domenica 25 gennaio 2009

Il Papa: la conversione di Paolo modello per l'unità. La preghiera per la pace in Terra Santa e la riunificazione delle Coree. Il ricordo del Concilio

La conversione di san Paolo, ebreo che abbracciò la fede cristiana dopo aver perseguitato i seguaci di Cristo, "non fu un passaggio dall'immoralità alla moralità, da una fede sbagliata ad una fede corretta, ma fu l'essere conquistato dall'amore di Cristo": lo ha spiegato il Papa durante la celebrazione dei Vespri presieduti nella asilica di San Paolo fuori le Mura al termine della Settimana di Preghiera per l'Unità dei cristiani. Ciò che guidò l'apostolo, ha detto Benedetto XVI, fu "la rinuncia alla propria perfezione, fu l'umiltà di chi si mette senza riserva al servizio di Cristo per i fratelli. E solo in questa rinuncia a noi stessi, in questa conformità con Cristo siamo uniti anche tra di noi, diventiamo 'uno' in Cristo". La divisione tra cattolici, protestanti e ortodossi è un "dramma" come quello della divisione tra la Corea del nord e la Corea del sud. Benedetto XVI ha menzionato il gesto del profeta Ezechiele che tiene due legni in una mano a simboleggiare il segno profetico della riunificazione del popolo d'Israele, per poi spiegare: "La scelta di questo brano del profeta Ezechiele la dobbiamo ai fratelli della Corea, i quali si sono sentiti fortemente interpellati da questa pagina biblica, sia in quanto coreani, sia in quanto cristiani. Nella divisione del popolo ebreo in due regni - ha spiegato - si sono rispecchiati come figli di un'unica terra, che le vicende politiche hanno separato, parte al nord e parte al sud. E questa loro esperienza umana - ha aggiunto - li ha aiutati a comprendere meglio il dramma della divisione tra cristiani". I frutti dei dialoghi teologici che si sono svolti negli anni tra cristiani delle diverse confessioni, ha detto ancora il Papa, "con le loro convergenze e con la più precisa identificazione delle divergenze che ancora permangono", spingono a "proseguire coraggiosamente in due direzioni: nella ricezione di quanto positivamente è stato raggiunto e in un rinnovato impegno verso il futuro", ha detto Papa Ratzinger. "Rimane aperto davanti a noi l'orizzonte della piena unità. Si tratta di un compito arduo, ma entusiasmante per i cristiani che vogliono vivere in sintonia con la preghiera del Signore: 'Che tutti siano uno, affinché il mondo creda'".
La decisione di Giovanni XXIII di convocare il Concilio Vaticano II, annunciata dallo stesso Roncalli cinquanta anni fa, fu "provvida", secondo Benedetto XVI. "Vorrei concludere questa mia riflessione - ha detto Papa Ratzinger - facendo riferimento ad un avvenimento che i più anziani tra noi certamente non dimenticano. Il 25 gennaio del 1959, esattamente cinquant'anni or sono, il beato Papa Giovanni XXIII manifestò per la prima volta in questo luogo la sua volontà di convocare un Concilio ecumenico per la Chiesa universale. Da quella provvida decisione, suggerita al mio venerato Predecessore, secondo la sua ferma convinzione, dallo Spirito Santo - ha aggiunto il Papa - è derivato anche un fondamentale contributo all'ecumenismo".


Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. Padre Lombardi: la divisione e l’odio uccidono la vera grande speranza che suppone l'unione

"I nostri sono giorni in cui sentiamo parlare molto di speranze umane. La nuova presidenza degli Stati Uniti, ad esempio, ne ha suscitate molte, e questo non è certo male in un mondo fin troppo travagliato". Lo rileva il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, in un commento della Radio Vaticana alla conclusione della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani nel quale focalizza la propria attenzione sulla "speranza cristiana" che supera ogni "speranza umana". "Ma sono anche giorni in cui la guerra in Medio Oriente ha rimesso sotto i nostri occhi quali sono i frutti orribili dell'odio che divide. Trovare il senso solido e durevole della speranza - è l'auspicio di Lombardi - in modo che le speranze umane siano gradini verso di essa, e non fonti di illusioni e delusioni continue. Trovare la forza della riconciliazione e del perdono, senza di cui la guerra non avrà mai fine". "Di queste cose il mondo ha bisogno - prosegue il gesuita - e queste cose i cristiani le possono trovare, e tutti i cristiani insieme le possono e le devono testimoniare, perché ne conoscono una fonte più profonda delle loro divisioni confessionali: Gesù Cristo e il suo Vangelo". Oggi è l'ultimo giorno della settimana dell'unità dei cristiani, dedicato al tema 'Proclamazione cristiana della speranza in un mondo diviso'.

50 anni fa Giovanni XXIII indiceva il Concilio Vaticano II. Il Magistero di Benedetto XVI nel 40° anniversario della conclusione

Ai membri della Curia e della Prelatura Romana per la presentazione degli auguri natalizi (22 dicembre 2005)

8 dicembre 2005: Cappella Papale in occasione del 40° anniversario della conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II

Angelus, 8 dicembre 2005, Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria

Angelus, 4 dicembre 2005, II Domenica di Avvento

Angelus, 27 novembre 2005, I Domenica di Avvento

Angelus, 20 novembre 2005, Solennità di Cristo Re dell'universo

Angelus, 13 novembre 2005

Angelus, 6 novembre 2005

Angelus, 30 ottobre 2005

Casa Bianca e Santa Sede trattano: il Papa vuole un canale diretto con Obama

di Mario Calabresi
La Repubblica

Il giorno del giuramento di Obama (foto), sulla facciata della Chiesa Cattolica di Santo Stefano a Washington era stato issato un immenso striscione con la scritta: "Grazie presidente Bush per aver difeso la vita". Due giorni dopo, nello stesso Mall che aveva accolto due milioni di persone per le cerimonie di inaugurazione, alcune decine di migliaia di cattolici hanno partecipato all'annuale "Marcia per la Vita", dove una trentina di oratori hanno promesso di combattere ogni passo ulteriore in favore dell'interruzione di gravidanza e dove gli studenti della Ave Maria School of Law innalzavano cartelli con la scritta "Yes We Can...terminate abortion" ("Sì possiamo... far finire l'aborto"). Infine, in meno di una settimana, mezzo milione di persone hanno visto su YouTube il video di un'organizzazione antiabortista (CatholicVote. org) in cui si racconta la storia di un feto destinato ad una vita difficile ("sarà abbandonato dal padre e la madre single avrà vita dura a crescerlo") ma che negli ultimi fotogrammi si trasforma in Barack Obama. "Nonostante tutte le difficoltà - dice il messaggio - questo bambino diventerà il primo presidente afroamericano: ecco è il potenziale della vita". Questi segnali, insieme alle prese di posizione di alcuni vescovi italiani, potrebbero far pensare che sia già scoppiata una guerra culturale e di valori tra la Chiesa cattolica e il nuovo presidente degli Stati Uniti. Ma altri particolari raccontano invece gli sforzi della Casa Bianca e del Vaticano per tenere aperto un dialogo e per evitare uno scontro aperto in un Paese in cui il 53 per cento dei cattolici ha scelto Obama. Un dettaglio ben presente sul Tevere e sul Potomac: oggi, da entrambe le parti, si vuole evitare un nuovo caso Zapatero.
Obama è stato attentissimo a non dare connotati ideologici alle sue scelte: non ha ancora revocato - lo si aspettava il primo giorno - l'ordine esecutivo di Bush che vieta la ricerca pubblica sulle cellule staminali embrionali; non ha preso decisioni sull'aborto nell'anniversario della sentenza della Corte Suprema, come fecero sia Clinton sia Bush; e quando venerdì ha cancellato il divieto di dare fondi pubblici alle ong che fanno pianificazione familiare nei Paesi in via di sviluppo, non ha fatto alcun discorso pubblico. Nel 1993 proprio Clinton fece la stessa scelta - di abolire il divieto voluto da Reagan - mentre era in corso la "Marcia per la Vita" e quando la notizia arrivò al ricevimento a cui partecipavano i cardinali americani giunti a Washington, il commento fu: "Non ci ha neppure fatto la cortesia di aspettare che lasciassimo la Capitale". Obama questa cortesia l'ha fatta e nel comunicato diffuso venerdì sera ha sottolineato di voler mettere fine "ad un dibattito stantio e infruttuoso che è servito solo a dividere", e di voler evitare "ogni politicizzazione del tema". I vescovi americani, pur dicendosi profondamente delusi, non hanno ancora scelto lo scontro e preferiscono tenere aperto un canale di dialogo perché sperano che Obama non appoggi e non firmi il Freedom of Choice Act (Foca), la legge in discussione al Congresso che prevede una rimozione di tutti i limiti all'aborto decisi negli ultimi anni a livello federale e statale. Anche John Allen, vaticanista della CNN e editorialista del National Catholic Reporter, presentando alla New York University l'edizione americana del volume di Massimo Franco sulla storia dei rapporti tra la Santa Sede e gli Stati Uniti ("Parallel Empires", pubblicato da Doubleday) ha sottolineato che oggi non c'è un clima di scontro aperto ma che la guerra scoppierà proprio se il presidente firmerà il Foca. Finora non una sola parola di condanna è venuta dal nunzio apostolico a Washington, mons. Pietro Sambi, ma anzi sono stati notati - anche con disappunto da parte degli ambienti più conservatori del cattolicesimo americano - i gesti non richiesti dalla prassi di Benedetto XVI: due telegrammi di congratulazioni e una telefonata in poche settimane. Nel primo, mandato il giorno dell'elezione, il Pontefice si rallegrava per "l'avvenimento storico", nell'ultimo - inviato martedì - esprimeva il desiderio di collaborare per combattere "la povertà, la fame e la violenza" e promuovere la pace. Un atteggiamento pragmatico, che si riscontra anche nelle trattative riservate con la Casa Bianca sulla nomina del nuovo ambasciatore americano presso la Santa Sede. Obama pensava al professore cattolico Douglas Kmiec che nonostante uno storico legame con il partito repubblicano - è stato consigliere legale per Reagan e Bush padre - ha pubblicato un libro in cui spiegava perché i cattolici avrebbero dovuto sostenere il candidato nero. Ma il Vaticano avrebbe fatto sapere di non gradire la scelta e avrebbe chiesto di poter contare invece su un ambasciatore che abbia un contatto diretto con il Presidente per poter avere un dialogo costante. In silenzio, e sempre in nome del pragmatismo, sembra che Obama abbia ritirato la sua scelta.

Revoca della scomunica ai lefebvriani. Vittorio Messori e le polemiche degli ebrei: fatto interno alla Chiesa, ci lascino lavorare

"La revoca della scomunica è un fatto interno alla Chiesa sul quale non riesco a capire perche' il mondo ebraico si senta in diritto di intervenire". Lo afferma in un'intervista a Il Riformista Vittorio Messori (nella foto con Benedetto XVI), firma prestigiosa del Corriere della Sera e coautore con Giovanni Paolo II di "Varcare le soglie della speranza" e con Joseph Ratzinger di "Rapporto sulla fede". "Mi appello - spiega Messori - ai principi del diritto internazionale secondo i quali ogni Stato è sovrano al suo interno. Insomma, chiedo che ai cattolici venga lasciata la libertà di lavorare in pace portando avanti le proprie azioni. Non mi sembra che il Vaticano si sia mai sentito in dovere di intervenire sulla nomina di un Gran Rabbino o su altre questioni interne al mondo ebraico. Sarebbe corretto, dunque, che gli ebrei avessero il medesimo atteggiamento nei confronti dei cattolici". Nell'intervista, Messori si sofferma poi sulle reazioni negative che si sono manifestate anche nel mondo cattolico al gesto di perdono compiuto ieri dal Papa ed anche sulla tiepidezza degli stessi perdonati, che ieri ringraziando il Pontefice hanno voluo ribadire le loro riserve sul Concilio. "I lefebvriani - ricorda l'editorialista del Corriere della Sera - sono un fenomeno tutto francese. Dietro i lefebvriani c'è un intreccio di religione e politica che Ratzinger conosce bene ma che in Italia si fatica a comprendere appieno. Dietro c'e' la rivoluzione francese, la nostalgia monarchica, il gallicanesimo e il giansenismo. C'è la legislazione religiosa di Petain, punto di riferimento dei lefebvriani. Insomma, e' un groviglio non affrontabile soltanto a livello teologico ma anche e soprattutto a livello di filosofia della storia. E' una visione delle cose, quella lefebvriana, una Veltanschaung, che poco ha a che vedere con quella cattolica". Per Messori, "il Papa adotta nei loro confronti una sorta di 'ecumenismo paziente'. Benedetto XVI è buono e paziente. Conosce la storia dei lefebvriani e sa bene chi sono. Sa che, allo stesso modo della teologia della liberazione, anche la loro esperienza e' necessaria alla Chiesa: le ali estreme servono alla Chiesa perche' le permettono di rimanere nel centro, di continuare sulla strada dell''et-et'. E anche i lefebvriani conoscono bene Ratzinger e infatti lo temono". Tra l'altro, conclude lo scrittore cattolico, "fu proprio Ratzinger, quale consultore teologico del cardinale arcivescovo di Colonia Joseph Frings, a far si' che il Concilio andasse in altro modo. Ed e' principalmente questa l''onta' che i lefebvriani non hanno mai perdonato a Ratzinger. Questi era un conciliarista vero. Avverso all'ermeneutica dello Spirito del Concilio, ma aperto alle innovazioni portate dal Concilio stesso. E questa fedelta' al Vaticano II propria di Ratzinger e' invisa ai lefebvriani".

Benedetto XVI all'Angelus dà la parola a una bambina eritrea: vogliamo gridare che la pace è un vero affare. E insieme liberano due colombe

Una bambina eritrea accanto al Papa per l'Angelus, per ricordare a tutti che è "solo Gesù colui del quale abbiamo bisogno". Dopo l'Angelus, Benedetto XVI con grande semplicità ha lasciato il microfono a una ragazzina dell'Azione Cattolica di Roma: "Ora - ha detto - finalmente cedo la parola a Miriam, bambina eritrea oggi romana". Poco prima il Papa aveva assicurato anche lui il suo "grande affetto" ai bambini e ragazzi dell'Azione Cattolica di Roma e di alcune parrocchie e scuole della citta', che "hanno dato vita alla tradizionale Carovana della Pace", salutando anche il cardinale vicario Agostino Vallini che li ha accompagnati: "cari ragazzi - le parole di Papa Ratzinger - vi ringrazio per la vostra fedelta' all'impegno per la pace, un impegno fatto non tanto di parole, ma di scelte e di gesti". Poi, pronunciati i saluti nelle altre lingue, Benedetto XVI ha chiesto ai due ragazzi di liberare le colombe in segno di pace: "vediamo come fare", ha scherzato. Il gesto di liberare le colombe viene ripetuto dal Papa ogni anno in occasione della conclusione del mese di gennaio, dedicato appunto al tema della pace dai ragazzi dell'Azione Cattolica. "A tutti vogliamo gridare che la pace è un vero affare", ha detto Miriam, nella sua preghiera. Ricordando, poi, la centralità dei centri commerciali nella nostra società, la bambina ha affermato che chi vi si reca si illude che "il prodotto possa renderli felici. Noi invece - ha proseguito - abbiamo scoperto una cosa che vogliamo dirti: solo Gesù può soddisfare i nostri desideri, quelli veramente importanti. Ecco perché quest'anno non facciamo altro che ripetere: mi basti tu. Sì, è l'amicizia con Gesù il nostro unico desiderio". Miriam ha poi chiesto che venga data "a tutti la possibilità di crescere economicamente e culturalmente". Ricordando l'impegno dei giovani di azione cattolica per il commercio equo e solidale, ha concluso: "Caro Papa, ti preghiamo di pregare insieme a noi per tutti i nostri coetanei che vivono situazioni di povertà, sfruttamento e guerra. Preghiamo Dio di illuminare i cuori di chi governa le nazioni per un commercio più rispettoso e perché fermino tutti i conflitti, che sono incapaci di risolvere i problemi".

La conversione di San Paolo, l'ecumenismo, gli auguri per il Capodanno lunare, il canale vaticano su 'YouTube'. L'Angelus del Papa

Il tema della sua riflessione prima della preghiera mariana è stato focalizzato dalla Conversione di san Paolo, la cui memoria viene celebrata oggi dalla Chiesa. "Per la verità – ha detto il Papa - nel caso di Paolo, alcuni preferiscono non usare questo termine, perché – dicono - egli era già credente, anzi ebreo fervente, e perciò non passò dalla non-fede alla fede, dagli idoli a Dio, né dovette abbandonare la fede ebraica per aderire a Cristo. In realtà, l’esperienza dell’Apostolo può essere modello di ogni autentica conversione cristiana”. La conversione di Paolo, ha continuato il Papa, “maturò nell’incontro col Cristo risorto; fu questo incontro a cambiargli radicalmente l’esistenza. Sulla via di Damasco accadde per lui quello che Gesù chiede nel Vangelo di oggi: Saulo si è convertito perché, grazie alla luce divina, "ha creduto nel Vangelo". In questo consiste la sua e la nostra conversione: nel credere in Gesù morto e risorto e nell’aprirsi all’illuminazione della sua grazia divina. In quel momento Saulo comprese che la sua salvezza non dipendeva dalle opere buone compiute secondo la legge, ma dal fatto che Gesù era morto anche per lui – il persecutore – ed era risorto”.
Per ogni cristiano, il battesimo è il segno della conversione. “Convertirsi – ha precisato il pontefice - significa, anche per ciascuno di noi, credere che Gesù ‘ha dato se stesso per me’, morendo sulla croce (cfr Gal 2,20) e, risorto, vive con me e in me. Affidandomi alla potenza del suo perdono, lasciandomi prendere per mano da Lui, posso uscire dalle sabbie mobili dell’orgoglio e del peccato, della menzogna e della tristezza, dell’egoismo e di ogni falsa sicurezza, per conoscere e vivere la ricchezza del suo amore”. "Noi cristiani non abbiamo ancora conseguito la meta della piena unità, ma se ci lasciamo continuamente convertire dal Signore Gesu', vi giungeremo sicuramente". Benedetto XVI ha commentato poi la conclusione della Settimana per l'Unità dei Cristiani alla folla, di circa 30 mila fedeli, presente in Piazza San Pietro. "Cari amici - ha detto il Papa - l'invito alla conversione, avvalorato dalla testimonianza di san Paolo, risuona oggi, a conclusione della Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani, particolarmente importante anche sul piano ecumenico. L'Apostolo ci indica l'atteggiamento spirituale adeguato per poter progredire nella via della comunione". In proposito, il Pontefice ha citato la lettera ai Filippesi, nella quale San Paolo ammette: "non ho certo raggiunto la meta , non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perchè anch'io sono stato conquistato da Cristo Gesù". "La Beata Vergine Maria, Madre della Chiesa una e santa, ci ottenga - ha pregato ad alta voce il Pontefice - il dono di una vera conversione, perche' quanto prima si realizzi l'anelito di Cristo: 'Ut unum sint'. A Lei - ha concluso - affidiamo l'incontro di preghiera che presiedero' questo pomeriggio nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, ed a cui parteciperanno, come ogni anno, i rappresentanti delle Chiese e Comunita' ecclesiali presenti a Roma". Benedetto XVI ha fatto gli auguri del nuovo anno cinese a tutti i popoli dell’Asia orientale, che seguono il calendario lunare è che da domani celebrano l’Anno del Bue. Parlando alla fine della preghiera dell’Angelus con i fedeli in Piazza San Pietro, il Papa ha detto: "I popoli di vari Paesi dell’Asia Orientale si preparano a celebrare il capodanno lunare. Auguro a loro di vivere questa festa nella gioia. La gioia è l’espressione dell’essere in armonia con se stessi: e ciò può derivare solo dall’essere in armonia con Dio e con la sua creazione. Che la gioia sia sempre viva nel cuore di tutti i cittadini di quelle Nazioni, a me tanto care, e si irradi sul mondo!”. Fra i Paesi che seguono questo calendario vi sono la Cina, Giappone, Taiwan, Hong Kong, Singapore, le Coree, il Vietnam e tutti i Paesi dove vi sono importanti comunità cinesi come l’Indonesia, la Malaysia, le Filippine. In lingua inglese, Benedetto XVI ha anche parlato del canale tv aperto dal Vaticano sul sito YouTube. "Il Vaticano - ha detto - ha promosso una nuova iniziativa relativa alle informazioni e alle news sulla Santa Sede per essere accessibile sul World Wide Web. E' mia speranza che questa iniziativa arricchirà un ampio raggio di persone, compresi coloro che devono ancora trovare una risposta al loro fervente anelito spirituale attraverso la conoscenza e l'amore di Gesù Cristo la cui Buona novella la Chiesa porta fino ai confini della terra". "Vorrei anche fare menzione - ha aggiunto - del messaggio di quest'anno per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni che è stata celebrata alla vigilia della Festa di San Francesco Di Sales, santo patrono dei giornalisti".



Il Concilio Vaticano II, un fremito improvviso. Era il 25 gennaio 1959: l’annuncio di Giovanni XXIII stupì il mondo

di Elio Bromuri

Molte cose sono avvenute dal 25 gennaio 1959 nella Chiesa e nel mondo. Avvenimenti che all’inizio degli anni Cinquanta nessuno avrebbe immaginato. C’erano stati appena dieci anni prima il Monitum e un’Istruzione (1948 e 1949) in cui si prendevano le distanze dal movimento ecumenico e si apriva un timido e diffidente spiraglio di apertura verso i cristiani dissidenti, di cui si auspicava il ritorno. Tre mesi dopo la sua elezione alla cattedra di Pietro, Giovanni XXIII, annuncia che essendo investito di “una duplice responsabilità di vescovo di Roma e di Pastore della Chiesa universale” intende proporre, “con umile risolutezza”, “la duplice celebrazione di un Sinodo diocesano per l’Urbe e di un Concilio ecumenico per la Chiesa universale”. La Chiesa improvvisamente ci apparve in una luce nuova, giovane e aperta al futuro, al centro dell’attenzione del mondo.Questa sensazione proveniva dalle parole, brevi e misurate, ma chiare e risolute ed anche dal tempo e dallo spazio in cui erano state pronunciate, la Basilica di San Paolo, nel giorno della festa della sua conversione. Il nuovo Papa, eletto solo tre mesi prima, considerato un Papa di transizione e un vegliardo di stampo tradizionale, con quelle parole inattese destò curiosità e stupore. Tutti subito pensarono all’unione dei cristiani, per l’aggettivo “ecumenico” interpretato in senso moderno, anche da parte del Servizio stampa del Vaticano che, in un comunicato pubblicato sull’Osservatore Romano del giorno dopo, spiegava che “la celebrazione del Concilio, nel pensiero del Santo Padre, mira non solo alla edificazione del popolo cristiano, ma vuole essere altresì un invito alle comunità separate per la ricerca dell’unità”. Questa intenzione sarà successivamente chiarita e ridimensionata, nel senso che non sarebbe stato un Concilio di tutte le confessioni cristiane chiamate a raccolta, ma solo della Chiesa cattolica e, tuttavia, indirizzato a favorire l’unione, che in quel momento molti cattolici consideravano un ritorno alla “comune casa paterna”, come si era espresso Papa Giovanni nell’omelia in San Paolo. Precisato il senso del processo verso l’unità, che non si conclude con un semplice ritorno, ma con una comune conversione della mente e del cuore di tutti i cristiani, cattolici compresi, l’indirizzo e l’impianto “ecumenico” è rimasto in tutti i lavori di preparazione e di celebrazione del Concilio. Ritornando a quel 25 gennaio, dopo l’annuncio ai cardinali nella sala attigua alla basilica, che ha attraversato il mondo come fremito di sorpresa e di gioia al di là di ogni confine confessionale, Papa Giovanni confessa nel suo diario, il “Giornale dell’anima”, che si sarebbe aspettato dai suoi più vicini collaboratori un plauso e un incoraggiamento, mentre invece si sentì avvolto da un “impressionante devoto silenzio”. Un Concilio è un evento epocale, che si misura nella prospettiva dei secoli, e mette la Chiesa in stato di tensione, come di fronte ad una svolta che può essere estremamente impegnativa e risulta, pertanto, una decisione coraggiosa che ad alcuni poteva sembrare persino avventata. Ma il Papa è un uomo di Dio, diligente esecutore dei suoi disegni e delle sue ispirazioni, che ragiona alla luce dello Spirito di cui evoca una nuova Pentecoste per la sua Chiesa a beneficio dell’intera umanità. Tutto il suo pensiero lo esprimerà poi nella Costituzione apostolica “Humanae salutis” di Indizione del Concilio, due anni dopo, ma l’annuncio di cinquant’anni fa segna il principio, l’atto di origine di qualcosa che dura ancora nel tempo e ha segnato profondamente la storia della Chiesa e del mondo. “Per la giornata odierna, disse Giovanni XXIII, basta questa comunicazione”, e chiese “una parola intima e confidente” per avere suggerimenti invocando l’intercessione di Maria e di “tutti i santi della Curia celeste”. Tutto ciò a “edificazione e letizia di tutto il popolo cristiano”, rinnovando l’invito “ai fedeli delle Comunità separate a seguirci anch’esse amabilmente in questa ricerca di unità e di grazia, a cui tante anime anelano da tutti i punti della terra” (Allocuzione del 25 gennaio 1959).