempesta che da qualche decennio tormenta la chiesa è dovuta a delle ‘rotture’ rispetto alla sua tradizione e identità propria – come Benedetto XVI ha detto in ripetute occasioni, a partire del memorabile discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005 sull’interpretazione del Concilio Vaticano II – una di queste linee di rottura il Papa la vede proprio sul terreno del diritto canonico”. E’ per ovviare a queste derive che Papa Ratzinger s’è fatto legislatore, promotore di nuove leggi soprattutto in campo liturgico, finanziario, penale ed ecumenico. Con un criterio guida: la riforma nella continuità. Un criterio che per quanto riguarda la pedofilia ha avuto un suo punto di importante espressione nel 2010 quando ha approvato le nuove norme sui “delicta graviora” e in particolare sugli abusi sessuali. Oltre alle leggi, l’approfondimento più alto, quello a livello di studi, di seminari: un vertice per “una risposta globale al problema degli abusi sessuali e della tutela dei vulnerabili” sarà organizzato dal 6 al 9 febbraio 2012 dalla Pontificia università Gregoriana, con l’appoggio di diversi dicasteri della Santa Sede e con la benedizione del Papa. Sarà intitolato “Verso la guarigione e il rinnovamento”, parole che richiamano la lettera che Papa Ratzinger ha scritto ai cattolici irlandesi nel marzo del 2010.

Paolo Rodari, Il Foglio

Il Papa a Gubbio a dicembre per accendere l’albero di Natale più grande al mondo: in corso i contatti ma l’ipotesi è di un collegamento virtuale

E’ ancora presto per poter dire se nel dicembre 2011 sarà Papa Benedetto XVI ad accendere l’albero di Natale più grande del mondo (foto), disegnato con le luci sul monte Ingino di Gubbio. Ma è possibile confermare l’esistenza di contatti tra la Curia diocesana eugubina e la Prefettura della Casa Pontificia. I contatti In particolare, nelle scorse settimane, il vescovo di Gubbio mons. Mario Ceccobelli ha scritto in Vaticano facendosi portavoce di un desiderio espresso dal comitato “Albero di Natale più grande del mondo”. La richiesta avanzata dal vescovo, dunque, ha avviato un iter che potrebbe portare il Santo Padre ad accendere la singolare creazione eugubina, in occasione della cerimonia fissata, come di consueto, per il 7 dicembre, vigilia della Solennità dell’Immacolata Concezione. La conferma La notizia dei contatti in corso è stata confermata dallo stesso mons. Ceccobelli, in risposta ad alcune domande dei giornalisti eugubini. La presenza di Papa Benedetto XVI, eventualmente collegato in videoconferenza dal Vaticano, rappresenterebbe l’inaspettato coronamento dell’Anno giubilare indetto per l’anniversario degli 850 anni dalla morte del patrono e protettore di Gubbio, Sant’Ubaldo. Mons. Ceccobelli ha anche indicato una data per la conferma ufficiale della notizia, qualora l’intervento del Santo Padre fosse confermato. Potrebbe essere la chiusura dell’Assemblea ecclesiale diocesana e la festa della Dedicazione della Cattedrale, a fine settembre, il momento opportuno per annunciare questa presenza “virtuale” del Papa a Gubbio.

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