domenica 17 gennaio 2010

La visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma. I discorsi ufficiali di Riccardo Pacifici, Renzo Gattegna e Riccardo Di Segni

Riccardo Di Segni: visioni condivise e obiettivi comuni
“Se il nostro è un rapporto tra fratelli c’è da chiedersi sinceramente a che punto siamo di questo percorso e quanto ci separa ancora dal recupero di un rapporto autentico di fratellanza e comprensione” e “cosa dobbiamo fare per arrivarci”. Nel saluto al Papa in visita alla Sinagoga, Riccardo Di Segni (nella foto con Benedetto XVI), rabbino capo della comunità ebraica di Roma, ha invitato a riflettere sul “rapporto tra ebrei e cristiani” per capire “cosa dobbiamo e possiamo fare insieme”. Ad esempio, ha sottolineato Di Segni, “si parla molto in questi tempi dell’urgenza di proteggere l’ambiente” e “su questo punto abbiamo delle visioni comuni e speciali da trasmettere” perché “gli imperativi biblici che condividiamo, insieme a quello della misericordia” sono quelli di “vivere la propria religione con onestà e umiltà, come potente strumento di crescita e promozione umana, senza aggressività, senza strumentalizzazione politica, senza farne strumento di odio, di esclusione e di morte”. Nel ricordare i “pannelli elogiativi” esposti dagli ebrei durante la processione per le vie di Roma a seguito dell’elezione di un nuovo Papa, il rabbino ha precisato che “sono le aperture del Concilio che rendono possibile questo rapporto” tra ebrei e cristiani ma “se venissero messe in discussione non ci sarebbe più possibilità di dialogo”. Al “miracolo di sopravvivenza” degli ebrei nella storia “mentre gli imperi che li avevano assoggettati e sconfitti non esistevano più”, ha proseguito Di Segni, “si è aggiunto il miracolo dell’indipendenza riconquistata dello Stato d’Israele” che è “un’entità politica, garantita dal diritto delle genti”. Oggi, ha ribadito il rabbino, “viviamo una stagione di riscoperta della nostra tradizione, di studio e di pratica della Torà” mentre “le nostre scuole crescono, crescono i servizi religiosi, le sinagoghe si moltiplicano nel tessuto urbano” e “tutto questo avviene con una piena integrazione nella città, in spirito di amicizia, di accoglienza, di solidarietà e di apertura”. Inoltre, Di Segni ha ricordato che “il silenzio di Dio o la nostra incapacità di sentire la Sua voce davanti ai mali del mondo, sono un mistero imperscrutabile” ma “il silenzio dell’uomo è su un piano diverso, ci interroga, ci sfida e non sfugge al giudizio”. “Ebrei, Cristiani e altri fedeli sono stati perseguitati e continuano ad essere perseguitati nel mondo per la loro fede”, ha concluso Di Segni: “Malgrado una storia drammatica, i problemi aperti e le incomprensioni, sono le visioni condi vise e gli obiettivi comuni che devono essere messi in primo piano”.
Riccardo Pacifici: segno profondo nelle relazioni
“Quello odierno è un evento che lascerà un segno profondo nelle relazioni fra il mondo ebraico e quello cristiano, non solo sul piano religioso ma soprattutto per la ricaduta che auspichiamo possa avere tra le persone nella società civile”. È l’augurio espresso ieri da Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica di Roma. Dopo aver dichiarato che sul tema dell’immigrazione “possiamo e dobbiamo contrastare paura e sospetto, egoismo ed indifferenza” e “rafforzare la cultura dell’accoglienza e della solidarietà, dell’altruismo e della sete di conoscenza dell’altro”, Pacifici ha posto l’accento sul “peso della storia” che “si fa si sentire anche sull’evento di oggi con ferite ancora aperte che non possiamo ignorare” e “per questo guardiamo con rispetto anche coloro che hanno deciso di non essere fra noi”. Sul processo di beatificazione di Papa Pacelli, infine, Pacifici ha ribadito che “il silenzio di Pio XII di fronte alla Shoàh, duole ancora come un atto mancato” perché “forse non avrebbe fermato i treni della morte, ma avrebbe trasmesso, un segnale, una parola di estremo conforto, di solidarietà umana, per quei nostri fratelli trasportati verso i camini di Auschwitz”.
Renzo Gattegna: la nuova stagione è solo all'inizio
“La nostra generazione, che è sopravvissuta alla Shoah, e che, poi, ha avuto la fortuna di vedere realizzata la millenaria aspirazione alla ricostruzione dello Stato d’Israele, si sente pronta ad affrontare le prossime sfide, di cui la principale sarà quella di contribuire ad instaurare nel mondo, per tutti, il rispetto dei diritti umani fondamentali, cosicchè le diversità non siano, mai più, causa di conflitti ideologici o religiosi, bensì di reciproco arricchimento culturale e morale”. Lo ha dichiarato ieri Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche Italiane. “La nuova stagione è solo agli inizi”, ha sottolineato Gattegna, e c’è “un lungo cammino da percorrere, ma tutto sarà più facile se sapremo riempire di contenuto e dare il giusto significato a quel termine stupendo ‘fratelli’ con il quale i nostri predecessori si salutarono ventiquattro anni fa (visita di Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma del 13 aprile 1986, ndr), impegnandosi a costruire un prezioso rapporto di amicizia”.

SIR

Discorso del Presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici: italiano

Discorso del Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna:
italiano

Discorso del capo Rabbino di Roma Riccardo Shmuel Di Segni:
italiano

La cronaca della visita alla Sinagoga di Roma. L'omaggio agli ebrei deportati, il colloquio con il rabbino capo e l'inaugurazione della mostra

Due ore che significano un'altra pietra miliare nel cammino del dialogo tra cattolici ed ebrei. Ventiquattro anni dopo Giovanni Paolo II, che il 13 aprile 1986 visitò la Sinagoga più grande di Roma, Papa Ratzinger è tornato dall'altra parte del Tevere in occasione del Mo' èd (festività) "di Piombo", ricorrenza della comunità ebraica romana che si celebra il 2 del mese di shevàt, in ricordo di un avvenimento considerato miracoloso: nel 1793, infatti, la pioggia torrenziale caduta da un cielo livido come il piombo impedì l'assalto al ghetto di alcuni facinorosi convinti che gli ebrei aiutassero i sostenitori della rivoluzione francese. Il Papa è giunto al Portico d'Ottavia in automobile alle 16.30 della domenica in cui in Italia si celebrava la Giornata per l'approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei. Ad accoglierlo, tra gli applausi dei numerosi presenti assiepati dietro le transenne, i presidenti della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, e dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna. E subito si è respirato il clima di un incontro sereno, all'insegna della cordialità, dove i gesti, almeno quanto le parole, hanno scandito l'avvenimento già definito storico dai media. Gesti che hanno anzitutto il senso della memoria: con la deposizione di un cesto di rose rosse davanti alla lapide che ricorda la deportazione del 16 ottobre 1943, il Papa ha reso omaggio alle vittime romane della barbarie nazista. Marcello Pezzetti, il direttore del Museo della Shoah che sarà realizzato a Villa Torlonia, ha salutato il Pontefice in tedesco e gli ha riferito alcuni particolari sul rastrellamento del ghetto, in cui uomini, donne e bambini furono strappati dalle loro case e condotti al massacro nei lager nazisti. Toccante la storia del figlio di Marcella Perugia, di cui non si sa nemmeno il nome, che nacque il giorno dopo al Collegio militare, alla vigilia della partenza dei treni della morte. Poi, lungo via Catalana, un appuntamento inatteso, non previsto dal protocollo ufficiale e per questo ancor più significativo: l'incontro di Benedetto XVI con l'anziano rabbino capo emerito di Roma Elio Toaff, che è sceso di casa nonostante l'età avanzata. "Sono lieto di incontrare colui che ha ricevuto in Sinagoga il mio amato predecessore", lo ha salutato Benedetto XVI. "Mi spiace non poter venire a riceverla al Tempio, ma in questi giorni non mi sento molto bene" ha risposto il rabbino novantacinquenne. "Una bella età e ringraziamo il Signore per questo", ha replicato il Pontefice.
Davanti alle cancellate della Sinagoga, un altro momento dedicato alla memoria: la sosta dinanzi alla targa che rende onore al piccolo Stefano Tachè Gay, di appena due anni, rimasto ucciso nell'attentato del 9 ottobre 1982, in cui furono anche feriti quaranta ebrei che uscivano dalle funzioni del sabato. Il Papa ha deposto un mazzo di rose bianche e si è intrattenuto con i genitori e il fratello del bimbo e con alcuni dei superstiti: tra loro Emanuele Pacifici, il padre del presidente Riccardo, che fu salvato dalla prontezza del rabbino Toaff e ha lottato per tre mesi tra la vita e la morte; Sandro Di Castro, anch'egli ricoverato in rianimazione perché ebbe un polmone perforato; Giacomo Moscati, che - come ha confidato al Papa - ancora porta nelle gambe le schegge delle bombe lanciate dai terroristi. Ai piedi della scalinata centrale della Sinagoga, il Papa è stato accolto dal rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, che indossava un prezioso talled di seta - il manto liturgico - proveniente da una delle cinque "scole", le antiche sinagoghe del ghetto di Roma. E mentre una corale intonava il salmo 126, il Papa si è diretto verso l'ingresso dell'imponente edificio. Raggiunta la tribuna, collocata sulla Tevà, l'altare da cui viene letta la Torah, il Papa e il rabbino capo si sono seduti al centro. In un'atmosfera di compostezza, di raccoglimento, prima dello scambio dei discorsi previsti il presidente Pacifici ha rivolto un pensiero alle vittime del sisma che ha devastato Haiti, con un appello alla solidarietà seguito da un minuto di silenzio in cui tutti i presenti, a cominciare dal Papa, si sono alzati in piedi. Non solo parole, dunque, ma fatti concreti: si comincia subito con l'aiuto di ebrei e cattolici, insieme, alle popolazioni del Paese caraibico sconvolto dal terremoto della settimana scorsa.
Anche la cerimonia ufficiale ha fatto registrare alcuni significativi fuori programma: come quando Pacifici ha salutato i deportati presenti e Benedetto XVI ha risposto all'applauso levatosi all'interno del tempio alzandosi in piedi, con lo sguardo e le braccia rivolte verso i rappresentanti di questa ormai esigua pattuglia di sopravvissuti. Tutti si sono voltati verso quegli anziani delle prime file, molti dei quali in lacrime, che portavano al collo i fazzoletti a righe azzurre e grigie, i colori delle casacche degli internati. Quindi i saluti di Gattegna e Di Segni hanno preceduto il canto del salmo 133. Infine è stato Benedetto XVI a pronunciare il suo discorso, interrotto per ben nove volte dagli applausi, scroscianti nel passaggio finale quando in ebraico ha letto alcuni versetti del salmo 117. In occasione dello scambio dei doni il Papa ha regalato un'acquaforte settecentesca del Piranesi che rappresenta una veduta dell'isola Tiberina e ha ricevuto un'opera dell'artista contemporaneo Tobia Ravà, intitolata "La direzione spirituale". E prima che l'inno Anì MaAmin ("Io credo") - lo stesso intonato dagli ebrei che venivano condotti a morte nei campi di sterminio - concludesse la cerimonia ufficiale, c'è stato il tempo per un ulteriore fuori programma: il giovane Sabatino Finzi ha consegnato al Papa una lettera a nome dei deportati, tra i quali il nonno del ragazzo, che si chiama come lui. Al termine il vescovo di Roma e il rabbino capo, in una sala attigua, si sono intrattenuti a colloquio in privato per qualche minuto, prima di uscire nel giardino della Sinagoga, per sostare insieme davanti all'ulivo piantato a ricordo della visita. Successivamente il Papa è sceso nei sotterranei, per visitare il Museo ebraico in occasione dell'inaugurazione della mostra Et ecce gaudium, che espone quattordici disegni preparati nel Settecento dagli ebrei di Roma in occasione della cerimonia d'insediamento dei Pontefici. Con la direttrice Daniela Di Castro, lo hanno accolto le responsabili dell'allestimento Caterina Napoleone e Diana Rastelli. Infine nell'adiacente Tempio spagnolo - allestito con arredi provenienti dalle antiche cinque Sinagoghe - verso le 18.30 Benedetto XVI si è congedato dai presenti ed è rientrato in Vaticano.

Gianluca Biccini, L'Osservatore Romano

Il Papa: ebrei e cristiani insieme in un cammino irrevocabile di amicizia per testimoniare al mondo l'unico Dio. Sparisca la piaga dell'antisemitismo!

"All'inizio dell'incontro nel Tempio Maggiore degli Ebrei di Roma, i Salmi che abbiamo ascoltato ci suggeriscono l'atteggiamento spirituale più autentico per vivere questo particolare e lieto momento di grazia: la lode al Signore, che ha fatto grandi cose per noi e ci ha qui raccolti con il suo amore misericordioso, e il ringraziamento per averci fatto il dono di ritrovarci assieme a rendere più saldi i legami che ci uniscono e continuare a percorrere la strada della riconciliazione e della fraternità". Benedetto XVI ha iniziato con queste parole il suo discorso alla Sinagoga di Roma, discorso interrotto più volte dagli applausi dei presenti. "Venendo tra voi per la prima volta da cristiano e da Papa, il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II, quasi ventiquattro anni fa, intese offrire - ha ricordato - un deciso contributo al consolidamento dei buoni rapporti tra le nostre comunità, per superare ogni incomprensione e pregiudizio. Questa mia visita si inserisce nel cammino tracciato, per confermarlo e rafforzarlo. Con sentimenti di viva cordialità mi trovo in mezzo a voi per manifestarvi la stima e l'affetto che il Vescovo e la Chiesa di Roma, come pure l'intera Chiesa Cattolica, nutrono verso questa Comunità e le Comunità ebraiche sparse nel mondo", ha detto il Pontefice. Benedetto XVI ha poi ricordato ''il dramma singolare e sconvolgente della Shoah''. ''In questo luogo, come non ricordare gli Ebrei romani che vennero strappati da queste case, davanti a questi muri, e con orrendo strazio vennero uccisi ad Auschwitz?'', ha detto Papa Ratzinger ricordando la deportazione dal ghetto di Roma del 16 ottobre 1943. Ma se pure vi furono molti che rimasero indifferenti, molti cattolici reagirono di fronte alla Shoah e ''la Sede Apostolica svolse un'azione di soccorso, spesso nascosta e discreta''.
"La Chiesa non ha mancato di deplorare le mancanze di suoi figli e sue figlie, chiedendo perdono per tutto ciò che ha potuto favorire in qualche modo le piaghe dell'antisemitismo e dell'antigiudaismo" ha detto il Papa menzionando il documento della Commissione per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo, "Noi Ricordiamo: una riflessione sulla Shoah", del 16 marzo 1998. "Possano queste piaghe - ha auspicato - essere sanate per sempre!". "Torna alla mente - ha confidato il Pontefice con tono commosso - l'accorata preghiera al Muro del Tempio in Gerusalemme del Papa Giovanni Paolo II, il 26 marzo 2000, che risuona vera e sincera nel profondo del nostro cuore: 'Dio dei nostri padri, tu hai scelto Abramo e la sua discendenza perchè il tuo Nome sia portato ai popoli: noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di quanti, nel corso della storia, li hanno fatti soffrire, essi che sono tuoi figli, e domandandotene perdono, vogliamo impegnarci a vivere una fraternità autentica con il popolo dell'Alleanza'". "La dottrina del Concilio Vaticano II ha rappresentato per i cattolici un punto fermo a cui riferirsi costantemente nell'atteggiamento e nei rapporti con il popolo ebraico, segnando una nuova e significativa tappa". "L'evento conciliare - ha aggiunto Benedetto XVI - ha dato un decisivo impulso all'impegno di percorrere un cammino irrevocabile di dialogo, di fraternità e di amicizia, cammino che si è approfondito e sviluppato in questi quarant'anni con passi e gesti importanti e significativi". Papa Ratzinger ha citato, in particolare, la visita di Giovanni Paolo II alla stessa Sinagoga, il suo viaggio in Terra Santa, nonché le visite che egli stesso ha compiuto alle Sinagoghe di Colonia e New York, al lager di Auschwitz e in Israele.
Il rifiuto di "altri e nuovi dei ai quali l'uomo si inchina", il "rispetto" e la "protezione" della vita, la promozione della "santità della famiglia", così come l'impegno verso "i poveri, le donne, i bambini, gli stranieri, i malati, i deboli, i bisognosi", sono i campi sui quali ebrei e cattolici possono collaborare, secondo il Papa, che ha osservato che gli esponenti delle due religioni "hanno le stesse radici, ma rimangono spesso sconosciuti l'uno all'altro". I dieci comandamenti della Torah, ha sottolineato Benedetto XVI, costituiscono "la fiaccola dell'etica, della speranza e del dialogo, stella polare della fede e della morale del popolo di Dio, e illumina e guida anche il cammino dei Cristiani". "Cristiani ed Ebrei - ha detto ancora Papa Ratzinger, che al tema ha dedicato largo spazio del suo discorso - hanno una grande parte di patrimonio spirituale in comune, pregano lo stesso Signore, hanno le stesse radici, ma rimangono spesso sconosciuti l'uno all'altro. Spetta a noi, in risposta alla chiamata di Dio, lavorare affinché rimanga sempre aperto lo spazio del dialogo, del reciproco rispetto, della crescita nell'amicizia, della comune testimonianza di fronte alle sfide del nostro tempo, che ci invitano a collaborare per il bene dell'umanità in questo mondo creato da Dio, l'Onnipotente e il Misericordioso". Benedetto XVI ha terminato il suo intervento invocando ''dal Signore il dono prezioso della pace in tutto il mondo, soprattutto in Terra Santa'' e recitando, in ebraico, il Salmo 117: "Genti tutte, lodate il Signore, popoli tutti, cantate la sua lode, perché forte è il suo amore per noi e la fedeltà del Signore dura per sempre",

Agi, Adnkronos, Apcom

La tutela dei minori migranti, la visita alla Sinagoga di Roma, la preghiera per l'unità dei cristiani e per Haiti. L'Angelus di Benedetto XVI

“Tre intenzioni” affidate “alla materna intercessione di Maria Santissima, Madre di Cristo e Madre della Chiesa”: per “i nostri fratelli Migranti e Rifugiati, il dialogo religioso con gli Ebrei e l’unità dei Cristiani”. Così Benedetto XVI ha concluso questa mattina la sua riflessione prima dell’Angelus insieme ai pellegrini in Piazza San Pietro. Alla fine della preghiera mariana ha ricordato ancora una volta “le care popolazioni di Haiti” colpite dal terremoto, sulla cui situazione si tiene “costantemente informato” attraverso il Nunzio apostolico dell’isola e ha espresso incoraggiamento per “lo sforzo delle numerose organizzazioni caritative, che si stanno facendo carico delle immense necessità del Paese”. Ricordando il “beato vescovo Giovanni Battista Scalabrini e… Santa Francesca Cabrini”, apostoli dei migranti, il Papa ha richiamato l’impegno “costante” della Chiesa verso migranti e rifugiati, soprattutto verso i bambini migranti e i rifugiati minorenni. Questo aspetto è anche il tema della 96° Giornata Mondiale dei Migranti e dei Rifugiati che in Italia si celebra in questa domenica. “Il bambino – ha detto il Pontefice - qualunque sia la nazionalità e il colore della pelle, è da considerare prima di tutto e sempre come persona, immagine di Dio, da promuovere e tutelare contro ogni emarginazione e sfruttamento. In particolare, occorre porre ogni cura perché i minori che si trovano a vivere in un Paese straniero siano garantiti sul piano legislativo e soprattutto accompagnati negli innumerevoli problemi che devono affrontare”. Benedetto XVI ha poi ricordato che questo pomeriggio si recherà a incontrare la comunità ebraica alla Sinagoga di Roma, detta “Tempio maggiore”, a 24 anni dalla visita storica effettuata da Giovanni Paolo II. “Malgrado i problemi e le difficoltà – ha sottolineato il Papa - tra i credenti delle due Religioni si respira un clima di grande rispetto e di dialogo, a testimonianza di quanto i rapporti siano maturati e dell’impegno comune di valorizzare ciò che ci unisce: la fede nell’unico Dio, prima di tutto, ma anche la tutela della vita e della famiglia, l’aspirazione alla giustizia sociale ed alla pace”. “Ricordo, infine – ha detto il Pontefice - che domani si aprirà la tradizionale Settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani. Ogni anno, essa costituisce, per quanti credono in Cristo, un tempo propizio per ravvivare lo spirito ecumenico, per incontrarsi, conoscersi, pregare e riflettere insieme. Il tema biblico, tratto dal Vangelo di san Luca, riecheggia le parole di Gesù risorto agli Apostoli: "Voi sarete testimoni di tutto ciò" (Lc 24,48). Il nostro annuncio del Vangelo di Cristo sarà tanto più credibile ed efficace quanto più saremo uniti nel suo amore, come veri fratelli. Invito pertanto le parrocchie, le comunità religiose, le associazioni e i movimenti ecclesiali a pregare incessantemente, in modo particolare durante le celebrazioni eucaristiche, per la piena unità dei cristiani”. Prima dei saluti nelle diverse lingue, Benedetto XVI ha parlato della sua “accorata preghiera” verso “le care popolazioni di Haiti”. “Il Nunzio Apostolico – ha aggiunto il Papa - che grazie a Dio sta bene, mi tiene costantemente informato, e così ho appreso la dolorosa scomparsa dell’arcivescovo, come pure di tanti sacerdoti, religiosi e seminaristi. Seguo e incoraggio lo sforzo delle numerose organizzazioni caritative, che si stanno facendo carico delle immense necessità del Paese. Prego per i feriti, per i senza tetto, e per quanti tragicamente hanno perso la vita”.

AsiaNews


Shalom: la visita del Papa alla Sinagoga di Roma evento storico che emoziona. Peres: il rapporto con gli ebrei profondo e sincero, ho fiducia in lui

Ci sarà anche il vice-premier israeliano Silvan Shalom ad accogliere il Papa nella Sinagoga di Roma. "Benedetto XVI era in Israele meno di un anno fa e in quell'occasione visitò lo Yad Vashem" ha detto Shalom alla Radio israeliana, "la sua visita di oggi è un evento storico che genera grande emozione. E' un evento religioso, non politico, che dovrebbe simbolizzare la riconciliazione tra ebrei e cattolici". Il presidente israeliano Shimon Peres (nella foto con Benedetto XVI), in un'intervista esclusiva a SKYTg24, afferma che il rapporto del Papa con gli ebrei è "profondo e sincero": "Per quanto concerne i rapporti tra ebrei e cattolici questo Papa si comporta con un grande rispetto e io ho fiducia in lui - ha dichiarato Peres ai microfoni del corrispondente Renato Coen, sottolineando - certo in alcune cose non andiamo d'accordo, non c'è una concordia totale, ma nel complesso credo sia una persona profonda, il suo rapporto con gli ebrei è altrettanto profondo e sincero". Peres ha esordito - secondo l'estratto dell'intervista - spiegando che "ci sono scelte che riguardano i cattolici ed altre che riguardano i rapporti tra ebrei e cattolici". Secondo lui "per quanto riguarda queste ultime ci sono polemiche per il processo di beatificazione di Pio XII". Il presidente israeliano ha poi speso parole di apprezzamento per Joseph Ratzinger: "Credo sia un Papa filosofo, sono sempre rimasto colpito dalla profonda capacità di comprensione, si occupa meno di pubbliche relazioni e più diciamo del sacro mistero e - ha concluso - lo considero certamente un amico".

Agi, Apcom